Nella splendida città di Padova si trova, tra le altre mille cose belle, anche una delle più importanti collezioni numismatiche di tutta Europa. Quella del museo Bottacin di Palazzo Zuckermann.
Uno dei pannelli della mostra ci racconta una storia davvero interessante. Leggere per credere!
La grande svalutazione italiana (Sec. IX-XII)
Il problema di qualunque unificazione monetaria, nell'alto Medioevo come oggi, è quello di evitare che il diverso sviluppo economico delle regioni interessate possa "destabilizzare" la nuova moneta (da qui il rispetto dei famosi "parametri").
Esattamente questo avvenne dopo la riforma di Carlo Magno. Nelle regioni centrali dell'Impero, Francia e Germania, la presenza di risorse minerarie ed il costante afflusso di rendite e tributi da tutto l'Impero garantirono una certa disponibilità di moneta, che mantenne stabili sia il peso che la lega.
In Italia invece, da un lato un'economia forse commercialmente più sviluppata che richiedeva sempre più denaro, dall'altro una bilancia dei pagamenti negativa (per le rendite di cui sopra), portarono alla diminuzione dello stock monetario disponibile.
Per evitare questo fenomeno (e la conseguente "deflazione", cioè l'aumento di valore della moneta), le zecche italiane iniziarono a peggiorare il peso e la lega delle loro monete, fino a far perdere loro quasi il 90% del contenuto d'argento. A differenza di quanto verrebbe da credere, questa svalutazione fu un fatto altamente positivo, perché consentì di finanziare i commerci con monete "a basso costo", il che portò le regioni italiane ad avere un sviluppo economico senza pari in Europa (anche se non lo sapevano, i responsabili di quelle zecche stavano praticando a tutti gli effetti una sorta di "svalutazione competitiva").
Certo, molti di voi ora diranno che da allora sono passati secoli e che oggi il mondo è cambiato. Ne siete proprio sicuri?
Il grafico seguente mostra il saldo comparato delle partite correnti in rapporto al PIL tra Germania e Eurozona.
Noterete che, come durante il Medioevo, anche oggi il centro dell'Impero accumula surplus monetari di anno in anno, sottraendoli agli altri paesi dell'Unione. Tutta l'Eurozona è un immenso gioco a somma zero (verso l'esterno), e con all'interno grandi squilibri tra paesi creditori e debitori. In pratica, i primi si arricchiscono togliendo risorse ai secondi. Altro che locomotiva d'Europa!
Questo blog è nato per divulgare il mio lavoro di autoinformazione che consiste nel pubblicare: dati, opinioni, e testimonianze sugli argomenti che approfondisco. Lo stile sarà sempre quello che, secondo me, distingue una sana informazione dalla propaganda, e cioè separare i fatti dalle teorie e dai giudizi. Seguitemi anche su Twitter. Wendell Gee @WendellGee1985
martedì 29 luglio 2014
domenica 27 luglio 2014
Crescita del PIL a confronto: l'Eurozona è l'unica ancora in recessione.
Massimo Mazzucco, una persona che stimo, ha pubblicato questo mio post sul suo blog luogocomune.net. Sull'argomento si è aperta un'appassionante discussione.
Come promesso a infosauro, pubblico i seguenti dati.
A sostegno della teoria che l'austerità (che come ho già scritto qui, è servita a bilanciare il saldo della nostra economia con l'estero) ha causato una diminuzione della domanda interna di consumi, e quindi del PIL, riporto il seguente grafico che mostra l'andamento del PIL italiano.
Si osservi che, la prima flessione avviene a seguito della crisi economica mondiale del 2007, mentre la seconda è contemporanea alle politiche di austerità iniziate a partire dal 2011 da Berlusconi prima e Monti poi.
A maggior riprova del fatto che la recessione degli ultimi anni è stata causata dall'austerità, il grafico seguente mostra come l'Eurozona sia l'unica, tra le aree confrontate, ancora in recessione a 6 anni dalla crisi del 2007.
Come promesso a infosauro, pubblico i seguenti dati.
A sostegno della teoria che l'austerità (che come ho già scritto qui, è servita a bilanciare il saldo della nostra economia con l'estero) ha causato una diminuzione della domanda interna di consumi, e quindi del PIL, riporto il seguente grafico che mostra l'andamento del PIL italiano.
Si osservi che, la prima flessione avviene a seguito della crisi economica mondiale del 2007, mentre la seconda è contemporanea alle politiche di austerità iniziate a partire dal 2011 da Berlusconi prima e Monti poi.
A maggior riprova del fatto che la recessione degli ultimi anni è stata causata dall'austerità, il grafico seguente mostra come l'Eurozona sia l'unica, tra le aree confrontate, ancora in recessione a 6 anni dalla crisi del 2007.
giovedì 24 luglio 2014
Perché il governo non fa niente contro la crisi?
In questi ultimi anni siamo abituati a sentire frasi del tipo "la luce in fondo al tunnel" che stanno a significare che il peggio è passato e che la ripresa è vicina, anche se col passare del tempo si sposta sempre un po' più avanti nel tempo: fine 2012, fine 2013, fine 2014, etc. etc.
Per comprendere le condizioni in cui questa ripresa potrebbe avvenire serve come prima cosa capire come è stata affrontata la crisi, ovvero con le manovre economiche di austerità di cui ci siamo già occupati (qui).
Pertanto, dal 2011 in avanti, per ottenere il riequilibro del saldo delle partite correnti (che è il sostanziale equilibrio tra il valore delle importazioni e quello delle esportazioni, più il saldo dei redditi da capitale e lavoro tra l'Italia e l'estero) è stato necessario diminuire i redditi degli italiani, tramite la disoccupazione, per far calare i consumi e quindi le importazioni. Il seguente grafico mostra l'andamento del reddito procapite italiano.
Come potete osservare, della prima flessione è responsabile la crisi economica mondiale del 2007, mentre il secondo calo, quello che riporta il reddito degli italiani a livelli precedenti al 1999 avviene in concomitanza con le politiche di austerità, mediante le quali i nostri governi riescono a riallineare il saldo delle partite correnti come mostra il successivo grafico (dal 2011 in avanti).
.
Se ne deduce pertanto che esiste qualcosa che impedisce al sistema italiano di ottenere un maggior livello di reddito per la sua popolazione, senza che questo vada a beneficio di economie estere tramite l'aumento delle importazioni. E' il problema della competitività.
La convenienza di un prodotto è fortemente influenzata dal suo prezzo. E, in un'unione monetaria come l'euro (o in un sistema di cambi fissi che poi è lo stesso) essendo fisso il valore del cambio nominale tra le monete (un euro vale un euro a Bari come a Berlino) il livello dei prezzi dei prodotti dipende esclusivamente dai diversi tassi d'inflazione, che nel corso degli anni, in Italia e (ad esempio) in Germania, sono stati i seguenti.
Il grafico precedente mostra i tassi d'inflazione in Italia e Germania dal 1996, anno di fissazione dei cambi irrevocabili poi entrati in vigore a partire dal 1999, e il 2013 (ultimo dato annuale disponibile), e mostra anche il differenziale accumulato fra i due tassi d'inflazione. In pratica, durante il periodo osservato, la Germania ha accumulato, rispetto all'Italia, una svalutazione competitiva di circa il 15% sul cambio reale. Si osservi quindi che, avere la stessa moneta, non significa affatto avere i medesimi tassi d'inflazione. E questo comporta un indubbio vantaggio competitivo a favore dei prodotti delle aziende di quei paesi che, grazie alla loro maggiore ricchezza, hanno dei tassi d'inflazione più bassi.
Come se ne esce?
Nel breve periodo, non potendo svalutare il fattore capitale (cioè, l'euro italiano rispetto a quello tedesco), nel tentativo di recuperare competitività, i nostri governi hanno deciso di svalutare il fattore lavoro (ovvero ridurre il suo costo) tramite l'austerità. Questo è anche il motivo per il quale, nonostante la retorica politica sulla crescita, il governo italiano non sta affatto contrastando la disoccupazione, ne sostenendo la domanda interna di consumi (può, la stessa maggioranza che ha sostenuto l'austerità entrare così palesemente in contraddizione con se stessa?).
Nel lungo periodo, in assenza di investimenti che riducano il divario competitivo tra l'Italia e i paesi più avanzati dell'eurozona, potrebbe essere ancora necessario ricorrere ad un'ulteriore svalutazione del fattore lavoro per riallineare il saldo delle partite correnti.
Questo dovrebbe far luce sui motivi, e sulla fretta, da parte del governo (e del Presidente della Repubblica che lo ha nominato) di far approvare al Parlamento delle riforme costituzionali, e una legge elettorale, che permettano, ad una minoranza, di imporre alla maggioranza degli italiani eventuali riforme che essi non vogliono. E' la governabilità.
Per comprendere le condizioni in cui questa ripresa potrebbe avvenire serve come prima cosa capire come è stata affrontata la crisi, ovvero con le manovre economiche di austerità di cui ci siamo già occupati (qui).
Pertanto, dal 2011 in avanti, per ottenere il riequilibro del saldo delle partite correnti (che è il sostanziale equilibrio tra il valore delle importazioni e quello delle esportazioni, più il saldo dei redditi da capitale e lavoro tra l'Italia e l'estero) è stato necessario diminuire i redditi degli italiani, tramite la disoccupazione, per far calare i consumi e quindi le importazioni. Il seguente grafico mostra l'andamento del reddito procapite italiano.
Come potete osservare, della prima flessione è responsabile la crisi economica mondiale del 2007, mentre il secondo calo, quello che riporta il reddito degli italiani a livelli precedenti al 1999 avviene in concomitanza con le politiche di austerità, mediante le quali i nostri governi riescono a riallineare il saldo delle partite correnti come mostra il successivo grafico (dal 2011 in avanti).
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Se ne deduce pertanto che esiste qualcosa che impedisce al sistema italiano di ottenere un maggior livello di reddito per la sua popolazione, senza che questo vada a beneficio di economie estere tramite l'aumento delle importazioni. E' il problema della competitività.
La convenienza di un prodotto è fortemente influenzata dal suo prezzo. E, in un'unione monetaria come l'euro (o in un sistema di cambi fissi che poi è lo stesso) essendo fisso il valore del cambio nominale tra le monete (un euro vale un euro a Bari come a Berlino) il livello dei prezzi dei prodotti dipende esclusivamente dai diversi tassi d'inflazione, che nel corso degli anni, in Italia e (ad esempio) in Germania, sono stati i seguenti.
Il grafico precedente mostra i tassi d'inflazione in Italia e Germania dal 1996, anno di fissazione dei cambi irrevocabili poi entrati in vigore a partire dal 1999, e il 2013 (ultimo dato annuale disponibile), e mostra anche il differenziale accumulato fra i due tassi d'inflazione. In pratica, durante il periodo osservato, la Germania ha accumulato, rispetto all'Italia, una svalutazione competitiva di circa il 15% sul cambio reale. Si osservi quindi che, avere la stessa moneta, non significa affatto avere i medesimi tassi d'inflazione. E questo comporta un indubbio vantaggio competitivo a favore dei prodotti delle aziende di quei paesi che, grazie alla loro maggiore ricchezza, hanno dei tassi d'inflazione più bassi.
Come se ne esce?
Nel breve periodo, non potendo svalutare il fattore capitale (cioè, l'euro italiano rispetto a quello tedesco), nel tentativo di recuperare competitività, i nostri governi hanno deciso di svalutare il fattore lavoro (ovvero ridurre il suo costo) tramite l'austerità. Questo è anche il motivo per il quale, nonostante la retorica politica sulla crescita, il governo italiano non sta affatto contrastando la disoccupazione, ne sostenendo la domanda interna di consumi (può, la stessa maggioranza che ha sostenuto l'austerità entrare così palesemente in contraddizione con se stessa?).
Nel lungo periodo, in assenza di investimenti che riducano il divario competitivo tra l'Italia e i paesi più avanzati dell'eurozona, potrebbe essere ancora necessario ricorrere ad un'ulteriore svalutazione del fattore lavoro per riallineare il saldo delle partite correnti.
Questo dovrebbe far luce sui motivi, e sulla fretta, da parte del governo (e del Presidente della Repubblica che lo ha nominato) di far approvare al Parlamento delle riforme costituzionali, e una legge elettorale, che permettano, ad una minoranza, di imporre alla maggioranza degli italiani eventuali riforme che essi non vogliono. E' la governabilità.
martedì 22 luglio 2014
A che cosa è servita l'austerità?!
Nel precedente post del 18 luglio "Quelli che il debito pubblico c'è perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità" commentavo come le politiche di austerità, e non le pazze spese degli italiani, abbiano fatto crescere il debito pubblico.
Per chi si chiedesse a che cosa sono servite le politiche di austerità, la risposta è nel grafico sottostante che rappresenta la bilancia delle partite correnti italiana in percentuale del PIL tra il 1990 e il 2013:
Intanto, occorre comprendere cosa siano le partite correnti. Rappresentano la somma dei saldi della bilancia commerciale (per importazioni e esportazioni di beni e servizi) e di quella finanziaria (sui redditi da capitali).
In pratica, se è negativa significa che dal paese sono usciti dei soldi, viceversa è positiva se ne sono entrati.
Date un'occhiata al grafico sopra rappresentato, vedete la prima linea rossa in corrispondenza della scritta "SME"? Indica il saldo del 1992, anno di uscita dell'Italia dal Sistema Monetario Europeo, l'antenato dell'euro, che imponeva una limitata oscillazione dei cambi fra le valute europee. Non riuscendo più a mantenere il cambio con il marco, a settembre di quell'anno, il nostro paese fu costretto ad uscirne. Cosa successe poi? Semplice, che la svalutazione della lira produsse dei saldi attivi crescenti delle nostre partite correnti con l'estero.
La seconda linea rossa la trovate in corrispondenza dell'anno 1996, ovvero quando vennero fissati i cambi irrevocabili tra le valute dei paesi aderenti all'euro che sarebbero entrati in vigore a partire dal 1999. La lira cominciò a rivalutarsi per adeguarsi al cambio obiettivo di 990 lire per 1 marco, e quindi 1936,27 lire per 1 euro. Guardate alcuni esempi (fonte: Banca d'Italia):
Che effetto ebbe questo riallineamento dei cambi sulla nostra economia? Come da manuale di macroeconomia, la rivalutazione della lira rese meno convenienti i prezzi dei prodotti del nostro paese e la bilancia delle partite correnti iniziò la sua corsa verso il basso. Insieme alla rivalutazione del cambio nominale sopra illustrata, bisogna considerare anche quella del cambio reale che considera il tasso d'inflazione, più alto nei paesi periferici dell'euro come il nostro rispetto, ad esempio, a quello della più sviluppata Germania. L'effetto combinato di questi due fattori portò il saldo delle partite correnti in deficit.
L'ultima linea rossa è in corrispondenza del 2011, l'anno di inizio delle politiche di austerità. Ricordiamo tutti le numerose leggi finanziarie approvate dal consiglio dei ministri del governo Berlusconi prima, e di quello Monti poi. Cosa accadde? Essendo, l'Italia, dal 1999 in un regime di cambi fissi (l'euro) non era possibile riallineare la bilancia delle partite correnti come nel 1992 (tramite la svalutazione della lira prodotta dal libero mercato delle monete). Pertanto, il governo ha eseguito un altro tipo di svalutazione, quella del fattore lavoro. E qual'è la migliore delle soluzioni per abbassare gli stipendi, diminuire i consumi e quindi le importazioni? Semplice, la disoccupazione. Già, perché se una persona non lavora spende meno.
Così come per il debito pubblico, la teoria economica prevede un effetto delle politiche di austerità anche sulle partite correnti. E' il seguente:
Pertanto, adesso sapete che l'obiettivo perseguito dal governo non è mai stato la diminuzione del debito pubblico, bensì quella dei consumi, e quindi l'aumento della disoccupazione, senza la quale ogni politica di austerità non avrebbe alcun effetto consistente.
Per chi si chiedesse a che cosa sono servite le politiche di austerità, la risposta è nel grafico sottostante che rappresenta la bilancia delle partite correnti italiana in percentuale del PIL tra il 1990 e il 2013:
In pratica, se è negativa significa che dal paese sono usciti dei soldi, viceversa è positiva se ne sono entrati.
Date un'occhiata al grafico sopra rappresentato, vedete la prima linea rossa in corrispondenza della scritta "SME"? Indica il saldo del 1992, anno di uscita dell'Italia dal Sistema Monetario Europeo, l'antenato dell'euro, che imponeva una limitata oscillazione dei cambi fra le valute europee. Non riuscendo più a mantenere il cambio con il marco, a settembre di quell'anno, il nostro paese fu costretto ad uscirne. Cosa successe poi? Semplice, che la svalutazione della lira produsse dei saldi attivi crescenti delle nostre partite correnti con l'estero.
La seconda linea rossa la trovate in corrispondenza dell'anno 1996, ovvero quando vennero fissati i cambi irrevocabili tra le valute dei paesi aderenti all'euro che sarebbero entrati in vigore a partire dal 1999. La lira cominciò a rivalutarsi per adeguarsi al cambio obiettivo di 990 lire per 1 marco, e quindi 1936,27 lire per 1 euro. Guardate alcuni esempi (fonte: Banca d'Italia):
Che effetto ebbe questo riallineamento dei cambi sulla nostra economia? Come da manuale di macroeconomia, la rivalutazione della lira rese meno convenienti i prezzi dei prodotti del nostro paese e la bilancia delle partite correnti iniziò la sua corsa verso il basso. Insieme alla rivalutazione del cambio nominale sopra illustrata, bisogna considerare anche quella del cambio reale che considera il tasso d'inflazione, più alto nei paesi periferici dell'euro come il nostro rispetto, ad esempio, a quello della più sviluppata Germania. L'effetto combinato di questi due fattori portò il saldo delle partite correnti in deficit.
L'ultima linea rossa è in corrispondenza del 2011, l'anno di inizio delle politiche di austerità. Ricordiamo tutti le numerose leggi finanziarie approvate dal consiglio dei ministri del governo Berlusconi prima, e di quello Monti poi. Cosa accadde? Essendo, l'Italia, dal 1999 in un regime di cambi fissi (l'euro) non era possibile riallineare la bilancia delle partite correnti come nel 1992 (tramite la svalutazione della lira prodotta dal libero mercato delle monete). Pertanto, il governo ha eseguito un altro tipo di svalutazione, quella del fattore lavoro. E qual'è la migliore delle soluzioni per abbassare gli stipendi, diminuire i consumi e quindi le importazioni? Semplice, la disoccupazione. Già, perché se una persona non lavora spende meno.
Così come per il debito pubblico, la teoria economica prevede un effetto delle politiche di austerità anche sulle partite correnti. E' il seguente:
Pertanto, adesso sapete che l'obiettivo perseguito dal governo non è mai stato la diminuzione del debito pubblico, bensì quella dei consumi, e quindi l'aumento della disoccupazione, senza la quale ogni politica di austerità non avrebbe alcun effetto consistente.
venerdì 18 luglio 2014
Quelli che il debito pubblico c'è perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità
C'è una storia che viene raccontata da anni agli italiani, soprattutto dall'arrivo della crisi, e sarebbe che il debito pubblico c'è perché abbiamo vissuto per anni al di sopra delle nostre possibilità, che ora dobbiamo risparmiare, e per questo il governo ci impone l'austerità.
Di seguito potrete vedere un grafico che mostra l'andamento del debito pubblico. La serie va dal 1994 perché è l'anno del precedente massimo storico, fino al 2007, inizio della crisi finanziaria ed economica mondiale.
Durante il periodo selezionato, il debito pubblico è sceso costantemente perché tenuto sotto controllo dai vari governi che si sono succeduti. Ce lo chiedeva l'Europa con il trattato di Maastricht.
Ora, guardate il grafico successivo che mostra l'andamento del debito pubblico dal 2007 al 2013.
Si vede un notevole incremento. La spiegazione di questo risultato è molto semplice. Tanto per cominciare nei momenti di crisi lo Stato ha maggiori spese, pensate solo al finanziamento della cassa integrazione, alle indennità di disoccupazione, ai salvataggi delle aziende come Alitalia, etc. etc.
Se poi volessimo proprio mettere i puntini sulle "i", ci sarebbero anche da contare i quasi 60 miliardi dati ai vari fondi di sostegno per paesi dell'Unione Europea in difficoltà finanziaria durante i governi Berlusconi e Monti (Fonte Banca d'Italia).
Ma la ragione principale dell'aumento del debito sono proprio le politiche di austerità. Il meccanismo è noto in economia come politica pro ciclica, che aggrava il ciclo economico, e funziona come nella grafica sotto riportata.
Di seguito potrete vedere un grafico che mostra l'andamento del debito pubblico. La serie va dal 1994 perché è l'anno del precedente massimo storico, fino al 2007, inizio della crisi finanziaria ed economica mondiale.
Ora, guardate il grafico successivo che mostra l'andamento del debito pubblico dal 2007 al 2013.
Se poi volessimo proprio mettere i puntini sulle "i", ci sarebbero anche da contare i quasi 60 miliardi dati ai vari fondi di sostegno per paesi dell'Unione Europea in difficoltà finanziaria durante i governi Berlusconi e Monti (Fonte Banca d'Italia).
Ma la ragione principale dell'aumento del debito sono proprio le politiche di austerità. Il meccanismo è noto in economia come politica pro ciclica, che aggrava il ciclo economico, e funziona come nella grafica sotto riportata.
Quindi, in conclusione, ora avete le prove del fatto che non è vero che il debito pubblico è aumentato perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità ma che, al contrario, sono state proprio le politiche economiche degli ultimi governi a causarne la crescita.
giovedì 17 luglio 2014
Verità sacrosante sulla riforma costituzionale
Può capitare di ascoltare un discorso e rendersi conto che rispecchia esattamente le tue idee ma con una chiarezza e precisione tali che tu non saresti stato in grado di offrire.
Questo è quello che mi è capitato ieri con l'intervento del Senatore Martelli del M5s a proposito della riforma costituzionale attualmente in discussione al Senato che potete vedere in questo video.
Questo è quello che mi è capitato ieri con l'intervento del Senatore Martelli del M5s a proposito della riforma costituzionale attualmente in discussione al Senato che potete vedere in questo video.
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