lunedì 16 marzo 2015

Il ritorno alle monete nazionali favorirebbe il processo d’integrazione europea che oggi l’euro mette a repentaglio

Una semplice lettura dell’articolo scritto nel 1957 dal celebre economista premio nobel J.E.Meade e pubblicato dalla rivista scientifica The Economic Journal, vi renderà consapevoli di quanto sia superficiale, e ideologicamente orientato, l’odierno dibattito politico sul processo d’integrazione europea basato sulle cosiddette riforme.

L’articolo, dal titolo “The balance-of-payments problems of a European free-trade area”  è disponibile per la consultazione gratuita a questo link e tratta della possibilità, di cui si iniziava a parlare in quegli anni, di stabilire un’area di libero commercio fra alcuni paesi che oggi fanno parte dell’Unione Europea. Va come prima cosa notato che era perfettamente noto agli economisti, già prima degli anni cinquanta, il problema del rischio degli squilibri della bilancia commerciale fra paesi, in particolar modo all’interno di un’area di libero scambio internazionale (come quella rappresentata dall’Unione Europea, e soprattutto dall’eurozona). Tenendo conto di questo problema, Meade individuò almeno cinque possibilità di gestione di una futura area di libero scambio continentale (riferendosi, per ovvi motivi storici, a quella che allora veniva considerata l’Europa occidentale):
  1. approccio della liquidità
  2.  metodo del gold-standard
  3. criterio dell’integrazione
  4. sistema del controllo diretto
  5. struttura a cambi flessibili

Poiché non voglio rovinarvi il gusto della lettura, vi riepilogo brevemente  in cosa consistono i suddetti differenti sistemi.

Il primo, liquidity approach, consiste nella concessione di risorse finanziare da parte dei paesi con la bilancia commerciale in surplus, a quelli in deficit. In effetti, questo è ciò che è avvenuto nell’area euro dal momento della sua istituzione fino al blocco dei finanziamenti dovuto alla crisi finanziaria. Vicenda magistralmente illustrata dal vice presidente della Banca Centrale Europea nel suo discorso tenutosi ad Atene nel 2013.

La tabella di sinistra mostra la crescita progressiva dell'esposizione creditizia dei cosiddetti paesi virtuosi, che sono quelli con una posizione in surplus della bilancia commerciale, verso quelli in deficit. La tabella di destra mostra la stessa progressione in percentuale del PIL. Il calo è avvenuto in conseguenza del fatto che, quando è scoppiata la crisi, la fiducia dei creditori che aveva caratterizzato l'area euro fino a quel momento è venuta meno. La fonte sono le slide del discorso del vice presidente della BCE Vitor Constancio fatto ad Atene nel 2013 (qui)
Del resto, come osserva lo stesso Meade, questo approccio non può essere considerato che un accorgimento temporaneo, non adatto a risolvere gli squilibri persistenti della bilancia dei pagamenti.

Il gold-standard approach consiste nel ricorso alla svalutazione interna (a noi meglio nota come politica dell’austerità) da parte di quei paesi con la bilancia commerciale in deficit, e il contemporaneo ricorso a politiche opposte (inflazionistiche) da parte di quei paesi in surplus, con l'obiettivo di non far ricadere l’onere dell’aggiustamento commerciale solo sulle popolazioni in deficit. L'aspetto interessante sta nel fatto che Meade era convinto che questo sistema sarebbe saltato in quanto i governi (quelli di allora!) erano a suo dire giustamente devoti a perseguire politiche di pieno impiego, e non avrebbero mai accettato l’idea di perseguire l’obiettivo del libero scambio internazionale a scapito dell’occupazione.  

Questo mi ha fatto subito pensare alle parole di Romano Prodi nella sua ben nota intervista rilasciata al Financial Times nel 2001, in cui affermava che l’euro avrebbe permesso ai governi di fare delle riforme fino a quel momento impensabili, ma che sarebbero state possibili sull’onda delle conseguenze di una crisi economica.


Parole forse poco chiare ai più ma che diventarono molto più comprensibili, col senno di poi, a seguito di una successiva dichiarazione resa dieci anni più tardi da un altro dei padri nobili dell'euro, il Senatore Mario Monti, durante una trasmissione televisiva italiana poco prima di essere nominato Presidente del Consiglio: <<La Grecia è il più grande successo dell'euro>>.

Il terzo sistema, integration approach, si basa su un’autorità sovranazionale europea in grado di governare gli squilibri della bilancia commerciale tramite trasferimenti e politiche d’investimento nelle zone più arretrate d’Europa (Meade cita come esempio il meridione italiano). Pur essendo favorevole a tale soluzione Meade constata come essa sia di fatto irrealizzabile, in quanto comporterebbe il forte ridimensionamento del potere dei governi nazionali a scapito di un’autorità, che per quanto indipendente, avrebbe comunque il compito di affrontare scelte con  importanti conseguenze politiche (quali aree sostenere e quali no?). Non a caso quando la Banca Centrale Europea venne costituita le fu permesso di finanziare le banche private ma, al contempo, le fu impedito di porre in atto trasferimenti alle singole autorità nazionali.

La cura agli squilibri commerciali proposta nel direct-control approach è quella di limitare un certo tipo di importazioni/esportazioni in modo coordinato fra i paesi europei. Ovviamente, questo tipo di soluzione preclude la creazione di una vera area di libero scambio.

Per ultimo viene illustrato il metodo exchange-rate approach che poi è quello che fu realmente utilizzato fino alla costituzione di fatto della moneta unica nel 1996, quando vennero stabiliti i cambi irrevocabili tra le monete aderenti alla zona euro che poi entrarono in vigore a partire dal primo gennaio 1999. Meade sostiene, parafrasando Churchill, che questo tipo di approccio è semplicemente il peggiore possibile escludendo tutti gli altri. Esso non risolve affatto tutti i problemi ma fornisce un’arma, la svalutazione, a tutti quei paesi che si sperimentano persistenti deficit della bilancia dei pagamenti , funzionando da deterrente verso quei paesi che, al contrario, sfruttano  i vantaggi della loro posizione di surplus. Questa situazione metterebbe sullo stesso piano paesi creditori e debitori favorendo una maggiore cooperazione europea che permetterebbe, nel lungo periodo, la convergenza dei cambi delle singole monete europee senza dover incorrere in traumatici periodi forte disoccupazione (come quello che stiamo vivendo oggi). Io aggiungo che se ciò non avvenisse sarebbe un sintomo del fatto che non tutti i popoli europei sono disposti a intraprendere un vero percorso d'integrazione. E se così fosse, perché farglielo digerire per forza tramite l'euro?

Concludo questo post con un'altra mia personale considerazione. Se, come affermato da Meade, la via dell’integrazione europea sarebbe possibile solo attraverso l’uso di monete nazionali con cambi flessibili (proprio quelli che sono stati aboliti dall'introduzione della moneta unica) con quale diritto alcuni sostenitori dell’euro definiscono gli euro-scettici con l’appellativo di anti europeisti?   

2 commenti:

  1. Molto interessante.
    Un significativo corollario al tema della crisi dell'euro e alle sue possibili soluzioni è rappresentato dalla possibilità di adottare valute complementari che potrebbero dare un impulso alla domanda interna.

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    1. Grazie.
      Quello delle monete complementari è un tema molto interessante che magari discuteremo quando pubblicherò un post sulle aree valutarie ottimali di Mundell.

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