Sulla base dei concetti di debito estero e PIL, già brevemente illustrati (qui) e (qui) vorrei tentare qualche ulteriore riflessione su: USA, Cina e UE. Il periodo selezionato è quello che va dal 2008 al 2022. Ho scelto come termine della serie storica quell'anno semplicemente perché è l'ultimo presente nella base dati da me utilizzata per i valori relativi alla posizione netta con l'estero (PNE o, in inglese, NIIP). Ho usato come valore i dollari nominali allo scopo di facilitare il confronto internazionale.
Vediamo cosa dice il grafico sottostante, e la tabella corrispondente (che vi propongo per comodità). Negli Stati Uniti, durante il periodo 2008-2022 il PIL è cresciuto (valori nominali in miliardi di dollari), infatti il punto 2022 della linea azzurra si trova più in alto rispetto a quello 2008. Nello stesso tempo è peggiorata anche la posizione netta sull'estero, o debito estero netto (sempre in dollari nominali), infatti il punto 2022 si trova, tra i valori negativi, più a sinistra di quello 2008. Spero così di aver chiarito come funziona il grafico. Proseguiamo con la Cina (linea rossa) che dal 2008 al 2022 ha avuto una crescita esplosiva e, nello stesso tempo, ha visto aumentare il suo credito estero, a valori nominali. La UE, linea verde, ha sperimentato invece una crescita complessiva più debole ed è passata da una posizione di debito a una di credito estero netto.
Che cosa c'è d'interessante in tutto questo? Partiamo dagli USA. Si nota molto bene come la crescita del PIL sia correlata ad un debito estero in aumento. In questo modo gli americani riescono a finanziare i beni d'importazione, in eccesso rispetto a quelli esportati. Il motore di questo squilibrio è l'elevato livello di spesa (privata e pubblica).
La Cina, al contrario degli USA, ha uno squilibrio in senso opposto. La sua crescita trae impulso dalle esportazioni. C'è però un dettaglio abbastanza importante. Nel paese asiatico, diventato la fabbrica del mondo grazie alla sua manodopera a basso costo, da anni cresce la domanda interna. Questo è dovuto all'aumento dei redditi procapite. Più redditi uguale più importazioni e, se osservate bene la tabella del grafico precedente, noterete il dimezzamento del credito estero in percentuale al PIL, passato dal 30% al 14%. Significa che stanno progressivamente aprendo al mondo il proprio mercato.
Per la UE, che è un'area economica e non un unico paese, è necessario impostare il discorso su due piani. Complessivamente siamo passati da una posizione di debito a una di credito estero limitando la crescita e, come potete vedere dal grafico successivo, svalutando l'euro sul dollaro quasi del 30%.
Da tempo i governi USA si lamentano di quello che, a loro dire, è una vera e propria manipolazione del cambio da parte alcuni di paesi. Questo è un problema che non riguarda solo la zona euro. Tuttavia bisogna ammettere che la nostra situazione è piuttosto particolare, infatti la moneta unica si è svalutata nei confronti del dollaro in un momento in cui era sempre più richiesta negli USA, a causa del nostro perenne surplus commerciale verso di loro. Quest'operazione ha consentito un minimo di respiro a quei paesi che, per rimanere nell'euro, hanno eseguito delle politiche di svalutazione interna e cioè hanno riequilibrato il saldo estero negativo tagliando i redditi interni per importare di meno.
Veniamo al secondo grafico che considera le quattro maggiori economie UE che, benché nel complesso abbia una posizione attiva verso l'estero, presenta una situazione eterogenea a livello nazionale. Osservate infatti come Italia e Spagna siano rientrate, o stiano rientrando, dal debito estero netto. La Spagna del 2022 era quasi a metà di una lunga strada mentre in Italia l'operazione era già perfettamente riuscita. La Francia invece, a causa delle mancate politiche d'austerità, ha avuto il percorso inverso e oggi ha un alto debito estero netto. Proseguendo su questa china, senza ulteriori politiche di taglio della spesa (sia privata che pubblica) che corregga il saldo estero, l'euro diverrà sempre più insostenibile per i cugini transalpini.
All'opposto della Francia, in Germania la posizione netta con l'estero ha continuato a migliorare. Nel 2022 sfiorava i 3 mila miliardi di dollari (un valore superiore anche a quello cinese) e in rapporto al PIL è passata dal 17% al 70%. Uno squilibrio da record che si è prodotto anche in conseguenza della svalutazione dell'euro che ha avuto un effetto più rilevante sull'economia tedesca, non avendo essa bisogno di un'ulteriore svalutazione per essere competitiva.
Una politica alternativa alla svalutazione dell'euro sarebbe stata possibile se il governo tedesco avesse trainato la crescita delle zone periferiche del continente sostenendo la propria domanda interna, importando di più. Questo era proprio quello che auspicava l'ex presidente Monti nel 2011. In questa celebre intervista alla CNN esprimeva soddisfazione per aver recuperato competitività sui mercati internazionali, distruggendo la nostra domanda interna tramite il consolidamento fiscale, ma avvertiva che questa situazione sarebbe stata insostenibile senza l'impulso alla crescita fornito dalle esportazioni.
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Oggi sappiamo che, a causa della sua impostazione mercantilista quell'apporto positivo alle esportazioni dei paesi in crisi non arrivò dalla Germania, ma dagli USA previa svalutazione dell'euro sul dollaro che, per chi vuole intendere, era proprio quello che raccontava Mario Draghi a Helsinki nel 2014 quando disse: "Non è che i paesi abbiano perso totalmente la flessibilità del cambio entrando nell'unione monetaria perché ad essi rimane la flessibilità del cambio dell'euro" (sul dollaro ovviamente. Qui). Quindi, in pratica, il salvataggio dell'euro ha determinato, tra le varie conseguenze, anche l'esportazione dei nostri squilibri interni verso gli USA e il resto del mondo. Squilibri interni maturati perseguendo intenzionalmente una strategia volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e combinando ciò con una politica fiscale prociclica, con l'effetto di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale (vedi discorso di Mario Draghi a La Hulpe l'anno scorso. Qui).
Quindi, forse, non dovrebbe sembrarci tanto strano che questo atteggiamento da scaricabarile abbia sollevato alcuni dissapori fra noi e Washington. Ad esempio, a molti non sarà sfuggita questa recente dichiarazione del presidente Trump che accusa Bruxelles di essere più cattiva di Pechino. Cosa penso io di quest'affermazione credo sia implicito in questo post, ma vorrei concludere con un'osservazione di metodo più che di merito.