lunedì 2 giugno 2025

Trump, i dazi e l'elefante nella stanza

Sulla base dei concetti di debito estero e PIL, già brevemente illustrati (qui) e (qui) vorrei tentare qualche ulteriore riflessione su: USA, Cina e UE. Il periodo selezionato è quello che va dal 2008 al 2022. Ho scelto come termine della serie storica quell'anno semplicemente perché è l'ultimo presente nella base dati da me utilizzata per i valori relativi alla posizione netta con l'estero (PNE o, in inglese, NIIP). Ho usato come valore i dollari nominali allo scopo di facilitare il confronto internazionale.

Vediamo cosa dice il grafico sottostante, e la tabella corrispondente (che vi propongo per comodità). Negli Stati Uniti, durante il periodo 2008-2022 il PIL è cresciuto (valori nominali in miliardi di dollari), infatti il punto 2022 della linea azzurra si trova più in alto rispetto a quello 2008. Nello stesso tempo è peggiorata anche la posizione netta sull'estero, o debito estero netto (sempre in dollari nominali), infatti il punto 2022 si trova, tra i valori negativi, più a sinistra di quello 2008. Spero così di aver chiarito come funziona il grafico. Proseguiamo con la Cina (linea rossa) che dal 2008 al 2022 ha avuto una crescita esplosiva e, nello stesso tempo, ha visto aumentare il suo credito estero, a valori nominali. La UE, linea verde, ha sperimentato invece una crescita complessiva più debole ed è passata da una posizione di debito a una di credito estero netto.

Che cosa c'è d'interessante in tutto questo? Partiamo dagli USA. Si nota molto bene come la crescita del PIL sia correlata ad un debito estero in aumento. In questo modo gli americani riescono a finanziare i beni d'importazione, in eccesso rispetto a quelli esportati. Il motore di questo squilibrio è l'elevato livello di spesa (privata e pubblica).

La Cina, al contrario degli USA, ha uno squilibrio in senso opposto. La sua crescita trae impulso dalle esportazioni. C'è però un dettaglio abbastanza importante. Nel paese asiatico, diventato la fabbrica del mondo grazie alla sua manodopera a basso costo, da anni cresce la domanda interna. Questo è dovuto all'aumento dei redditi procapite. Più redditi uguale più importazioni e, se osservate bene la tabella del grafico precedente, noterete il dimezzamento del credito estero in percentuale al PIL, passato dal 30% al 14%. Significa che stanno progressivamente aprendo al mondo il proprio mercato. 

Per la UE, che è un'area economica e non un unico paese, è necessario impostare il discorso su due piani. Complessivamente siamo passati da una posizione di debito a una di credito estero limitando la crescita e, come potete vedere dal grafico successivo, svalutando l'euro sul dollaro quasi del 30%.

Da tempo i governi USA si lamentano di quello che, a loro dire, è una vera e propria manipolazione del cambio da parte alcuni di paesi. Questo è un problema che non riguarda solo la zona euro. Tuttavia bisogna ammettere che la nostra situazione è piuttosto particolare, infatti la moneta unica si è svalutata nei confronti del dollaro in un momento in cui era sempre più richiesta negli USA, a causa del nostro perenne surplus commerciale verso di loro. Quest'operazione ha consentito un minimo di respiro a quei paesi che, per rimanere nell'euro, hanno eseguito delle politiche di svalutazione interna e cioè hanno riequilibrato il saldo estero negativo tagliando i redditi interni per importare di meno.

Veniamo al secondo grafico che considera le quattro maggiori economie UE che, benché nel complesso abbia una posizione attiva verso l'estero, presenta una situazione eterogenea a livello nazionale. Osservate infatti come Italia e Spagna siano rientrate, o stiano rientrando, dal debito estero netto. La Spagna del 2022 era quasi a metà di una lunga strada mentre in Italia l'operazione era già perfettamente riuscita. La Francia invece, a causa delle mancate politiche d'austerità, ha avuto il percorso inverso e oggi ha un alto debito estero netto. Proseguendo su questa china, senza ulteriori politiche di taglio della spesa (sia privata che pubblica) che corregga il saldo estero, l'euro diverrà sempre più insostenibile per i cugini transalpini.

All'opposto della Francia, in Germania la posizione netta con l'estero ha continuato a migliorare. Nel 2022 sfiorava i 3 mila miliardi di dollari (un valore superiore anche a quello cinese) e in rapporto al PIL è passata dal 17% al 70%. Uno squilibrio da record che si è prodotto anche in conseguenza della svalutazione dell'euro che ha avuto un effetto più rilevante sull'economia tedesca, non avendo essa bisogno di un'ulteriore svalutazione per essere competitiva. 

Una politica alternativa alla svalutazione dell'euro sarebbe stata possibile se il governo tedesco avesse trainato la crescita delle zone periferiche del continente sostenendo la propria domanda interna, importando di più. Questo era proprio quello che auspicava l'ex presidente Monti nel 2011. In questa celebre intervista alla CNN esprimeva soddisfazione per aver recuperato competitività sui mercati internazionali, distruggendo la nostra domanda interna tramite il consolidamento fiscale, ma avvertiva che questa situazione sarebbe stata insostenibile senza l'impulso alla crescita fornito dalle esportazioni. 

(qui)

Oggi sappiamo che, a causa della sua impostazione mercantilista quell'apporto positivo alle esportazioni dei paesi in crisi non arrivò dalla Germania, ma dagli USA previa svalutazione dell'euro sul dollaro che, per chi vuole intendere, era proprio quello che raccontava Mario Draghi a Helsinki nel 2014 quando disse: "Non è che i paesi abbiano perso totalmente la flessibilità del cambio entrando nell'unione monetaria perché ad essi rimane la flessibilità del cambio dell'euro" (sul dollaro ovviamente. Qui). Quindi, in pratica, il salvataggio dell'euro ha determinato, tra le varie conseguenze, anche l'esportazione dei nostri squilibri interni verso gli USA e il resto del mondo. Squilibri interni maturati perseguendo intenzionalmente una strategia volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e combinando ciò con una politica fiscale prociclica, con l'effetto di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale (vedi discorso di Mario Draghi a La Hulpe l'anno scorso. Qui).

Quindi, forse, non dovrebbe sembrarci tanto strano che questo atteggiamento da scaricabarile abbia sollevato alcuni dissapori fra noi e Washington. Ad esempio, a molti non sarà sfuggita questa recente dichiarazione del presidente Trump che accusa Bruxelles di essere più cattiva di Pechino. Cosa penso io di quest'affermazione credo sia implicito in questo post, ma vorrei concludere con un'osservazione di metodo più che di merito. 


Una discussione costruttiva su questo argomento dovrebbe partire dalla presa di coscienza del fatto che la globalizzazione del commercio, e della movimentazione dei capitali, ha causato degli importanti squilibri a livello mondiale. Si può considerare la questione come meritevole d'attenzione oppure metterla da parte in attesa che si risolva, o esploda, da sola. Il governo del paese leader del globo, che è anche la nazione più indebitata, ha deciso di prendere in considerazione alcuni strumenti di riequilibrio. Ovviamente può non piacere come viene trattata tutta la vicenda dal suo presidente, rimane tuttavia un elementare fatto aritmetico: se un paese vuole correggere il suo saldo debitorio verso l'estero questa decisione coinvolgerà per forza di cose qualcun altro. Il mondo è un'economia chiusa e non abbiamo partite contabili terrestri compensabili con altri pianeti del sistema solare, o della galassia. In economia, come in ecologia, "There is no planet B". 

Trump può mettere i dazi e questo avrà ripercussioni negative verso altri paesi; può distruggere la domanda interna americana come ha fatto l'ex presidente Monti da noi e questo danneggerebbe le esportazioni di alcuni paesi verso gli USA; può svalutare il dollaro verso le altre valute, o una in particolare, e questo andrebbe a scapito dei produttori di altri paesi. Piaccia o non piaccia il suo presidente, niente di quello che può fare l'America per occuparsi del suo debito può avere un impatto esterno nullo verso l'esterno.

Rimane quindi da discutere come reagire alla necessità di un cliente, un debitore, di ridurre la sua esposizione verso di noi. Perché dovrebbe essere ormai chiaro che un creditore non può far finta che i guai del debitore non lo riguardino. Pertanto il problema è quello di reindirizzare le nostre vendite verso qualcun altro per evitare di perdere fatturato (cioè PIL). Abbiamo visto che la UE è complessivamente un'area in surplus che da anni convive con una bassa crescita, l'esatto contrario degli USA. Sostenere la domanda interna al nostro mercato sarebbe di certo una soluzione gradita anche ai nostri partner internazionali. Peccato che coordinarci per governare l'espansione nostre economie e tenere, nel contempo, a bada i nostri squilibri interni sia un'impresa resa molto più complicata dalla moneta unica. Lo abbiamo visto dopo la crisi del 2008, quando fu necessario il riaggiustamento degli squilibri causati dall'euro durante la precedente fase di crescita (vedi sempre Draghi 2014, citato prima).

Ecco che l'euro risulta essere, ancora una volta, un enorme convitato di pietra. Guai a nominarlo. Esattamente come si fa un gran parlare del surplus cinese senza badare a quello tedesco, più grande, che in tutta questa faccenda è il vero elefante nella stanza, e lo abbiamo proprio qui a casa nostra. 

Se siete interessanti a questo argomento troverete un'analisi più lunga, accurata e professionale della mia su Goofynomics (qui e qui)





lunedì 12 maggio 2025

Nozioni di base sul PIL

Per cominciare suggerisco di partire dalla tabella qui sotto, pubblicata dall'Istat a marzo 2025, che si riferisce alla rappresentazione delle principali componenti del Prodotto Interno Lordo (PIL) dell'anno 2024 nelle tre modalità di calcolo previste dalla tecnica: dal lato della produzione (o dell'offerta), dal lato della spesa (o della domanda) e da quello del reddito.


L'importo dell'anno 2024, stimato dal nostro istituto di statistica, può essere rappresentato in tre modi differenti ma ammonta sempre a 2.192.181,60 milioni di euro. Il fatto che il PIL coincida non deve sorprendere poiché si produce per vendere e i guadagni del produttore corrispondono esattamente ai costi del consumatore. Quando andiamo a fare la spesa, i soldi che diamo al fruttivendolo rappresentano i suoi guadagni. Il PIL è un mostro a tre facce. Vediamo ora questi calcoli un po' più da vicino.

IL PIL DAL LATO DELLA PRODUZIONE

Il PIL è calcolato dalla differenza tra il valore della produzione (i ricavi di vendita del produttore) e i costi esterni di produzione (che sono quelli dei materiali e dei servizi necessari a produrre). Il risultato di quest'operazione è chiamato valore aggiunto e corrisponde alla "torta" che viene ripartita fra i profitti (che vanno a remunerare i capitali investiti) e gli stipendi (che invece ripagano il lavoratore). Per trovare il PIL partendo dal valore aggiunto bisogna sommare le imposte indirette (essenzialmente l'iva) e sottrarre i contributi ai prodotti. In pratica, queste due ultime voci rappresentano un ulteriore 12%.

IL PIL DAL LATO DELLA SPESA

In questa modalità il PIL è la somma di diverse grandezze. Innanzitutto i consumi delle famiglie e quelli dell'amministrazione pubblica. Non deve stupire il fatto che la spesa pubblica, esattamente come quella privata, sia una componente positiva del PIL. Perché dovrebbe essere diverso? Le spese di un soggetto, privato o pubblico, sono sempre i guadagni di qualcun altro! Si faccia però attenzione a una cosa importante: i consumi dell'amministrazione pubblica non sono tutta la spesa pubblica, che è molto più elevata (circa la metà del PIL) ma solo una parte di essa. Non comprendono i trasferimenti, come ad esempio le pensioni o gli stipendi della pubblica amministrazione. Questi entreranno a fare parte del PIL come consumi privati, una volta spesi dai percettori (le famiglie). Ai consumi vanno aggiunti gli investimenti, e la differenza tra esportazioni e importazioni. Le importazioni vanno sottratte in qualità di reddito dell'esportatore straniero (quindi di PIL di un altro paese) ma non sono solo una componente negativa, in quanto rappresentano anche un guadagno per il soggetto residente che rivende, sul proprio territorio, la merce acquistata all'estero.

IL PIL DAL LATO DEL REDDITO

Il PIL si può calcolare anche come guadagno e quindi sommando i redditi di famiglie e imprese (società di capitali, di persone e imprese individuali). A questo valore vanno aggiunte le imposte sulla produzione, quelle sulle importazioni e sottratti i contributi (intesi come sussidi alla produzione). 



I calcoli che abbiamo visto fino ad ora sono relativi al PIL nominale o, come viene definito tecnicamente, a prezzi correnti (o di mercato). Esso ha senso come misura del valore per l'anno in corso ma dato che esiste un fenomeno chiamato inflazione, che misura la variazione dei prezzi in percentuale sull'anno precedente, per stabilire la crescita da un anno con l'altro (o in una serie di anni più o meno lunga) si usa il PIL reale o a prezzi costanti. Salvo espliciti riferimenti al suo valore nominale, il dato reale è quello usato per indicare la crescita (o la diminuzione) percentuale del PIL, come nell'esempio qui sotto. 


Per calcolarlo bisogna rapportare il PIL nominale di un certo anno al deflatore del PIL dello stesso periodo. Sul database WEO oct.24 si trova sia il PIL a prezzi correnti in euro (Gross domestic product, current prices) che il deflatore con anno base 2020 (gross domestic product, deflactor). Significa che la serie storica presa in considerazione sarà a prezzi costanti dell'anno 2020. Lo svolgimento di questo esercizio lo trovate nella tabella sottostante. Il PIL del 2024 ammonta a 2.181 miliardi di euro nominali ed leggermente inferiore a quello Istat di 2.192 perché i dati WEO di ottobre 2024 sono previsionali. Il PIL a prezzi costanti si calcola dividendo il PIL a prezzi correnti (A) per il deflatore (B) moltiplicato per 100. 

Come potete osservare nella figura qui sotto, negli anni precedenti a quello di riferimento (il 2020) il PIL nominale tenderà ad essere più basso di quello reale mentre, a causa dell'inflazione, accadrà il contrario per quelli successivi. 200 miliardi del PIL del 1980 corrispondono a 1.200 a prezzi 2020, mentre i 2.181 miliardi del 2024 a soli 1.930.

Il grafico successivo è costruito sulla base delle serie storiche di Banca d'Italia e mostra l'andamento del PIL italiano, a prezzi costanti 2010, dall'unità fino al 2017. E' interessante notare che a partire dal 2007 si riscontra un'importante anomalia, il PIL smette di crescere e il valore del 2017 risulta essere ancora più basso di quello di dieci anni prima. Anche a causa della pandemia del 2020, abbiamo dovuto aspettare fino al 2024 per superare i livelli precrisi. Secondo i dati disponibili, si tratta della più lunga recessione/stagnazione di tutta la storia italiana (guerre mondiali comprese) ed è stata provocata dalla grande recessione del 2007 e poi dalle misure di politica economica implementate, a partire dal 2011, per riportare in attivo la nostra bilancia con l'estero e per evitare l'uscita dell'Italia dall'euro. Potete approfondire questo argomento su Goofynomics.

Abbiamo considerato fino a questo momento il PIL come misura del valore complessivo di un'economia. Con il PIL procapite, lo stesso valore può essere calcolato come importo medio per abitante. Qui sotto l'andamento di quello italiano che ovviamente (non essendo variata di molto la popolazione) e in tutto e per tutto simile a quello complessivo. Anche questi dati si possono reperire comodamente sul database WEO Oct. 2024 (Gross domestic product per capita, constant prices).

Voglio terminare questo piccolo vademecum con qualche considerazione sull'utilizzo dello strumento del PIL in ambito internazionale. Dato che i vari paesi del mondo hanno monete differenti tra loro, il confronto è eseguito in una moneta comune che di norma è il dollaro USA (la valuta più importante). Per farlo è necessario convertire in dollari il PIL espresso nelle valute locali. Impostando la ricerca GDP (Gross Domestic Product) sul database World Development Indicators si trovano i dati del PIL in dollari a prezzi correnti (GDP current US$) per paese e per anno. Quelli di seguito sono i valori dell'anno 2023 di: USA, UE e Cina.

Il PIL più alto è quello USA (quasi 28 mila miliardi di dollari) seguito da quello UE (18,6 mila miliardi) e dalla Cina (17,8 mila miliardi). Può essere che vi sia capitato d'imbattervi, da qualche parte, in una stima del PIL differente eseguita mediante il metodo della parità dei poteri d'acquisto (Purchasing Power Parity. Abbreviata PPP). Questa rappresentazione (vedi figura sotto) mostra risultati molto differenti in cui è la Cina ad avere il PIL più alto.

L'applicazione del calcolo della parità dei poteri d'acquisto al PIL complessivo è un sistema discutibile che rischia di essere fuorviante, per il semplice motivo che è ponderato secondo il potere d'acquisto della moneta locale. Ovviamente, in Cina un dollaro vale di più che in USA o in UE perché è un paese relativamente più povero dove i prezzi sono più bassi. Questo sistema è inutile se l'obiettivo è farsi un'idea dell'importanza di un'economia rispetto a quella di altri paesi. Ha invece perfettamente senso se si vuole confrontare il PIL procapite, cioè il reddito medio. Dalla figura qui sotto si vede come in Cina si viva mediamente con circa 25 mila dollari annui mentre in UE con 60 mila e in USA con 83 mila (dati 2023 World Development Indicators - GDP per capita, PPP current international $).

Se volessimo rappresentare una serie storica di valori dovremmo farlo (con il dollaro) a prezzi costanti. In questo modo si neutralizzerebbero anche tutte le oscillazioni di cambio fra le diverse valute e quella di riferimento per tutto il periodo considerato. Anche in questo caso potete approfondire il tema su Goofynomics.

Per oggi abbiamo concluso. Avete capito cos'è il PIL? E' un valore che stima la produzione, il consumo e il reddito di un'economia. Nel caso non fosse chiaro: produzione, consumo e reddito sono la stessa cosa vista da lati differenti. Tramite questo parametro possiamo farci un'idea delle condizioni economiche di un paese e quindi anche di come vivono i suoi abitanti, in media, rispetto a noi. Ovviamente il PIL non considera tanti altri aspetti rilevanti della vita. Purtroppo non esiste nessun parametro economico che, da solo, rappresenti un fotografia completa di un paese, dei suoi tanti lati positivi e di tutti i problemi. Conoscere gli indicatori economici, uno per uno, è utile proprio per sapere esattamente cosa misurano e cosa no, nella consapevolezza che quei dati saranno sempre e solo pezzi di una figura più grande.


lunedì 21 aprile 2025

Debito privato, pubblico ed estero. Un incipit.

Il debito è quello strumento mediante il quale si riceve un bene o un servizio oggi e lo si paga domani, o in un futuro più lontano (anche un po' alla volta). Un debito si origina, ad esempio, quando si stipula un mutuo o un finanziamento con una banca oppure quando si ha un conto in sospeso con un fornitore, o con un amico. In economia, l'insieme dei debiti di tutti i soggetti privati (famiglie e imprese) verso le istituzioni finanziarie è chiamato debito privato. Secondo il principio per cui se esiste un debito e quindi un debitore, esiste anche un credito e quindi un creditore, è utile tenere a mente che il totale dei debiti è sempre uguale a quello dei crediti. Se qualcuno soffre perché è troppo indebitato è perché qualcun altro gli ha concesso troppo credito; magari perché ha sovrastimato le capacità della controparte di fare fronte ai suoi impegni oppure perché un evento inaspettato ha compromesso la possibilità del debitore di restituire quanto dovuto (la perdita del lavoro, il calo del fatturato, un incidente, la morte, ecc. ecc.)

Per la costruzione di questo grafico ho scaricato i dati disponibili nel database della World Bank alla voce domestic credit to private sector (qui)

Passiamo ora al settore pubblico. Il governo amministra le entrate e le uscite finanziarie del proprio paese. Le prime sono tipicamente le imposte e le tasse pagate dai contribuenti mentre le seconde corrispondono ai servizi offerti (strade, ospedali, scuole, polizia, esercito, e chi più ne ha...). Dato che normalmente le uscite risultano superiori alle entrate si ha un deficit, cioè un importo che va coperto tramite finanziamento. Per questo motivo il ministero del Tesoro emette dei titoli, cioè delle attività che verranno rimborsate all'acquirente al termine del periodo (mesi o anni) e, nel frattempo, si impegna a pagare anche una somma periodica supplementare chiamata interessi. In virtù della possibilità illimitata che una banca centrale ha di finanziare il proprio governo, i titoli pubblici sono ritenuti a basso rischio. Il valore complessivo dei titoli emessi dal Tesoro, non ancora rimborsati, viene chiamato debito pubblico. Anche in questo caso abbiamo un debitore, lo stato (quindi noi) e dei creditori che corrispondono a coloro i quali hanno acquistato i titoli di stato. Se fossero tutti soggetti residenti, il totale del debito che peserebbe sulla collettività sarebbe uguale al credito complessivo vantato dalla stessa popolazione. A livello complessivo il soggetto debitore corrisponderebbe a quello creditore ma è ovvio che esisterebbe comunque una differenza tra chi paga le tasse solo per rifinanziare il debito e chi invece, pur pagando, godesse anche dello status di creditore.

Per la costruzione di questo grafico ho utilizzato il database di ottobre 2024 del Fondo Monetario Internazionale che è ricchissimo di dati. Si può scaricare qui

Normalmente però non tutto il debito pubblico di un paese è detenuto da soggetti residenti in quello stato. Oggi possiamo comprare titoli del Tesoro americano, francese, tedesco...e viceversa il mondo può comprarli da noi (circa il 30% del debito pubblico italiano è in mano a soggetti esteri). Lo stesso discorso vale per il debito privato. Chi opera a livello internazionale ha debiti e crediti con soggetti situati in altre parti del pianeta. Occorre quindi introdurre un'ulteriore tipologia di debito: il debito estero, che corrisponde a tutti quei debiti di un'economia, pubblici o privati, detenuti da soggetti residenti all'estero. La somma algebrica delle attività e delle passività detenute da un'economia verso quelle del resto del mondo si chiama invece debito/credito estero netto (o meglio, posizione netta con l'estero - PNE o Net International Investment Position - NIIP, in inglese).


Le colonnine verdi corrispondono ai paesi creditori e quelle rosse ai debitori. I dati di entrambi i grafici provengono dal database External Wealth of the Nations, nella versione del 13 gennaio 2025 (qui)

Nei grafici di questo post ho voluto mostrare i 10 paesi con i valori di debito, privato e pubblico, più alti in rapporto al PIL (cioè reddito annuale complessivo dei soggetti residenti in un paese). Di per sé questo parametro non ci restituisce un'indicazione affidabile della rischiosità di un debito ma solo della sua rilevanza economica. Per quanto riguarda la posizione netta con l'estero ho preferito aggiungere anche un grafico delle 10 economie maggiormente accreditate/indebitate in milioni di dollari. Questo perché, trattandosi di un confronto internazionale, ho pensato che fosse utile dare un'idea dei valori nominali in gioco oltre che dei rapporti in base al PIL. Non vi sfuggirà il fatto che nel grafico c'è una posizione debitoria fuori scala, quella degli USA, il cui governo è attualmente impegnato, tra mille polemiche, a gestire una situazione che è peggiorata nel corso del tempo e che fa dipendere fortemente l'economia americana dai capitali esteri per finanziare i propri consumi di beni importati e, di converso, comporta il fatto che molti paesi dipendano per una parte crescente dei loro redditi dagli acquisti americani invece che dalla propria domanda interna.

Qualche considerazione finale. Come potete vedere, non è detto che un paese con un alto debito pubblico abbia anche un alto debito privato, o un alto debito estero. Sono cose differenti. Ad esempio, l'Italia ha un debito pubblico rilevante ma un debito privato non così alto e una posizione di credito a livello internazionale. Ci sono varie situazioni. In generale, si parla sempre troppo spesso di debito pubblico e mai di debito privato o di quello estero. In ogni caso questi semplici valori, presi in modo a sé stante, non ci dicono abbastanza per fare delle valutazioni sensate sulla solidità di un'economia. Argomento che, per non complicare le cose, proverò a trattare un'altra volta. 

domenica 23 marzo 2025

Ventotene come pilastro dell'Unione europea?

Le reazioni indignate verso il Presidente del Consiglio, colpevole di aver criticato il manifesto di Ventotene, a mio parere, mancano di affrontare un punto fondamentale della questione. La consueta retorica sul fascismo e l'antifascismo, in questo caso, è sprecata perché non dovrebbe sorprendere nessuno che un documento esplicitamente socialista possa non piacere a un governo di destra.

"La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita". 

A mio parere, stride di più il fatto che coloro i quali inneggiano allo spirito di Ventotene come pilastro dell'Unione europea, non si rendano apparentemente conto che quella filosofia di sinistra, peraltro ampiamente presente nella nostra costituzione repubblicana, sia totalmente e assolutamente incompatibile con i trattati comunitari che invece sono di stampo prettamente liberale. Ad esempio, in UE, gli obiettivi piena occupazione e progresso sociale sono subordinati alla stabilità dei prezzi e alla competitività. Vi ricordate, o no, come sono state gestite la grande recessione e l'inflazione post Covid?

Art.3 Trattato UE

"L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente".

Piuttosto che il programma economico, ciò che nella UE io rivedo del manifesto Ventotene è la filosofia elitarista nella quale gli intellettuali illuminati guidano il gregge popolare verso un obiettivo, da essi deciso, che rappresenta (secondo loro) il bene comune; oltre all'amore per il paradosso politico per cui i grandi balzi di paradigma debbano essere portati avanti proprio nei momenti peggiori. 

"Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna".

Ci voleva infatti una buona dose di idealismo, o forse d'ingenuità, per pensare all'unità europea (e dell'intero globo) nel 1941, in piena guerra mondiale.

"E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo".

Tanta quanta ce n'è voluta per portare avanti, negli anni novanta del secolo scorso, un'unione monetaria, dopo il fallimento di tutti gli accordi di cambio fisso tentati fino a quel momento; o per proporre oggi un esercito unico europeo nonostante tutte le divisioni presenti fra le nazioni europee sui dossier internazionali.

Il fatto è che l'idea di un'Europa federale, di cui non si trova traccia nemmeno nei trattati UE (che si limitano ad avere come obiettivo un'unione sempre più stretta) non è un'idea razionale. Alberga, più che altro, nei cuori di chi la brama. È quindi perfettamente inutile discuterne in modo ragionevole. Questo non significa che non possa essere realizzata un giorno, magari con la forza, come auspicato dal manifesto di Ventotene. 

"Se il popolo è immaturo, se ne darà una cattiva; ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione. I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sull’«i», sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere solo ritoccate in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente". 

Tuttavia, la meschinità intellettuale con cui quest'idea viene presentata, e soprattutto i metodi antidemocratici con la quale viene portata avanti (praticamente tutte le decisioni impopolari gli ultimi decenni provengono da Bruxelles) mi rendono, a dir poco, freddo verso l'entusiasmo dei tanti che l'appoggiano, soprattutto a sinistra.