lunedì 2 giugno 2025

Trump, i dazi e l'elefante nella stanza

Sulla base dei concetti di debito estero e PIL, già brevemente illustrati (qui) e (qui) vorrei tentare qualche ulteriore riflessione su: USA, Cina e UE. Il periodo selezionato è quello che va dal 2008 al 2022. Ho scelto come termine della serie storica quell'anno semplicemente perché è l'ultimo presente nella base dati da me utilizzata per i valori relativi alla posizione netta con l'estero (PNE o, in inglese, NIIP). Ho usato come valore i dollari nominali allo scopo di facilitare il confronto internazionale.

Vediamo cosa dice il grafico sottostante, e la tabella corrispondente (che vi propongo per comodità). Negli Stati Uniti, durante il periodo 2008-2022 il PIL è cresciuto (valori nominali in miliardi di dollari), infatti il punto 2022 della linea azzurra si trova più in alto rispetto a quello 2008. Nello stesso tempo è peggiorata anche la posizione netta sull'estero, o debito estero netto (sempre in dollari nominali), infatti il punto 2022 si trova, tra i valori negativi, più a sinistra di quello 2008. Spero così di aver chiarito come funziona il grafico. Proseguiamo con la Cina (linea rossa) che dal 2008 al 2022 ha avuto una crescita esplosiva e, nello stesso tempo, ha visto aumentare il suo credito estero, a valori nominali. La UE, linea verde, ha sperimentato invece una crescita complessiva più debole ed è passata da una posizione di debito a una di credito estero netto.

Che cosa c'è d'interessante in tutto questo? Partiamo dagli USA. Si nota molto bene come la crescita del PIL sia correlata ad un debito estero in aumento. In questo modo gli americani riescono a finanziare i beni d'importazione, in eccesso rispetto a quelli esportati. Il motore di questo squilibrio è l'elevato livello di spesa (privata e pubblica).

La Cina, al contrario degli USA, ha uno squilibrio in senso opposto. La sua crescita trae impulso dalle esportazioni. C'è però un dettaglio abbastanza importante. Nel paese asiatico, diventato la fabbrica del mondo grazie alla sua manodopera a basso costo, da anni cresce la domanda interna. Questo è dovuto all'aumento dei redditi procapite. Più redditi uguale più importazioni e, se osservate bene la tabella del grafico precedente, noterete il dimezzamento del credito estero in percentuale al PIL, passato dal 30% al 14%. Significa che stanno progressivamente aprendo al mondo il proprio mercato. 

Per la UE, che è un'area economica e non un unico paese, è necessario impostare il discorso su due piani. Complessivamente siamo passati da una posizione di debito a una di credito estero limitando la crescita e, come potete vedere dal grafico successivo, svalutando l'euro sul dollaro quasi del 30%.

Da tempo i governi USA si lamentano di quello che, a loro dire, è una vera e propria manipolazione del cambio da parte alcuni di paesi. Questo è un problema che non riguarda solo la zona euro. Tuttavia bisogna ammettere che la nostra situazione è piuttosto particolare, infatti la moneta unica si è svalutata nei confronti del dollaro in un momento in cui era sempre più richiesta negli USA, a causa del nostro perenne surplus commerciale verso di loro. Quest'operazione ha consentito un minimo di respiro a quei paesi che, per rimanere nell'euro, hanno eseguito delle politiche di svalutazione interna e cioè hanno riequilibrato il saldo estero negativo tagliando i redditi interni per importare di meno.

Veniamo al secondo grafico che considera le quattro maggiori economie UE che, benché nel complesso abbia una posizione attiva verso l'estero, presenta una situazione eterogenea a livello nazionale. Osservate infatti come Italia e Spagna siano rientrate, o stiano rientrando, dal debito estero netto. La Spagna del 2022 era quasi a metà di una lunga strada mentre in Italia l'operazione era già perfettamente riuscita. La Francia invece, a causa delle mancate politiche d'austerità, ha avuto il percorso inverso e oggi ha un alto debito estero netto. Proseguendo su questa china, senza ulteriori politiche di taglio della spesa (sia privata che pubblica) che corregga il saldo estero, l'euro diverrà sempre più insostenibile per i cugini transalpini.

All'opposto della Francia, in Germania la posizione netta con l'estero ha continuato a migliorare. Nel 2022 sfiorava i 3 mila miliardi di dollari (un valore superiore anche a quello cinese) e in rapporto al PIL è passata dal 17% al 70%. Uno squilibrio da record che si è prodotto anche in conseguenza della svalutazione dell'euro che ha avuto un effetto più rilevante sull'economia tedesca, non avendo essa bisogno di un'ulteriore svalutazione per essere competitiva. 

Una politica alternativa alla svalutazione dell'euro sarebbe stata possibile se il governo tedesco avesse trainato la crescita delle zone periferiche del continente sostenendo la propria domanda interna, importando di più. Questo era proprio quello che auspicava l'ex presidente Monti nel 2011. In questa celebre intervista alla CNN esprimeva soddisfazione per aver recuperato competitività sui mercati internazionali, distruggendo la nostra domanda interna tramite il consolidamento fiscale, ma avvertiva che questa situazione sarebbe stata insostenibile senza l'impulso alla crescita fornito dalle esportazioni. 

(qui)

Oggi sappiamo che, a causa della sua impostazione mercantilista quell'apporto positivo alle esportazioni dei paesi in crisi non arrivò dalla Germania, ma dagli USA previa svalutazione dell'euro sul dollaro che, per chi vuole intendere, era proprio quello che raccontava Mario Draghi a Helsinki nel 2014 quando disse: "Non è che i paesi abbiano perso totalmente la flessibilità del cambio entrando nell'unione monetaria perché ad essi rimane la flessibilità del cambio dell'euro" (sul dollaro ovviamente. Qui). Quindi, in pratica, il salvataggio dell'euro ha determinato, tra le varie conseguenze, anche l'esportazione dei nostri squilibri interni verso gli USA e il resto del mondo. Squilibri interni maturati perseguendo intenzionalmente una strategia volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri e combinando ciò con una politica fiscale prociclica, con l'effetto di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale (vedi discorso di Mario Draghi a La Hulpe l'anno scorso. Qui).

Quindi, forse, non dovrebbe sembrarci tanto strano che questo atteggiamento da scaricabarile abbia sollevato alcuni dissapori fra noi e Washington. Ad esempio, a molti non sarà sfuggita questa recente dichiarazione del presidente Trump che accusa Bruxelles di essere più cattiva di Pechino. Cosa penso io di quest'affermazione credo sia implicito in questo post, ma vorrei concludere con un'osservazione di metodo più che di merito. 


Una discussione costruttiva su questo argomento dovrebbe partire dalla presa di coscienza del fatto che la globalizzazione del commercio, e della movimentazione dei capitali, ha causato degli importanti squilibri a livello mondiale. Si può considerare la questione come meritevole d'attenzione oppure metterla da parte in attesa che si risolva, o esploda, da sola. Il governo del paese leader del globo, che è anche la nazione più indebitata, ha deciso di prendere in considerazione alcuni strumenti di riequilibrio. Ovviamente può non piacere come viene trattata tutta la vicenda dal suo presidente, rimane tuttavia un elementare fatto aritmetico: se un paese vuole correggere il suo saldo debitorio verso l'estero questa decisione coinvolgerà per forza di cose qualcun altro. Il mondo è un'economia chiusa e non abbiamo partite contabili terrestri compensabili con altri pianeti del sistema solare, o della galassia. In economia, come in ecologia, "There is no planet B". 

Trump può mettere i dazi e questo avrà ripercussioni negative verso altri paesi; può distruggere la domanda interna americana come ha fatto l'ex presidente Monti da noi e questo danneggerebbe le esportazioni di alcuni paesi verso gli USA; può svalutare il dollaro verso le altre valute, o una in particolare, e questo andrebbe a scapito dei produttori di altri paesi. Piaccia o non piaccia il suo presidente, niente di quello che può fare l'America per occuparsi del suo debito può avere un impatto esterno nullo verso l'esterno.

Rimane quindi da discutere come reagire alla necessità di un cliente, un debitore, di ridurre la sua esposizione verso di noi. Perché dovrebbe essere ormai chiaro che un creditore non può far finta che i guai del debitore non lo riguardino. Pertanto il problema è quello di reindirizzare le nostre vendite verso qualcun altro per evitare di perdere fatturato (cioè PIL). Abbiamo visto che la UE è complessivamente un'area in surplus che da anni convive con una bassa crescita, l'esatto contrario degli USA. Sostenere la domanda interna al nostro mercato sarebbe di certo una soluzione gradita anche ai nostri partner internazionali. Peccato che coordinarci per governare l'espansione nostre economie e tenere, nel contempo, a bada i nostri squilibri interni sia un'impresa resa molto più complicata dalla moneta unica. Lo abbiamo visto dopo la crisi del 2008, quando fu necessario il riaggiustamento degli squilibri causati dall'euro durante la precedente fase di crescita (vedi sempre Draghi 2014, citato prima).

Ecco che l'euro risulta essere, ancora una volta, un enorme convitato di pietra. Guai a nominarlo. Esattamente come si fa un gran parlare del surplus cinese senza badare a quello tedesco, più grande, che in tutta questa faccenda è il vero elefante nella stanza, e lo abbiamo proprio qui a casa nostra. 

Se siete interessanti a questo argomento troverete un'analisi più lunga, accurata e professionale della mia su Goofynomics (qui e qui)





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