L'argomento di questo post è importante, e merita un certo approfondimento, tanto che per renderlo di più facile lettura l'ho diviso in due parti. La seconda puntata la leggerete settimana prossima.
E' stato scritto tanto a
proposito di Hitler, dell'economia europea fra le due guerre,
e dell'inflazione degli anni venti. Io non potrei mai essere all'altezza di aggiungere
altro rispetto a quanto già raccontato da illustri storici ed economisti. Il mio scopo, infatti, si limita a quello di farvi notare come i consensi che portarono Hitler al potere in Germania maturarono dalle politiche di
austerità messe in atto dal governo tedesco, dopo la grande depressione
del 1929, e che tale situazione presenta alcune significative analogie con quella attuale. Insomma, la
storia si ripete ma ogni volta sembra sempre diversa
(ma solo per chi non la conosce).
Partiamo dal fatto che dopo la
prima guerra mondiale, persa dalla Germania, il trattato di pace di
Versailles impose ai tedeschi l'onere di pagare delle pesantissime
riparazioni. Il motivo principale di questo trattamento fu
l'insistenza del governo francese. Keynes, nella sua celebre opera "Le conseguenze economiche della pace", descrive il primo ministro Clemenceau
come un politico convinto del fatto che il conflitto appena terminato fosse solo uno dei tanti contro la Germania, e che in futuro ce ne sarebbero stati altri. In quest'ottica, il suo scopo
doveva pertanto essere quello di indebolire il nemico il più possibile,
per dare un vantaggio competitivo al suo paese allo scoppio della
prossima guerra. Da questo atteggiamento, ne scaturì un accordo oltremodo punitivo che difficilmente avrebbe potuto essere rispettato dai
tedeschi.
La conseguenza di quella pace cartaginese
(come la definì il Keynes) fu l'iperinflazione tedesca degli anni venti del novecento.
E' necessario che vi precisi, ma senza entrare nel dettaglio,
che gli storici sono divisi sul motivo tecnico che causò tale fenomeno. Come ricordato dal Prof. Charles Kindleberger in "I primi del mondo", la scuola monetarista sostenne
che l'esplosione dei prezzi fu innescata dall'eccessiva stampa di moneta da parte della banca centrale
tedesca, mentre per la scuola
strutturalista il motivo sarebbe stato la difficoltà di
ripartire gli oneri dei sacrifici per il pagamento delle riparazioni di guerra tra le classi sociali. Se ho capito bene, secondo quest'ultima scuola di pensiero il governo avrebbe dovuto
aumentare la produttività delle fabbriche tedesche allungando la
giornata lavorativa. Inoltre, avrebbe dovuto eseguire una politica di austerità per
diminuire i consumi interni, proteggendo così il valore della moneta.
Comunque, indipendentemente dalla possibilità, o dalla volontà, del
governo tedesco di adempiere al trattato di Versailles senza provocare
l'iperinflazione, è opinione ampiamente condivisa che quell'accordo di pace fu l'origine del problema.
Riguardo
alle conseguenze dell'inflazione, lo storico Eric Hobsbawn, Nel best seller "Il secolo breve" racconta che la moneta perse
completamente il suo valore, riducendo sul lastrico le persone che
vivevano di rendite fisse o di risparmi. Da quel momento l'economia
della Germania dipese dagli investimenti in valuta estera. Tali afflussi
di denaro arrivarono dagli USA, a partire dal 1924, con il piano Dawes.
Gli anni successivi all'iperinflazione (che durò dal 1922 al novembre 1923) beneficiarono di una certa
stabilità dei prezzi, di una disoccupazione sotto controllo, e anche di
una certa crescita economica. In ogni caso, non furono rose e fiori. Io ho
trovato dei dati non proprio confrontabili, e forse anche contrastanti, in
quanto Hobsbawn scrive che in
quel periodo la disoccupazione media in Germania era del 10%,
mentre Wikipedia, nella sezione che si occupa della repubblica di Weimar riporta un grafico dove è indicato che la disoccupazione nel 1928 era ben al di sotto del 10%.
In ogni caso, e qui veniamo al punto che ci interessa particolarmente, come
riportato da Marcello Flores nel suo libro "Storia Universale XX Secolo" il partito nazista raggiunse solo il 2,6% dei
voti alle elezioni del 1928, nonostante l'inflazione del 1922-23, e la conseguente distruzione del risparmio.
Poi
venne il crollo di Wall Street del 1929 e la grande depressione dei
primi anni trenta. Per ovvi motivi (i soldi erano finiti) si
bloccarono i flussi di capitali che arrivavano in Germania
dagli USA e, come già accennato, proprio da quelle risorse la Germania
dipendeva finanziariamente. Il governo del cancelliere Brüning passò
alla storia per le misure di austerità draconiane che impose ai suoi concittadini (fu una specie di Monti ante litteram) e questo fece impennare il
numero dei disoccupati che, tra il 1930 e il 1932 raddoppiò. Il dato è
confermato sia da Marcello Flores che da Wikipedia, così come entrambe
le fonti concordano sui dati elettorali che videro, solo a partire da
allora, la escalation dei consensi del partito di Hitler: 18% nel 1930 e
37% nelle elezioni di luglio del 1932.
Secondo lo storico Eric
Hobsbawn, tuttavia, fu la distruzione del risparmio causata dall'inflazione a spianare
la strada al fascismo in Europa. Va ribadito che questa conclusione non
sembra essere suffragata dai fatti. Si può tuttavia ipotizzare che
Hobsbawn intendesse che le conseguenze dell'inflazione costrinsero i
governi degli anni trenta ad imporre l'austerità per mancanza di
risorse, cosa che poi ebbe l'effetto di provocare l'avanzata del nazismo
in Germania. Comunque, anche concordando con quest'interpretazione, è
bene sottolineare che la causa dell'inflazione fu, in origine, il trattato di pace di Versailles, a cui pertanto
andrebbero ricondotte tutte le sciagure successive.
Sotto troverete alcuni estratti dei libri che ho consultato per scrivere questo breve articoletto. Mi sembrava utile, ed interessante, riportarveli. Non vi annoio ulteriormente, e lascio alla prossima settimana il confronto tra gli anni venti e la nostra epoca. Anche se, molti di voi avranno già capito dove voglio arrivare.
Fonti:
John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace:
Se noi contrastiamo passo per passo ogni mezzo per il quale la Germania
o la Russia possono riconquistare il loro benessere materiale, solo
perché nutriamo un odio nazionale di razza o politico per le loro
popolazioni o per i loro governi dobbiamo anche prepararci a
fronteggiare le conseguenze di tale sentimento. [...]. La politica di
ridurre la Germania in uno stato di servitù per una generazione, di
degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare di ogni
benessere un'intera nazione dovrebbe essere aborrita e detestata anche
se fosse possibile attuarla, anche se ci si dovesse arricchire, anche se
essa non spargesse il seme della decadenza di tutta la vita civile
dell'Europa.
John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace: nonostante l'esito vittorioso per essa della lotta presente (con l'aiuto, questa volta, dell'Inghilterra e dell'America), la posizione futura della Francia rimaneva precaria agli occhi di un uomo [Clemenceau]
il quale partiva dall'assunto che la guerra civile europea è da
considerarsi uno stato di cose normale o almeno ricorrente in futuro, e che conflitti tra grandi potenze analighi a quelli che hanno occupato l'ultimo secolo impegneranno anche il prossimo. Secondo tale visione del futuro, la storia europea è destinata a essere una perpetuo incontro di boxe, del quale la Francia ha vinto questo round, ma del quale questo round non è cetamente l'ultimo.
Da questa convinzione che in sostanza il vecchio ordine non cambierà,
essendo fondato sulla natura umana che è sempre la stessa, e dal
conseguente scetticismo dalla Società delle Nazioni, la politica della Francia e di Clemenceau
derivava logicamente: una pace di magnaminità o di trattamento equo e
paritario, basato su una "ideologia" come quella dei Quattoridici Punti
di Wilson, poteva avere soltanto l'effetto di accorciare i tempi della ripresa tedesca e di affrettare il giorno in cui la Germmania scaglierà di nuovo contro la Francia il peso della sua superiorità numerica e delle sue maggiori risorse e capacità tecnica.
Charles
P. Kindleberger, I primi del mondo. Come nasce e come muore l'egemonia
delle grandi potenze, IX. La Germania, la ritardataria, 11. Il periodo
tra le due guerre: migliaia di pagine sono state scritte
sull'inflazione, pagine ricche di grandi intuizioni e notevoli
sottigliezze, ma il problema, mi pare riguarda il quesito se la società
tedesca all'indomani della guerra fosse capace di sostenere i rilevanti
oneri della ricostruzione e delle riparazioni, oneri sopportabili solo
costruendo una coesione sociale che avrebbe permesso di distribuitrli.
Le riparazioni fissate dopo Versailles erano ingenti; molto più
ragionevole era l'ipotesi di Keynes, secondo cui una cifra come 10
miliardi di dollari sarebbe stata sopportabile, diversamente dai 40
miliardi di dollari che aveva calcolato come implicitamente imposti dal
trattato di Versailles, o i 33 miliardi più le tasse sulle esportazioni
(da ripagare nel corso di 42 anni) concordati dalla Commissione per le
riparazioni nell'aprile del 1921. La questione era se ci fosse o meno la
volontà di pagare. La scuola monetarista sostiene che l'inflazione
tedesca dipese dall'eccessiva emissione di marchi da parte dela
Reichsbank, mentre la strutturalista sostiene che dipese dall'incapacità
dei vari segmenti dell'economia di distribuire gli oneri.
Eric J. Hobsbawn, Il secolo breve 1914/1991, l'età della catastrofe - nell'abisso economico:
Nel caso estremo la Germania del 1923, l'unità monetaria perse di un
milione di milioni il valore che aveva nel 1913, cioè a dire il valore
della moneta si ridusse in pratica a zero. [...]. In breve, il risparmio
privato scomparve completamente, creando così un vuoto quasi completo
di capitali da investire in attività produttiva, il che spiega in grande
misura il fatto che l'economia tedesca negli anni successivi alla
guerra dovesse affidarsi in misura massiccia ai prestiti esteri. Questo
la rese insolitamente vulnerabile allorché iniziò la crisi. [...].
Quando nel 1922-23 la grande inflazione finì, essenzialmente per la
decisione dei governi di bloccare la stampa di carta moneta in quantità
illimitate e di cambiare valuta, le persone in Germania che vivevano di
risparmi o di redditi fissi si trovarono sul lastrico. [...]. Ci si può
facilmente immaginare l'effetto traumatico di un'esperienza simile sulle
classi medie e medio-basse. Essa rese l'Europa pronta per l'avvento del
fascismo.
Marcello Flores, Storia universale - Il XX Secolo (allegato al Corriere della Sera), pag.257: I disoccupati, che nel 1930 sono già tre milioni, nel 1932 raggiungono i sei milioni. Il rapporto diretto che esiste tra crisi economica e l'ascesa del partito nazista emerge dai risultati elettorali. Nel 1928 la NSDAP ha appena il 2,6% dei voti, che salgono a 18,3% nel settembre 1930 (con sei milioni e mezzo di elettori) e raggiungono nel luglio 1932 il 37,4% dei consensi.
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