lunedì 16 febbraio 2015

Il diritto alla verità: breve riassunto delle vere cause della crisi economica

In un divertente film di qualche tempo fa, il personaggio interpretato da Michele Placido, un ex politico corrotto, nelle ultime scene del  film esprime un interessante concetto, quello del diritto alla verità per i cittadini.

Io non so se quello che vi racconterò di seguito è, o meno, tutta la verità. Lo spero, forse lo penso anche ma più semplicemente vorrei solo divulgare i fatti che, per ignoranza, dolo, o colpa grave, vengono omessi nel quotidiano dibattito sulla crisi economica.

Pertanto, se avrete la pazienza di leggere questo post fino alla fine, forse non verrete a conoscenza di tutta la verità, ma potrete certamente chiedere conto della semplice omissione dei seguenti fatti a tutti coloro i quali vi affidate giornalmente per il consueto racconto delle informazioni economiche e politiche.

Cominciamo da una cosa fondamentale. Chi vi racconta che la crisi italiana è colpa della troppa spesa pubblica (per la verità sono rimasti in pochi) si sbaglia, o vi sta mentendo. Attenzione alla scelta delle parole, non vi ho detto che ha un'opinione diversa da quella di altri, cosa che capita spesso agli economisti, ma che i dati dei grafici che seguono smentiscono la possibilità che la crisi economica italiana si sia originata nel settore pubblico. A livello accademico, nessun economista serio direbbe il contrario perché verrebbe deriso dai suoi colleghi. Del resto, anche la Banca Centrale Europea ha ammesso che la spesa pubblica ha avuto molto poco a che fare con la crisi (qui).

Come potete vedere, la spesa pubblica italiana è stata di soli tre punti percentuali scarsi sopra la media UE durante il periodo precrisi. Che la crisi non è stato un problema di spesa pubblica, inoltre, lo dimostra il fatto che tutti gli altri paesi sotto stress per la crisi (i PIIGS, in rosso) hanno avuto nel periodo 1999-2007 una spesa inferiore alla media UE.
La linea azzurra mostra il saldo primario del bilancio pubblico dal 1991 al 2012. Potete osservare come le entrate pubbliche, non considerando gli interessi passivi, hanno sempre superato le uscite, con la sola eccezione del 2008.
Questo grafico mostra l'andamento decrescente del debito pubblico in rapporto al PIL per tutto il periodo di preparazione della crisi.
Nel periodo precedente la crisi, l'Italia non ha avuto una spesa pubblica particolarmente alta rispetto ai partner europei. Inoltre ha conseguito un avanzo primario tra i più alti. Infine, il rapporto fra debito pubblico e PIL negli anni che hanno preceduto la crisi ha continuato a migliorare.

Ma allora quali sono le cause della crisi?

Il problema è che, per diversi anni, dall'Italia sono usciti più soldi di quanti ne sono entrati dall'estero. Se volete le prove, sarà sufficiente dare un'occhiata al grafico successivo che mostra il saldo annuale (in rapporto al PIL) delle partite correnti che, grosso modo, qui non siamo professori d'economia, corrisponde alla differenza fra esportazioni (entrate di risorse finanziarie) e importazioni (uscite di risorse finanziarie). Questo ha causato un debito con l'estero (originatosi per lo più nel settore privato, non in quello pubblico) che potete vedere nel grafico successivo a quello delle partite correnti. A finanziarci erano le banche dei paesi del nord Europa, Germania in testa, perché grazie all'impossibilità di svalutare, e dato che i nostri tassi d'interesse sono più alti di quelli tedeschi, gli investimenti verso il nostro paese erano diventati molto più convenienti di quelli del loro.

Il grafico delle partite correnti qui sopra evidenzia come a partire dal 1997 il surplus della bilancia commerciale italiana diminuisca fino a andare in deficit a partire dagli anni 2000 per poi tornare in attivo a causa dell'austerità.
La linea blu mostra il saldo delle partite correnti già riportato nel grafico precedente, mentre la linea rossa è il debito estero italiano che peggiora drammaticamente negli anni dell'euro.
Questo grafico mostra l'aumento dell'indebitamento del settore bancario dei paesi definiti PIIGS nei confronti di quelli "virtuosi" avvenuto dalla nascita dell'euro fino alla crisi. Per quanto riguarda il nostro paese è praticamente raddoppiato nel periodo antecedente la crisi. La fonte di questa slide è il discorso del vice Presidente della BCE Vitor Constancio ad Tene nel maggio 2013 (qui).

Ora, osservate meglio cosa succede al grafico delle partite correnti a partire dalla seconda metà degli anni novanta. Il surplus finanziario italiano si abbassa, anno dopo anno, fino a diventare un deficit a partire dagli anni duemila, e tornare in attivo solo a partire dal 2013.

Volete sapere cos'è successo?

A partire dalla seconda parte degli anni novanta la lira italiana si rivaluta su tutte le monete che a partire dal primo gennaio 1999 sarebbero entrate a far parte dell'euro. Seguono alcuni esempi (la fonte dei grafici è la Banca d'Italia).

Il cambio lira marco raggiunge il suo massimo punto di svalutazione (della lira) nel 1995 per poi rivalutarsi fino alla sua definitiva stabilizzazione avvenuta con l'avvento dell'euro
Il cambio della lira sul franco francese segue lo stesso andamento di quello già visto relativamente al marco
Anche la peseta spagnola segue lo stesso andamento precedentemente osservato per il marco e il franco francese
L'andamento del cambio con il fiorino olandese è in linea con i precedenti
Questi sono fatti storici, non opinioni. Nel novembre del 1996 furono fissate le parità di cambio fra le valute aderenti alla moneta unica che sarebbero poi entrate in vigore con l'euro. Voi capirete bene che, a una rivalutazione della propria moneta corrisponde un vantaggio nelle importazioni dato da una valuta più forte, e un conseguente svantaggio dovuto al fatto che per i residenti esteri (quelli nei confronti i quali hai rivalutato) i tuoi prodotti diventano più cari. Il punto è che per un paese che esporta manufatti, e l'Italia è infatti ancora la seconda economia manifatturiera d'europa dopo la Germania, una rivalutazione è più dannosa di una svalutazione. L'argomento può essere approfondito da chiunque ne abbia voglia, ma la realtà dei fatti è esposta chiaramente nella curva al ribasso del nostro saldo delle partite correnti tra il 1997 e il 2011.

Voi però direte che, a partire dal 1999 è arrivato l'euro, il cambio si è stabilizzato perché tutti avevano la stessa moneta, ma il saldo delle partite correnti italiane ha continuato a peggiorare. Il motivo per cui questo è accaduto è abbastanza semplice. Il cambio nominale con l'euro è rimasto sì fisso, e uguale per tutti i paese dell'area, ma quello reale, che incorpora il dato d'inflazione ha continuato a divergere fra i singoli paesi. Qui sotto potete vedere cos'è successo all'inflazione italiana rispetto a quella della Germania.

Il grafico mostra il differenziale d'inflazione tra Italia e Germania nel periodo 1996-2013 (in verde) che arriva a circa 13 punti percentuali. Il tasso d'inflazione della Germania è la linea blu mentre quello dell'Italia corrisponde alla linea rossa. Avendo un'inflazione minore, e non dovendo rivalutare, le stesse banconote in Germania oggi valgono il 13% in più rispetto all'Italia. Questa divergenza fra il cambio nominale (1 a 1) e quello reale, di fatto, corrisponde a una svalutazione competitiva dell'economia tedesca.
Quindi, riassumendo, ad una rivalutazione del cambio nominale avvenuta negli anni novanta si è sommata un'altra rivalutazione, del cambio reale, negli anni duemila. Praticamente, noi stiamo rivalutando da vent'anni mentre il commercio internazionale dei paesi come la Germania, da allora, sta godendo dei vantaggi connessi una svalutazione competitiva. Già, proprio quella svalutazione competitiva che noi non dovremmo fare perché sarebbe immorale.

Cos'è successo a partire dal 2011?

Vi ricordate quella conferenza stampo in cui Sarkozy e la Merkel risero di Berlusconi (e di tutti noi) in risposta alla domanda di un giornalista che chiedeva se il governo italiano avrebbe preso le contromisure necessarie per affrontare la crisi finanziaria in atto in quel periodo? Bene, il problema è stato risolto con un accordo politico che ha fatto comodo sia a Berlusconi che all'allora opposizione (il PD). Il Cavaliere presentò le sue dimissioni e il Presidente Napolitano nominò un ex commissario europeo, un tecnico, che si fece carico di fare quella macelleria sociale, necessaria a risollevare il nostro saldo delle partite correnti, appoggiato da una maggioranza composta sia l'ex maggioranza che dall'ex opposizione. Quel tecnico, lo conoscete tutti, si chiama Mario Monti.

Il primo governo Monti ha semplicemente spianato la strada per un Monti bis (Enrico Letta) e un ter (Matteo Renzi). Il suo compito è stato quello di attuare politiche il cui scopo era (ed è) quello di diminuire i consumi degli italiani. Questo ha distrutto il mercato interno (e quindi il PIL), e fatto aumentare la disoccupazione a livelli mai visti nel nostro paese, ma ha ridotto le importazioni, e riportato in attivo il saldo della bilancia commerciale.

In questo grafico potete vedere la crescita reale del PIL italiano su base annuale. Notate come dopo la crisi nel 2008-2009 l'economia si fosse ripresa e come a partire dal 2011, con l'austerità ripiomba nel baratro. Nel 2013, due anni dopo, la crescita era ancora negativa (-2%).
Questo grafico, preparato dal Prof. Alberto Bagnai per il suo blog Goofynomics mostra l'andamento delle esportazioni e delle importazioni italiane a partire dal 2007. L'andamento delle importazioni (linea rossa) è decrescente fino al 2009 (a causa della crisi finanziaria proveniente dagli USA) poi si riprende fino al 2011, e poi crolla nuovamente a seguito alle politiche di austerità del governo Monti. Al contrario, le esportazioni, che non dipendono dai nostri redditi ma da quelli degli acquirenti esteri non subiscono alcun crollo. L'austerità bilanciato così il nostro saldo delle partite correnti.
Notate come aumenta la disoccupazione in corrispondenza dell'inizio delle politiche di austerità iniziate dal governo Berlusconi e poi rafforzate da quello Monti. Il dato dell'ultimo trimestre 2014 ha raggiunto quota 13%.
Apro solo una breve parentesi. Ho letto su alcuni blog che l'austerità del governo non ci sarebbe stata in quanto le spese pubbliche sono comunque cresciute anche dopo il 2011. Sinceramente, questo è un dato a cui non va dato alcun peso. I fatti mostrano quanto, in Italia, siano diminuiti i consumi a partire dal 2011 e, sempre i dati statistici, mostrano che in questi anni il saldo primario pubblico è sempre stato mantenuto in attivo, e quello secondario, dentro i parametri di Maastricht (salvo in alcuni anni in cui però siamo subito rientrati). Il fatto che la spesa pubblica possa essere aumentata è del tutto indifferente (e prevedibile in anni di crisi). Il punto è che quella privata è sicuramente diminuita, e quella totale pure, e che quindi, il governo non ha fatto alcuna politica attiva per sostenerla. Se non vi piace chiamarla austerità usate pure un'altra parola, non so, Pippo. Dite che il governo ha fatto Pippo, per me è lo stesso.

E il debito pubblico, quello che era accusato di essere la fonte di tutti i nostri mali, grazie alla cura Monti com'è andato? Male, ovviamente. Rispetto al 2007, nel 2013 era già aumentato di quasi trenta punti percentuali. 

L'austerità serve a bilanciare il saldo delle partite correnti ma fa ovviamente incrementare il debito pubblico a causa della recessione, e quindi della caduta del PIL.
Rispondo subito a chi di voi si starà chiedendo cosa avrebbe potuto fare di diverso il governo italiano?

In primo luogo, illustrare la situazione agli elettori con sincerità. Non com'è stato fatto anche con l'ausilio dei media collusi, dicendo che andavano fatte le riforme. Perché, se il problema è che cadono i soldi dalla tasca, questo non si risolve mettendoci dentro altre monete, ma casomai ricucendo i pantaloni. Paradossalmente quindi, disporre nell'immediato di maggiori risorse finanziarie dovute al recupero dall'evasione, dagli sprechi, e dalla corruzione (pur essendo doveroso combattere questi fenomeni) non sarebbe stato molto d'aiuto per la nostra economia, dato che nella nostra situazione questo farebbe aumentare i consumi di beni esteri. Infatti, di tutte le riforme sopra elencate è stato fatto, per il momento, solo il jobs act, la riforma del lavoro che punta a far abbassare gli stipendi dei nuovi assunti, appunto per diminuirne i consumi. Tra l'altro, chi vi racconta che il costo del lavoro in italia è troppo alto, o è ignorante, o mente. I dati sull'argomento sono consultabili da tutti (qui) e quello italiano è nella media UE.

In secondo luogo, la soluzione più ovvia sarebbe stata quella di uscire dall'euro. Questo avrebbe comportato sicuramente una svalutazione del cambio della lira, che come abbiamo visto è di gran lunga sopravvalutato all'interno dell'area euro. Ma questa svalutazione (esterna) non va assolutamente confusa con quella interna, data dall'aumento dei prezzi, ovvero dall'inflazione. Dire che a una svalutazione, per esempio del 20%, corrisponderebbe un aumento dei prezzi di pari percentuale è una menzogna dal punto di vista tecnico (oltre che un atto di vile terrorismo psicologico per chi conosce la verità!). Molti studi economici, che chi vuole può cercarsi, lo dimostrano. Ma poi, voi la spesa andate a farla a Berlino, o al supermercato sotto casa? Se la risposta è la seconda, allora dovreste preoccuparvi di più del fatto che ad un cambio sopravvalutato corrisponda un aumento spropositato delle importazioni, e quindi una flessione della produzione nostrana (che Confindustria stima in un 25% dall'inizio della crisi) e del conseguente aumento della disoccupazione (infatti, se non si vende le aziende mandano a casa i dipendenti) che della probabile svalutazione della lira.

Siamo giunti alla fine di questo post. Vi ringrazio per averlo letto tutto. Come avete potuto constatare dai dati e dalle fonti relative, io vi ho semplicemente mostrato i fatti. Nello specifico, quelli che ho ritenuto fossero più importanti per spiegarvi la questione. Non vi ho preso in giro, ne raccontato falsità. Ora lascio alla vostra voglia di approfondire il tema ogni successiva considerazione. E pensateci bene prima di fidarvi di quello che si sente dire in giro, perché voi avete diritto di conoscere la verità.

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