lunedì 12 maggio 2025

Nozioni di base sul PIL

Per cominciare suggerisco di partire dalla tabella qui sotto, pubblicata dall'Istat a marzo 2025, che si riferisce alla rappresentazione delle principali componenti del Prodotto Interno Lordo (PIL) dell'anno 2024 nelle tre modalità di calcolo previste dalla tecnica: dal lato della produzione (o dell'offerta), dal lato della spesa (o della domanda) e da quello del reddito.


L'importo dell'anno 2024, stimato dal nostro istituto di statistica, può essere rappresentato in tre modi differenti ma ammonta sempre a 2.192.181,60 milioni di euro. Il fatto che il PIL coincida non deve sorprendere poiché si produce per vendere e i guadagni del produttore corrispondono esattamente ai costi del consumatore. Quando andiamo a fare la spesa, i soldi che diamo al fruttivendolo rappresentano i suoi guadagni. Il PIL è un mostro a tre facce. Vediamo ora questi calcoli un po' più da vicino.

IL PIL DAL LATO DELLA PRODUZIONE

Il PIL è calcolato dalla differenza tra il valore della produzione (i ricavi di vendita del produttore) e i costi esterni di produzione (che sono quelli dei materiali e dei servizi necessari a produrre). Il risultato di quest'operazione è chiamato valore aggiunto e corrisponde alla "torta" che viene ripartita fra i profitti (che vanno a remunerare i capitali investiti) e gli stipendi (che invece ripagano il lavoratore). Per trovare il PIL partendo dal valore aggiunto bisogna sommare le imposte indirette (essenzialmente l'iva) e sottrarre i contributi ai prodotti. In pratica, queste due ultime voci rappresentano un ulteriore 12%.

IL PIL DAL LATO DELLA SPESA

In questa modalità il PIL è la somma di diverse grandezze. Innanzitutto i consumi delle famiglie e quelli dell'amministrazione pubblica. Non deve stupire il fatto che la spesa pubblica, esattamente come quella privata, sia una componente positiva del PIL. Perché dovrebbe essere diverso? Le spese di un soggetto, privato o pubblico, sono sempre i guadagni di qualcun altro! Si faccia però attenzione a una cosa importante: i consumi dell'amministrazione pubblica non sono tutta la spesa pubblica, che è molto più elevata (circa la metà del PIL) ma solo una parte di essa. Non comprendono i trasferimenti, come ad esempio le pensioni o gli stipendi della pubblica amministrazione. Questi entreranno a fare parte del PIL come consumi privati, una volta spesi dai percettori (le famiglie). Ai consumi vanno aggiunti gli investimenti, e la differenza tra esportazioni e importazioni. Le importazioni vanno sottratte in qualità di reddito dell'esportatore straniero (quindi di PIL di un altro paese) ma non sono solo una componente negativa, in quanto rappresentano anche un guadagno per il soggetto residente che rivende, sul proprio territorio, la merce acquistata all'estero.

IL PIL DAL LATO DEL REDDITO

Il PIL si può calcolare anche come guadagno e quindi sommando i redditi di famiglie e imprese (società di capitali, di persone e imprese individuali). A questo valore vanno aggiunte le imposte sulla produzione, quelle sulle importazioni e sottratti i contributi (intesi come sussidi alla produzione). 



I calcoli che abbiamo visto fino ad ora sono relativi al PIL nominale o, come viene definito tecnicamente, a prezzi correnti (o di mercato). Esso ha senso come misura del valore per l'anno in corso ma dato che esiste un fenomeno chiamato inflazione, che misura la variazione dei prezzi in percentuale sull'anno precedente, per stabilire la crescita da un anno con l'altro (o in una serie di anni più o meno lunga) si usa il PIL reale o a prezzi costanti. Salvo espliciti riferimenti al suo valore nominale, il dato reale è quello usato per indicare la crescita (o la diminuzione) percentuale del PIL, come nell'esempio qui sotto. 


Per calcolarlo bisogna rapportare il PIL nominale di un certo anno al deflatore del PIL dello stesso periodo. Sul database WEO oct.24 si trova sia il PIL a prezzi correnti in euro (Gross domestic product, current prices) che il deflatore con anno base 2020 (gross domestic product, deflactor). Significa che la serie storica presa in considerazione sarà a prezzi costanti dell'anno 2020. Lo svolgimento di questo esercizio lo trovate nella tabella sottostante. Il PIL del 2024 ammonta a 2.181 miliardi di euro nominali ed leggermente inferiore a quello Istat di 2.192 perché i dati WEO di ottobre 2024 sono previsionali. Il PIL a prezzi costanti si calcola dividendo il PIL a prezzi correnti (A) per il deflatore (B) moltiplicato per 100. 

Come potete osservare nella figura qui sotto, negli anni precedenti a quello di riferimento (il 2020) il PIL nominale tenderà ad essere più basso di quello reale mentre, a causa dell'inflazione, accadrà il contrario per quelli successivi. 200 miliardi del PIL del 1980 corrispondono a 1.200 a prezzi 2020, mentre i 2.181 miliardi del 2024 a soli 1.930.

Il grafico successivo è costruito sulla base delle serie storiche di Banca d'Italia e mostra l'andamento del PIL italiano, a prezzi costanti 2010, dall'unità fino al 2017. E' interessante notare che a partire dal 2007 si riscontra un'importante anomalia, il PIL smette di crescere e il valore del 2017 risulta essere ancora più basso di quello di dieci anni prima. Anche a causa della pandemia del 2020, abbiamo dovuto aspettare fino al 2024 per superare i livelli precrisi. Secondo i dati disponibili, si tratta della più lunga recessione/stagnazione di tutta la storia italiana (guerre mondiali comprese) ed è stata provocata dalla grande recessione del 2007 e poi dalle misure di politica economica implementate, a partire dal 2011, per riportare in attivo la nostra bilancia con l'estero e per evitare l'uscita dell'Italia dall'euro. Potete approfondire questo argomento su Goofynomics.

Abbiamo considerato fino a questo momento il PIL come misura del valore complessivo di un'economia. Con il PIL procapite, lo stesso valore può essere calcolato come importo medio per abitante. Qui sotto l'andamento di quello italiano che ovviamente (non essendo variata di molto la popolazione) e in tutto e per tutto simile a quello complessivo. Anche questi dati si possono reperire comodamente sul database WEO Oct. 2024 (Gross domestic product per capita, constant prices).

Voglio terminare questo piccolo vademecum con qualche considerazione sull'utilizzo dello strumento del PIL in ambito internazionale. Dato che i vari paesi del mondo hanno monete differenti tra loro, il confronto è eseguito in una moneta comune che di norma è il dollaro USA (la valuta più importante). Per farlo è necessario convertire in dollari il PIL espresso nelle valute locali. Impostando la ricerca GDP (Gross Domestic Product) sul database World Development Indicators si trovano i dati del PIL in dollari a prezzi correnti (GDP current US$) per paese e per anno. Quelli di seguito sono i valori dell'anno 2023 di: USA, UE e Cina.

Il PIL più alto è quello USA (quasi 28 mila miliardi di dollari) seguito da quello UE (18,6 mila miliardi) e dalla Cina (17,8 mila miliardi). Può essere che vi sia capitato d'imbattervi, da qualche parte, in una stima del PIL differente eseguita mediante il metodo della parità dei poteri d'acquisto (Purchasing Power Parity. Abbreviata PPP). Questa rappresentazione (vedi figura sotto) mostra risultati molto differenti in cui è la Cina ad avere il PIL più alto.

L'applicazione del calcolo della parità dei poteri d'acquisto al PIL complessivo è un sistema discutibile che rischia di essere fuorviante, per il semplice motivo che è ponderato secondo il potere d'acquisto della moneta locale. Ovviamente, in Cina un dollaro vale di più che in USA o in UE perché è un paese relativamente più povero dove i prezzi sono più bassi. Questo sistema è inutile se l'obiettivo è farsi un'idea dell'importanza di un'economia rispetto a quella di altri paesi. Ha invece perfettamente senso se si vuole confrontare il PIL procapite, cioè il reddito medio. Dalla figura qui sotto si vede come in Cina si viva mediamente con circa 25 mila dollari annui mentre in UE con 60 mila e in USA con 83 mila (dati 2023 World Development Indicators - GDP per capita, PPP current international $).

Se volessimo rappresentare una serie storica di valori dovremmo farlo (con il dollaro) a prezzi costanti. In questo modo si neutralizzerebbero anche tutte le oscillazioni di cambio fra le diverse valute e quella di riferimento per tutto il periodo considerato. Anche in questo caso potete approfondire il tema su Goofynomics.

Per oggi abbiamo concluso. Avete capito cos'è il PIL? E' un valore che stima la produzione, il consumo e il reddito di un'economia. Nel caso non fosse chiaro: produzione, consumo e reddito sono la stessa cosa vista da lati differenti. Tramite questo parametro possiamo farci un'idea delle condizioni economiche di un paese e quindi anche di come vivono i suoi abitanti, in media, rispetto a noi. Ovviamente il PIL non considera tanti altri aspetti rilevanti della vita. Purtroppo non esiste nessun parametro economico che, da solo, rappresenti un fotografia completa di un paese, dei suoi tanti lati positivi e di tutti i problemi. Conoscere gli indicatori economici, uno per uno, è utile proprio per sapere esattamente cosa misurano e cosa no, nella consapevolezza che quei dati saranno sempre e solo pezzi di una figura più grande.


lunedì 21 aprile 2025

Debito privato, pubblico ed estero. Un incipit.

Il debito è quello strumento mediante il quale si riceve un bene o un servizio oggi e lo si paga domani, o in un futuro più lontano (anche un po' alla volta). Un debito si origina, ad esempio, quando si stipula un mutuo o un finanziamento con una banca oppure quando si ha un conto in sospeso con un fornitore, o con un amico. In economia, l'insieme dei debiti di tutti i soggetti privati (famiglie e imprese) verso le istituzioni finanziarie è chiamato debito privato. Secondo il principio per cui se esiste un debito e quindi un debitore, esiste anche un credito e quindi un creditore, è utile tenere a mente che il totale dei debiti è sempre uguale a quello dei crediti. Se qualcuno soffre perché è troppo indebitato è perché qualcun altro gli ha concesso troppo credito; magari perché ha sovrastimato le capacità della controparte di fare fronte ai suoi impegni oppure perché un evento inaspettato ha compromesso la possibilità del debitore di restituire quanto dovuto (la perdita del lavoro, il calo del fatturato, un incidente, la morte, ecc. ecc.)

Per la costruzione di questo grafico ho scaricato i dati disponibili nel database della World Bank alla voce domestic credit to private sector (qui)

Passiamo ora al settore pubblico. Il governo amministra le entrate e le uscite finanziarie del proprio paese. Le prime sono tipicamente le imposte e le tasse pagate dai contribuenti mentre le seconde corrispondono ai servizi offerti (strade, ospedali, scuole, polizia, esercito, e chi più ne ha...). Dato che normalmente le uscite risultano superiori alle entrate si ha un deficit, cioè un importo che va coperto tramite finanziamento. Per questo motivo il ministero del Tesoro emette dei titoli, cioè delle attività che verranno rimborsate all'acquirente al termine del periodo (mesi o anni) e, nel frattempo, si impegna a pagare anche una somma periodica supplementare chiamata interessi. In virtù della possibilità illimitata che una banca centrale ha di finanziare il proprio governo, i titoli pubblici sono ritenuti a basso rischio. Il valore complessivo dei titoli emessi dal Tesoro, non ancora rimborsati, viene chiamato debito pubblico. Anche in questo caso abbiamo un debitore, lo stato (quindi noi) e dei creditori che corrispondono a coloro i quali hanno acquistato i titoli di stato. Se fossero tutti soggetti residenti, il totale del debito che peserebbe sulla collettività sarebbe uguale al credito complessivo vantato dalla stessa popolazione. A livello complessivo il soggetto debitore corrisponderebbe a quello creditore ma è ovvio che esisterebbe comunque una differenza tra chi paga le tasse solo per rifinanziare il debito e chi invece, pur pagando, godesse anche dello status di creditore.

Per la costruzione di questo grafico ho utilizzato il database di ottobre 2024 del Fondo Monetario Internazionale che è ricchissimo di dati. Si può scaricare qui

Normalmente però non tutto il debito pubblico di un paese è detenuto da soggetti residenti in quello stato. Oggi possiamo comprare titoli del Tesoro americano, francese, tedesco...e viceversa il mondo può comprarli da noi (circa il 30% del debito pubblico italiano è in mano a soggetti esteri). Lo stesso discorso vale per il debito privato. Chi opera a livello internazionale ha debiti e crediti con soggetti situati in altre parti del pianeta. Occorre quindi introdurre un'ulteriore tipologia di debito: il debito estero, che corrisponde a tutti quei debiti di un'economia, pubblici o privati, detenuti da soggetti residenti all'estero. La somma algebrica delle attività e delle passività detenute da un'economia verso quelle del resto del mondo si chiama invece debito/credito estero netto (o meglio, posizione netta con l'estero - PNE o Net International Investment Position - NIIP, in inglese).


Le colonnine verdi corrispondono ai paesi creditori e quelle rosse ai debitori. I dati di entrambi i grafici provengono dal database External Wealth of the Nations, nella versione del 13 gennaio 2025 (qui)

Nei grafici di questo post ho voluto mostrare i 10 paesi con i valori di debito, privato e pubblico, più alti in rapporto al PIL (cioè reddito annuale complessivo dei soggetti residenti in un paese). Di per sé questo parametro non ci restituisce un'indicazione affidabile della rischiosità di un debito ma solo della sua rilevanza economica. Per quanto riguarda la posizione netta con l'estero ho preferito aggiungere anche un grafico delle 10 economie maggiormente accreditate/indebitate in milioni di dollari. Questo perché, trattandosi di un confronto internazionale, ho pensato che fosse utile dare un'idea dei valori nominali in gioco oltre che dei rapporti in base al PIL. Non vi sfuggirà il fatto che nel grafico c'è una posizione debitoria fuori scala, quella degli USA, il cui governo è attualmente impegnato, tra mille polemiche, a gestire una situazione che è peggiorata nel corso del tempo e che fa dipendere fortemente l'economia americana dai capitali esteri per finanziare i propri consumi di beni importati e, di converso, comporta il fatto che molti paesi dipendano per una parte crescente dei loro redditi dagli acquisti americani invece che dalla propria domanda interna.

Qualche considerazione finale. Come potete vedere, non è detto che un paese con un alto debito pubblico abbia anche un alto debito privato, o un alto debito estero. Sono cose differenti. Ad esempio, l'Italia ha un debito pubblico rilevante ma un debito privato non così alto e una posizione di credito a livello internazionale. Ci sono varie situazioni. In generale, si parla sempre troppo spesso di debito pubblico e mai di debito privato o di quello estero. In ogni caso questi semplici valori, presi in modo a sé stante, non ci dicono abbastanza per fare delle valutazioni sensate sulla solidità di un'economia. Argomento che, per non complicare le cose, proverò a trattare un'altra volta. 

domenica 23 marzo 2025

Ventotene come pilastro dell'Unione europea?

Le reazioni indignate verso il Presidente del Consiglio, colpevole di aver criticato il manifesto di Ventotene, a mio parere, mancano di affrontare un punto fondamentale della questione. La consueta retorica sul fascismo e l'antifascismo, in questo caso, è sprecata perché non dovrebbe sorprendere nessuno che un documento esplicitamente socialista possa non piacere a un governo di destra.

"La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita". 

A mio parere, stride di più il fatto che coloro i quali inneggiano allo spirito di Ventotene come pilastro dell'Unione europea, non si rendano apparentemente conto che quella filosofia di sinistra, peraltro ampiamente presente nella nostra costituzione repubblicana, sia totalmente e assolutamente incompatibile con i trattati comunitari che invece sono di stampo prettamente liberale. Ad esempio, in UE, gli obiettivi piena occupazione e progresso sociale sono subordinati alla stabilità dei prezzi e alla competitività. Vi ricordate, o no, come sono state gestite la grande recessione e l'inflazione post Covid?

Art.3 Trattato UE

"L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente".

Piuttosto che il programma economico, ciò che nella UE io rivedo del manifesto Ventotene è la filosofia elitarista nella quale gli intellettuali illuminati guidano il gregge popolare verso un obiettivo, da essi deciso, che rappresenta (secondo loro) il bene comune; oltre all'amore per il paradosso politico per cui i grandi balzi di paradigma debbano essere portati avanti proprio nei momenti peggiori. 

"Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna".

Ci voleva infatti una buona dose di idealismo, o forse d'ingenuità, per pensare all'unità europea (e dell'intero globo) nel 1941, in piena guerra mondiale.

"E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo".

Tanta quanta ce n'è voluta per portare avanti, negli anni novanta del secolo scorso, un'unione monetaria, dopo il fallimento di tutti gli accordi di cambio fisso tentati fino a quel momento; o per proporre oggi un esercito unico europeo nonostante tutte le divisioni presenti fra le nazioni europee sui dossier internazionali.

Il fatto è che l'idea di un'Europa federale, di cui non si trova traccia nemmeno nei trattati UE (che si limitano ad avere come obiettivo un'unione sempre più stretta) non è un'idea razionale. Alberga, più che altro, nei cuori di chi la brama. È quindi perfettamente inutile discuterne in modo ragionevole. Questo non significa che non possa essere realizzata un giorno, magari con la forza, come auspicato dal manifesto di Ventotene. 

"Se il popolo è immaturo, se ne darà una cattiva; ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione. I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sull’«i», sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere solo ritoccate in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente". 

Tuttavia, la meschinità intellettuale con cui quest'idea viene presentata, e soprattutto i metodi antidemocratici con la quale viene portata avanti (praticamente tutte le decisioni impopolari gli ultimi decenni provengono da Bruxelles) mi rendono, a dir poco, freddo verso l'entusiasmo dei tanti che l'appoggiano, soprattutto a sinistra.

mercoledì 21 dicembre 2022

Elettori senza portafoglio

Lo scopo principale del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), istituito nel 2011, è quello di concedere prestiti ai governi che dovessero perdere temporaneamente accesso al mercato dei capitali. Se ci fermassimo qui, alla superficie della questione, ne dedurremmo che uno strumento che serve ad aiutare i governi in difficoltà a reperire fondi sui mercati finanziari, a costi accettabili, è una cosa utile in alcuni frangenti. Certo, magari rimarrebbe da discutere l'asprezza delle condizioni di aggiustamento macroeconomico richieste ai paesi debitori. Io però vorrei andare all'origine del problema. 

Tradizionalmente, gli organismi sovranazionali si occupano di questioni che richiedono la mediazione fra i governi di diverse nazioni. Ad esempio, dal punto di vista economico, il trattato di Bretton Woods del 1944 istituì il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per rimediare agli squilibri provocati dal commercio globale fornendo assistenza ai paesi bisognosi di valuta estera per finanziare le proprie importazioni. 

Ecco, questo è un dettaglio importante. La valuta estera è quella che serve per pagare i prodotti che si importano da mercati che non utilizzano la nostra stessa unità di conto, ed è intrinsecamente scarsa perché non si stampa da noi ma si acquisisce, a sua volta, mediante le esportazioni. Al contrario, la valuta nazionale è, teoricamente, illimitatamente disponibile.

Ovviamente, anche quest'ultima deve essere commisurata. Una sua produzione eccessiva può provocare inflazione, ma la cosa più importante è che potrebbe causare una svalutazione tale da renderla inutilizzabile a livello internazionale, impedendoci così di finanziare le nostre importazioni e facendoci andare dritti al FMI da cui eravamo partiti. 

Quest'enorme digressione serve a riflettere sulla peculiarità del MES. Esso infatti non ci da moneta straniera come il FMI. Ci presta euro. Già, ma perché il MES ci presta la nostra valuta nazionale? Il Professor Kindleberger scrisse che "la moneta è un bene pubblico e come tale si presta allo sfruttamento privato". 

Per capire meglio il nocciolo della questione potrebbe essere utile ricordare cosa spiegò Benoît Cœuré agli studenti di Cambridge nel 2016, e cioè che i titoli di stato dei paesi dell'area euro sono più rischiosi di quelli degli altri perché il trattato di Maastricht impedisce alle banche centrali di comprare sul mercato primario i titoli di stato dei paesi aderenti. Infatti la BCE lo fa solo su quello secondario, a sua discrezione. 

Di fatto quindi, il MES si occupa di una stortura tipica della moneta unica, quella di appartenere a più stati. È per questo motivo che da noi è impedito ai governi, nati dal processo democratico, secondo il metodo "una testa un voto", di accedere alle risorse disponibili in valuta nazionale e si preferisce che a decidere per noi la bontà delle nostre scelte siano gli investitori secondo il loro sistema "un euro un voto" nel quale più che il criterio di rappresentanza conta quello della ricchezza posseduta. 

Si badi bene che questa costruzione, che vede il mercato come unico giudice della spesa dei governi e che ci viene presentata alla stregua di una tecnica super partes è di stampo puramente ideologico. Il concetto alla base di questa teoria è figlio del più becero classismo ottocentesco ed è che noi (elettori) non ci possiamo governare da soli ma che ci deve disciplinare il mercato (le élite). Insomma, la UE non è uno stato, figuriamoci una democrazia. Sarà pure composta da paesi democratici, ma con elettori senza portafoglio.



mercoledì 23 novembre 2022

Cottarelli, immigrazione e pensioni


Secondo il Sen. Cottarelli abbiamo bisogno di più immigrati per aumentare il numero persone occupate. Tuttavia, lo stesso risultato si potrebbe ottenere aumentando il tasso d'occupazione, che in Italia è tra i più bassi dell'OCSE.


Inoltre se, come immagino, il problema a cui allude è la sostenibilità del sistema pensionistico, allora converrebbe porre l'accento anche su un'altra questione. Perché è vero che l'ingresso costante di nuove forze giovani potrebbe compensare il progressivo invecchiamento dei residenti, ma è altrettanto vero che qualsiasi sistema pensionistico, e soprattutto quello di un paese che invecchia, ha bisogno di crescita per essere sostenibile. 

Nel nostro paese i salari reali sono al palo da trent'anni, proprio causa delle politiche che sostiene il Senatore: euro, flessibilità del lavoro, austerità, immigrazione. E se le pensioni le pagano coloro i quali lavorano, che sono in proporzione sempre meno, è difficile fare tornare i conti.


Infine, sebbene l'incremento della popolazione, in teoria, provochi un innalzamento complessivo del PIL considerando che gli immigrati tendono ad essere impiegati in lavori che gli economisti definiscono "a basso valore aggiunto" è improbabile che questi contribuiscano positivamente all'aumento del PIL pro capite, che è quello che conta.

Come per i capitali finanziari, anche per il capitale umano esiste una via interna percorribile, che però è normalmente trascurata.

martedì 30 agosto 2022

Il fallimento della campagna vaccinale di massa contro il Covid

In Italia, durante l'emergenza pandemica, siamo stati sottoposti ad un'incessante pressione mediatica ed è stata imposta una severa sanzione sociale verso tutti coloro i quali abbiano espresso pubblicamente contrarietà, o dubbi, in merito alla campagna vaccinale anti Covid. 

E' stato tracciato un solco tra due categorie: "Pro Vax" e "No Vax". Questo ha comportato litigi in famiglia e nella cerchia di amici, sono stati radiati professionisti, è stato impedito di lavorare alle persone sprovviste di regolare attestazione sanitaria, sono state obbligate al vaccino intere categorie. 

Secondo me è giunto il momento di chiedersi se sia stato giusto sopportare tutto questo o se, almeno, ne sia valsa la pena. Quanto segue è frutto di una mia elaborazione dei dati ufficiali di vaccinazione e mortalità. L'analisi, e il giudizio conclusivo, prescindono dagli effetti collaterali provocati dalle vaccinazioni Covid che meriterebbero un approfondimento a parte. 


Una piccola premessa metodologica

La tabella qui sotto riporta i dati ipotetici di una malattia infettiva che colpisce una popolazione di centomila abitanti. Chi si vaccina contro tale flagello ha il 95% di probabilità non ammalarsi, contro il 5% di chi decide di non vaccinarsi. Tra chi si ammala, la probabilità di morire è dello 0,5%. Ovviamente, come potete vedere nella tabella qui sotto, il numero dei casi e dei decessi aumenta al diminuire della percentuale di popolazione vaccinata. 


I valori della tabella precedente sono esposti nel grafico qui sotto. Sul lato delle ascisse (orizzontale) vengono misurati i decessi, mentre su quello delle ordinate (verticale) la percentuale di vaccinati. Vi prego di osservare come la linea di tendenza (tratteggiata) delle coppie di valori rappresentate dai pallini azzurri (percentuale vaccinati/decessi Covid) abbia una pendenza negativa, perché al diminuire dei vaccinati corrisponde un aumento del numero dei morti. Sul grafico abbiamo anche il valore che misura la correlazione (R^2) tra vaccinazioni e decessi: 0,99. Questo ci dice che esiste un legame statistico quasi perfetto tra il numero dei vaccinati e quello dei morti. La perfezione si raggiungerebbe con un valore pari a 1. Significa che la diminuzione del numero di vaccinazioni, in questo caso, spiega tutti (o quasi) i morti in più che si sono verificati a causa della malattia ipotetica.


L'analisi dei dati ufficiali

Passiamo ora ad analizzare i dati reali. Per mettere due numeri in fila, come ho fatto io, non serve un dottorato ma, dato che l'errore è sempre dietro l'angolo, voglio scusarmi anticipatamente per tutte le eventuali inesattezze, o lievi imprecisioni, che potrei aver eventualmente commesso in buona fede. Ho eseguito la mia analisi tramite il database OWID che potete consultare, e scaricare, anche voi qui.

Il grafico qui sotto mostra la correlazione della percentuale di vaccinati Covid con i decessi (Covid) per i 210 paesi del database OWID, nell'anno 2021. 

Se confrontate questo grafico con quello dell'esempio precedente (quello della malattia ipotetica) noterete subito che sono molto differenti. Mentre il primo mostra chiaramente una serie di valori in linea, quello qui sopra presenta una nuvola di pallini azzurri sparsi sull'intero asse cartesiano. L'indice (0,0759) suggerirebbe addirittura una minima correlazione positiva tra numero di vaccini e decessi Covid, ma è statisticamente insignificante. 

Da questa rappresentazione dei dati, difficilmente si potrebbe dedurne che la vaccinazione abbia avuto un impatto statisticamente significativo sulla diminuzione dei morti per Covid. Tuttavia va considerato che, in questo tipo di analisi, prendere un campione con un numero elevato di rilevazioni può comportare il rischio di pescare valori non confrontabili fra loro. 

Per questo motivo ho deciso di considerare un sottoinsieme, composto da un gruppo di paesi i cui valori sono più conformi, considerando solo le coppie (vaccinazioni/decessi) che non si discostano dall'intervallo compreso dalla deviazione standard più, o meno, la mediana dei valori di cui al campione precedente.

Sebbene si intraveda una piccola correlazione negativa, anche questa volta, l'indice è del tutto insignificante (0,0506). La vaccinazione aiuterebbe a spiegare non più del 5% delle minori morti da Covid. Un'efficacia del 5% invece che del 95%.

Con i dati a disposizione si possono, ovviamente, fare diversi tentativi per trovare una correlazione. Particolarmente significativo, a mio giudizio, è il gruppo di paesi con i migliori servizi sanitari a livello mondiale, perché risponde a quanti ritengono che la qualità dei dati statistici non sia omogenea fra i diversi paesi. Quelli considerati nel grafico qui sotto sono i migliori 29 della media tra le graduatorie 2020 delle classifiche sanitarie: Legatum Prosperity Index, CEO World Ranking e Bloomberg Health Care Efficiency. Come potete vedere, la correlazione tra vaccinazioni e morti Covid è statisticamente nulla (0,0015).

La profilazione dei dati più interessante, tuttavia, è quella della tabella qui sotto, che calcola la correlazione tra vari gruppi di paesi con una simile fascia d'età media della popolazione. Potete osservare come ai campioni più giovani sia associata una leggera correlazione positiva, cioè a più vaccinazioni sono correlate più morti Covid, mentre in quelli più vecchi succede l'inverso, raggiungendo un valore di -0,461 nella fascia d'età media 41-45 anni. L'impressione che se ne ricava è che a beneficiare un po' di più del vaccino siano state le popolazioni più anziane, mentre in quelle più giovani l'effetto sulle morti Covid sia stato nullo o addirittura negativo. Ovviamente, posto che il campione selezionato è sempre la totalità della popolazione di ogni paese, quest'analisi non ci suggerisce a partire da che età sarebbe conveniente vaccinarsi. 

Restiamo un momento in più sulla tabella qui sopra. Se l'avete osservata bene, troverete un'eccezione alla crescita dell'efficacia dei vaccini, in relazione alla mortalità Covid, per fasce d'età. L'ultimo campione esaminato, composto da soli 5 paesi con un'età media superiore ai 45 anni, tra cui il nostro, mostra un'inquietante correlazione positiva tra morti e vaccinazioni. Questo risultato, 0,9857, è molto robusto statisticamente, tuttavia non basta per affermare che siano state le vaccinazioni a provocare i morti, o viceversa, perché "Correlation is not causation", cioè la correlazione non implica un nesso di causalità. Potrebbe anche trattarsi di un caso. Speriamo.

Considerando che le metodologie con cui vengono contati i decessi Covid possono variare notevolmente nelle statistiche dei vari paesi, ho voluto verificare i risultati della correlazione tra vaccinazioni e morti Covid sostituendo a quest'ultima l'eccesso di mortalità 2021 rispetto a quello della media dei cinque anni precedenti. L'idea è che il numero totale dei morti annuale di una popolazione (per tutte le cause) sia un dato più oggettivo rispetto ai soli morti Covid, che dipendono dai criteri con cui viene attribuita la causa della morte: morte "Di", o "Con" Covid. 

La fonte è la seguente (https://github.com/akarlinsky/world_mortality). Colgo l'occasione per ringraziare @LukeDuke1268 per la segnalazione. 

Essendo i dati di mortalità 2021 ancora incompleti, o assenti per un certo numero di paesi, non ho potuto completare la verifica con tutti i campioni precedenti. Comunque, come potete vedere qui sotto, anche quest'analisi, fatta sui paesi della fascia d'età 41-45, conferma il risultato della tabella qui sopra, e cioè che esiste una correlazione statistica un po' più significativa, tra maggiori vaccinazioni e minori morti, in una popolazione con un'età media piuttosto avanzata. L'indice "R quadro" è di 0,41 contro il precedente di 0,46. 


Conclusioni

Semplicemente confrontando le aspettative con i risultati è evidente che la campagna di vaccinazione sia stata un fallimento. Il virus è ancora in giro e la gente, anche se vaccinata, continua a prenderselo.

https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/

Può darsi che il vaccino attutisca i sintomi della malattia nella fascia di età più a rischio, ma occorre ricordare che le premesse con cui questi prodotti sono stati proposti (o imposti?) al pubblico erano molto diverse. 

"Il Green Pass è una misura con cui gli italiani possono continuare a esercitare le proprie attività, a divertirsi, andare al ristorante, a partecipare a spettacoli all'aperto, al chiuso, con la garanzia però di trovarsi tra persone che non sono contagiose" (Draghi 22 luglio 2021).

E, oltre a quello della politica, avevamo anche il conforto della scienza (o della sua parte un po' più in vista?).

I critici sosterranno che, non essendo io uno scienziato, non ho il diritto di esprimermi su una materia così complessa. Infatti, il mio lavoro non ha pretese scientifiche. Ho solo svolto un'analisi, non particolarmente elaborata, di dati. Ciò che mi conforta, delle evidenze riscontrate, è che non emerge niente di particolare che già non sapessimo fin dall'inizio della pandemia.

È noto fin dal principio che questo virus viene considerato dagli scienziati a "bassa mortalità" e che quindi sia letale soprattutto per le persone più fragili, che solitamente sono quelle in età avanzata, e che ovviamente hanno risposto in maggior numero, e senza bisogno di particolari sollecitazioni, alla campagna vaccinale. Il fatto che emergano risultati statisticamente insignificanti sulle popolazioni con un'età media bassa non dovrebbe essere considerato particolarmente strano. Piuttosto, a me sembra insolito che siano state dedicate tante energie, e mezzi, a vaccinare gli individui giovani e sani, e addirittura i bambini.

L'argomento per cui una vaccinazione di massa avrebbe favorito un minor numero di ospedalizzati, alleggerendo il servizio sanitario nazionale dal peso dell'epidemia contrasta con il fatto statistico che, se i vaccini Covid non sono associati a una minor mortalità (soprattutto nelle classi d'età più giovani) per quale motivo dovrebbero esserlo al numero di ospedalizzazioni? A rigor di logica, a un maggior numero di morti avrebbe dovuto corrispondere una quantità maggiore di persone ricoverate dato che, prima di perdere la vita, sarebbero passate dalle corsie dei nostri pronto soccorso. Se nel 2021 la situazione è stata migliore del 2020 lo si deve probabilmente alla circolazione di varianti meno letali del virus.

Secondo me, l'isteria di massa che ha caratterizzato questo periodo ha provocato un profondo conflitto sociale, non ha giovato particolarmente alla credibilità delle istituzioni e, difficilmente, ha contribuito a salvare vite umane.

Quindi mi domando, perché tutto questo?

"Noi, per tutelare gli italiani vi renderemo la vita difficile, come stiamo facendo, perché il non vaccinato, e chi non rispetta le regole, è pericoloso! Punto" (Sileri in TV a DiMartedì, La7 25/01/2022).

sabato 14 maggio 2022

La libertà di parola è reale o formale?

Nel testo sopra riportato l'autore rivendica la scelta di non discutere con chi, a suo inappellabile giudizio, esprime opinioni controfattuali o scempiaggini varie. Ovviamente nessuno, credo, trarrebbe alcun beneficio dal parlare con uno sprovveduto. Ma nulla impedirebbe al giornalista d'invitare, al posto dello stregone di turno, qualcuno degli innumerevoli scienziati, o intellettuali, che in questi anni hanno maturato opinioni differenti da quelle comunemente accettate. 

Purtroppo in Italia ma forse anche altrove, in questo mondo "libero", "inclusivo" e "tollerante", serpeggia l'idea che spesso, nei principali argomenti d'attualità, esista una sola ineccepibile verità. Ovviamente, questa coincide con le notizie diffuse dal governo, o dagli alleati, e riportate dai principali organi di stampa, radio, tv, internet. Le opinioni contrarie sono semplicemente bollate come bufale, falsità, "fake news". 

La saggezza popolare imporrebbe di dubitare di chi sostiene che la virtù stia da una sola parte, ma ormai il clima è così infuocato che molti potrebbero persino iniziare a domandarsi se, conoscendo già le verità che provengono dalle fonti ufficiali, tutto sommato, si possa fare anche a meno di consentire il diffondersi di una pluralità di menzogne. 

In ogni caso, anche senza censura, oggigiorno, qual è la prospettiva per chi la pensa diversamente? Quella di essere ascoltati, compresi, oppure quella di essere a malapena tollerati, sopportati a fatica da una società conformista e così poco incline al pensiero critico?

Da noi, la libertà d'opinione è davvero reale, o comunemente accettata solo a livello formale? Questa non è una sottigliezza, se si pensa che è tramite lo scambio d'opinioni che gli individui si rapportano gli uni con gli altri e crescono culturalmente, o che è proprio il dibattito a portare avanti la scienza, orgoglio di questa nostra civiltà avanzata. E se il desiderio di un maggior controllo dell'informazione, volto al nobile scopo (un po' paternalista) di preservarci dalle false notizie, rallentasse il progresso? 

In fondo, vittima del pregiudizio non è solo chi viene, in qualche modo, silenziato ma è anche colui il quale non vuole, o gli è impedito, d'ascoltare.