domenica 23 marzo 2025

Ventotene come pilastro dell'Unione europea?

Le reazioni indignate verso il Presidente del Consiglio, colpevole di aver criticato il manifesto di Ventotene, a mio parere, mancano di affrontare un punto fondamentale della questione. La consueta retorica sul fascismo e l'antifascismo, in questo caso, è sprecata perché non dovrebbe sorprendere nessuno che un documento esplicitamente socialista possa non piacere a un governo di destra.

"La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita". 

A mio parere, stride di più il fatto che coloro i quali inneggiano allo spirito di Ventotene come pilastro dell'Unione europea, non si rendano apparentemente conto che quella filosofia di sinistra, peraltro ampiamente presente nella nostra costituzione repubblicana, sia totalmente e assolutamente incompatibile con i trattati comunitari che invece sono di stampo prettamente liberale. Ad esempio, in UE, gli obiettivi piena occupazione e progresso sociale sono subordinati alla stabilità dei prezzi e alla competitività. Vi ricordate, o no, come sono state gestite la grande recessione e l'inflazione post Covid?

Art.3 Trattato UE

"L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente".

Piuttosto che il programma economico, ciò che nella UE io rivedo del manifesto Ventotene è la filosofia elitarista nella quale gli intellettuali illuminati guidano il gregge popolare verso un obiettivo, da essi deciso, che rappresenta (secondo loro) il bene comune; oltre all'amore per il paradosso politico per cui i grandi balzi di paradigma debbano essere portati avanti proprio nei momenti peggiori. 

"Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna".

Ci voleva infatti una buona dose di idealismo, o forse d'ingenuità, per pensare all'unità europea (e dell'intero globo) nel 1941, in piena guerra mondiale.

"E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo".

Tanta quanta ce n'è voluta per portare avanti, negli anni novanta del secolo scorso, un'unione monetaria, dopo il fallimento di tutti gli accordi di cambio fisso tentati fino a quel momento; o per proporre oggi un esercito unico europeo nonostante tutte le divisioni presenti fra le nazioni europee sui dossier internazionali.

Il fatto è che l'idea di un'Europa federale, di cui non si trova traccia nemmeno nei trattati UE (che si limitano ad avere come obiettivo un'unione sempre più stretta) non è un'idea razionale. Alberga, più che altro, nei cuori di chi la brama. È quindi perfettamente inutile discuterne in modo ragionevole. Questo non significa che non possa essere realizzata un giorno, magari con la forza, come auspicato dal manifesto di Ventotene. 

"Se il popolo è immaturo, se ne darà una cattiva; ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione. I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sull’«i», sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere solo ritoccate in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente". 

Tuttavia, la meschinità intellettuale con cui quest'idea viene presentata, e soprattutto i metodi antidemocratici con la quale viene portata avanti (praticamente tutte le decisioni impopolari gli ultimi decenni provengono da Bruxelles) mi rendono, a dir poco, freddo verso l'entusiasmo dei tanti che l'appoggiano, soprattutto a sinistra.

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