lunedì 3 ottobre 2016

La polemica sul prelievo fiscale al 64,8%

In data 31 agosto, il Sole24Ore ha pubblicato un articolo che conteneva una tabella (figura 1) che ha fatto molto discutere, e che conteneva due dati:
  1. la percentuale di prelievo fiscale sugli utili aziendali (corporate tax rate)
  2. la percentuale di prelievo fiscale complessiva sulle società (total tax rate)
Sul primo dato non c'è molto da dire, anche perché il prelievo fiscale sugli utili, in Italia, è in linea con quello di altri grandi paesi industriali (Italia 31,4%, Francia 36,6%, Germania 29,8%, USA 35%).

Invece, la percentuale di prelievo complessiva, che in Italia è più alta che in tutti gli altri paesi della tabella, ha provocato molte polemiche. Come prima cosa però occorre osservare che il total tax rate, pubblicato dalla Banca Mondiale, è un rapporto tra due grandezze. Pertanto, come succede anche nelle relazioni umane, il risultato è influenzato da entrambi i termini. Da una parte (a numeratore) ci sono le tasse pagate e dall'altra (a denominatore) i profitti complessivi (figura 2). Questa premessa è importante se consideriamo il fatto che, nel total tax rate, tra le tasse pagate non ci sono solo quelle sui profitti (ovvero l'Ires che in Italia ha un'aliquota del 27,5%, che nel 2017 si ridurrà al 24%) ma anche (e non solo) i contributi sociali che si pagano sul reddito dei lavoratori, e non su quello della società. E' quindi possibile che quella percentuale del 64,8% dipenda anche dal fatto che in questi anni di crisi, in Italia, i profitti delle società siano stati piuttosto esigui.

Relativamente alla polemica scoppiata sui contributi, ci sarebbe anche un'osservazione da fare. Infatti, nel nostro sistema pensionistico, quello contributivo, ciò che l'azienda versa è alla base del calcolo della nostra futura pensione. Una riduzione dei contributi porterebbe, come conseguenza, delle pensioni più basse che, a loro volta, causerebbero un calo dei consumi e minori profitti aziendali (per l'ovvio principio per cui chi non guadagna non spende). Questo, non sarebbe un elemento a favore dell'abbassamento del total tax rate.

Vorrei terminare invitandovi a osservare (come avevo già fatto qui) che, nonostante alcuni luoghi comuni persistano, in Italia il costo orario del lavoro, comprensivo del costo dei contributi, non è più alto di quello della media dell'eurozona (figura 3). Se il governo volesse comunque abbassarlo per favorire la ripresa economica (ma non vuole, vedi figura 4), sarebbe più saggio diminuire l'imposta sul reddito (Irpef) al posto dei contributi sociali.

Figura 1: la tabella pubblicata sul Sole24Ore contenente le percentuali di tassazione sulle società. Fonte: www.infodata.ilsole24ore.com
Figura 2: come spiega il sito della Banca Mondiale, il total tax rate è considerato <<as a share of commercial profits>> ovvero come percentuali dei profitti commerciali. Fonte: World Bank (per visualizzare la metodica di calcolo del total tax rate cliccare details). Tra l'altro, il grafico della World Bank indica come questo valore sia in diminuzione rispetto al 2005 quando era al 76,7%, il che indica che il rapporto fra tasse e profitti, in questi anni, nonostante tutto, è più favorevole che in passato per le società.


Figura 3: Il costo orario del lavoro in Italia è di poco sotto la media dell'eurozona (EA-19) e il costo delle componenti diverse dallo stipendio, tra cui i contributi, e di poco sopra la media. Fonte: Eurostat
Figura 4: Il ministro Padoan ammette che sono state le politiche d'austerità volute dal governo a bloccare la crescita. Se volete sapere perché l'hanno fatto, qui troverete l'amara verità


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