Premessa: avevo appena completato la stima dei costi dei dazi al 30% che USA e UE si sono accordati al 15%. Pazienza, la metodologia di calcolo rimane la stessa e se i costi non sembravano rilevanti prima a maggior ragione non lo saranno ora, a meno di un'ulteriore importante svalutazione del dollaro sull'euro.
Oggi vedremo qualche numero sulle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti nel 2024, e proveremo a fare qualche rudimentale stima, per il 2025, sui possibili impatti dei dazi che dovrebbero essere attivi da agosto, nel caso in cui la parti non trovassero un accordo prima di quella scadenza.
La tabella qui sotto riporta, secondo uno schema top-down (che parte dai valori aggregati per poi scendere nel particolare): il PIL italiano del 2024, le esportazioni complessive (che sono una componente del PIL) e quelle verso gli USA (che sono una parte di quelle totali). La fonte dei dati sono il portale Istat e quello specifico per il commercio internazionale Coeweb. Le esportazioni verso gli USA sono divise anche per settore merceologico (il manifatturiero la fa da padrona) e per regione (la Lombardia è quella che ha esportato di più nel 2024).

Sulla base di questi dati (che sono quelli dell'anno scorso) ho calcolato una stima dei costi dei dazi per l'anno in corso. L'idea applicata è molto semplice: i dazi vengono considerati come qualsiasi altro fattore che aumenta il prezzo di un bene. Pertanto ho calcolato una perdita del 30% sulle esportazioni per i 5 mesi del 2025 in cui si suppone che essi saranno attivi (da agosto a dicembre). Naturalmente, se dovessero essere più bassi, o più alti, questa percentuale andrà adattata. Inoltre, ho aggiunto un 6% che corrisponde alla svalutazione del dollaro sull'euro avvenuta fino a giugno 2025, rispetto al 2024. Anche per questa variabile vale lo stesso discorso di quella precedente. Il senso di questo metodo di calcolo è quello per cui se mi alzi il prezzo di 36 io comprerò 36 di meno. Non è molto complicato ma è comprensibile. Tra l 'altro, questa stima è piuttosto pessimistica perché implica che gli esportatori non intendano farsi carico, nemmeno in parte, degli aumenti di prezzo causati da dazi e svalutazioni.
Tuttavia, come potete vedere dalla tabella qui sotto, se consideriamo il quadrimestre gennaio-aprile, le nostre esportazioni verso gli USA sono state più alte di quelle dello stesso periodo 2024. Questa variazione positiva è in controtendenza con la svalutazione del dollaro e potrebbe essere imputabile alle scorte accumulate in previsione dell'arrivo dei dazi. Comunque sia, sottraendo la perdita già calcolata precedentemente (13,6 miliardi di euro), al valore delle esportazioni previste per il 2025 (71,6 miliardi di euro), ottenuto tramite la proiezione dei dati del primo quadrimestre, viene fuori un calo di 6,7 miliardi rispetto al 2024.

Questo valore di 6,7 miliardi di euro può, a sua volta, oscillare di un 35% circa, perché la correlazione media tra variazione del cambio e quella delle esportazioni, da me ricavata a partire dai dati 2008 è del 65%. Nel calcolo della correlazione ho eliminato gli anni 2009 e 2020 in quanto non rappresentativi, per ovvie ragioni. Pertanto, la mia stima finale è che la perdita 2025 potrebbe oscillare tra i 4 e i 9 miliardi di euro. Una variazione media negativa del 10% rispetto alle esportazioni 2024, che su base storica è di certo significativa, ma che rappresenta solamente un valore che va dallo 0,2% allo 0,4% del nostro PIL nominale previsto per il 2025. Tutto sommato, non mi sembra un dramma. Non voglio sminuirne l'importanza, o sostenere che nessuno perderà il lavoro (questo non lo so), ma stiamo parlando di valori che, apparentemente, non giustificano il clamore mediatico che scatenano.


Ovviamente, quest'analisi è un divertissement e non ha pretese scientifiche. Tra l'altro, pure se le avesse rimarrebbe una mera ipotesi dal momento che nessuno ha la sfera di cristallo. Comunque sia questo gioco è utile per capire i valori in campo.
Perdonatemi se apro una parentesi che è più uno sfogo. Giuste o sbagliate che siano, queste stime rappresentano il risultato di un metodo applicato a dei dati statistici. Se ne può sempre discutere, purché gli argomenti utilizzati siano razionali e non proposti esclusivamente per stimolare le emozioni, o le paure, magari raccontando singoli episodi ininfluenti, cioè col tipico metodo utilizzato della disinformazione mainstream.
Tra l'altro, la questione dei dazi si accompagna a un altro discorso su cui però le responsabilità sono tutte interne. Come mai ci lamentiamo così tanto di un probabile shock economico esterno, di massimo 11 miliardi di euro, se possiamo contare su un mercato unico europeo di quasi 20 mila miliardi e 300 milioni di consumatori? Certo, io ho calcolato solo gli effetti diretti dei dazi e solo sulle merci (anche se sui servizi non mi pare che siamo fortissimi in USA). Ci sarebbe da considerare anche gli effetti indiretti, dati ad esempio dal fatto che il nostro maggior partner commerciale, la Germania, ha anch'esso un forte surplus commerciale verso gli Stati Uniti. Tuttavia il punto rimane, perché non approfittare di questa immensa area di scambio per assorbire un calo delle esportazioni verso altre aree del mondo, nemmeno quando si rivela relativamente modesto? Dopotutto, il senso originario della globalizzazione europea era proprio quello di avere a portata di mano un mercato più ampio a cui vendere i nostri prodotti. Pur rimanendo quella auspicabile, questa strada è resa molto più difficile da percorrere a causa un fattore limitante, e cioè la rigidità a cui l'euro sottopone il nostro sistema monetario. È il prezzo di aver rinunciato all'effetto stabilizzate della flessibilità dei cambi delle valute nazionali, che sarebbero state uno strumento essenziale in questo caso. Proprio l'imponente svalutazione dell'euro sul dollaro (il 30% dopo la crisi del 2008) ci ha consentito di ottenere quell'enorme surplus commerciale che ora Trump mette in discussione.

Per lo stesso motivo ci è precluso il mercato interno (quello italiano). Infatti, come abbiamo già sperimentato nella crisi del 2011, non sarebbe una buona idea, in un'area di mercato con una moneta unica, consentire l'aumento dei consumi interni. Questo perché, in mancanza della flessibilità del cambio, la crescita dei consumi andrebbe ad alimentare soprattutto le importazioni e il debito estero che, come abbiamo visto (
qui) è la causa principale dell'instabilità finanziaria di un paese.
La conclusione amara è che anche quando un mercato europeo sarebbe utile non riusciamo a farlo funzionare a causa dell'euro, che è poi lo stesso motivo per cui il mercato italiano è stato distrutto dalla più lunga crisi economica della storia del paese. Questo dovrebbe dirla lunga sulla disfunzionalità del progetto d'integrazione propinatoci dalla UE.
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In questo grafico ho inserito, in blu, l'andamento storico del PIL procapite italiano in euro, a prezzi costanti, dal 1980 fino al 2008 e, in rosso, una retta con una crescita costante del 2%, pari alla crescita media del PIL avvenuta nel periodo precedente, fino alla crisi (1980-2007). La differenza tra i valori 2024, € 44.509 contro 32.803 (che, dopo 17 anni, è un valore in linea con quello del 2007 di € 32.705) risulta di € 11.706. Quindi, senza la crisi causata dal salvataggio dell'euro, oggi guadagneremmo il 36% in più a testa. Ovviamente, nessuno può assicurare sarebbe andata proprio così ma è difficile pensare che sarebbe andata peggio. |
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