lunedì 27 aprile 2015

L'immigrazione dal punto di vista economico

In questi anni, nel mar Mediterraneo si sta consumando una tragedia senza fine. Sono parole ovvie, persino banali, ma anche una premessa doverosa prima di iniziare un discorso su un argomento che, il più delle volte, scivola nell'ipocrisia o nel cinismo (le due facce della superficialità).

Ammetto di non avere alcuna soluzione al dramma dell'immigrazione, perché non ne conosco le cause più profonde. Ho solo la sensazione che ci sia una stretta relazione tra esportazione d'armi e importazione di profughi. Tuttavia, mentre le esportazioni, e i ricavi che ne conseguono, sono tutti a beneficio dei proprietari delle aziende produttrici di: fucili; aerei da guerra; e bombe, i costi delle importazioni, quelli legati all'immigrazione, rimangono a carico dei disperati che tentano di attraversare il mare che li separa dalle nostre coste, su dei fatiscenti barconi. O vengono pagati dai cittadini che li accolgono tramite le tasse. Gli economisti chiamano questo fenomeno esternalità.

Qualcuno ha già espresso molto bene il suo rancore verso questi mercanti di morte. Io, non aggiungo altro.

Veniamo al dunque. Dal punto di vista economico, l'immigrato, come l'italiano, è un'unità di fattore lavoro. Il livello di produzione di una nazione è dato dalla quantità di fattore lavoro, e di fattore capitale. Si scrive così:

y = f(L;K)

Si chiama funzione di produzione, dove "y" (appunto, la produzione) è in funzione "f", di "L" (lavoro) e "K" (capitale).

Per fattore lavoro, ovviamente, si intende il prezzo che l'imprenditore paga per comprare il tempo di una persona. Meno naturale è invece la nozione di fattore capitale, che non riguarda solo il denaro, ma tutto ciò che con esso si può comprare per aumentare la produzione, ad eccezione dell'attività umana (macchinari, attrezzi, energia, etc. etc.).

Quindi: più immigrati, più fattore lavoro, più produzione? In genere sì. Però, a una maggiore richiesta di lavoro, causata dall'immigrazione, non corrisponde un proporzionale aumento del consumo. E' vero che anche gli immigrati contribuiscono ad accrescere la domanda di beni e servizi (e ci mancherebbe!) ma essendo più poveri di noi, non ne provocano un incremento adeguato a compensare l'aumento della domanda di lavoro.

E' la semplice legge della domanda e dell'offerta. Dato che ad un flusso migratorio corrisponde un aumento della domanda di lavoro (nel paese di destinazione) che è maggiore dell'offerta, il risultato è la sostituzione di una parte di lavoratori con altri più economici. Quindi, si ha un abbassamento degli stipendi, soprattutto in quelle professioni più accessibili perché meno specialistiche.

Questo in linea generale. Nello specifico, in un paese dove ci sono dei contratti di lavoro nazionali, validi per italiani e stranieri, questo effetto di sostituzione dovrebbe essere marginale. Ma in Italia ci sono molti modi per pagare meno chi lavora. Il più estremo è il lavoro nero. In cui, di solito, sono aziende italiane ad arruolare immigrati a basso costo, e non viceversa. E' bene ricordare anche questo aspetto, perché la responsabilità della sostituzione di mano d'opera italiana con quella straniera, più economica e meno tutelata, è nella maggior parte dei casi di un nostro connazionale, non di un immigrato. La pratica del lavoro nero, in particolare, influisce negativamente anche sui servizi erogati dallo Stato, come le case popolari, svantaggiando le persone povere ma in regola (anche italiane) e favorendo, al contrario, quelle che risultano bisognose ma che in realtà non lo sono (anche straniere).

Come ho precedentemente illustrato, la funzione di produzione comprende sia il lavoro che il capitale, e a nche quest'ultimo si comporta come il lavoro. Quindi, "l'immigrazione" di capitale dall'estero ne determina un suo minor costo, che si traduce in tassi d'interesse più bassi. In regime di cambio fisso, o di moneta unica (come l'euro) l'effetto è particolarmente accentuato. Questo perché non avviene il naturale riallineamento del cambio tra la moneta del paese esportatore, che dovrebbe rivalutarsi, e quella del paese importatore, che dovrebbe svalutarsi, rendendo meno convenienti le esportazioni di capitale (e quelle di qualunque altro bene, o servizio).

Pertanto, un'ondata di capitali stranieri (come quella illustrata qui) ha un impatto economico dello stesso tipo, ma molto più devastante, rispetto a quello dell'immigrazione. Entrambi i casi comportano un abbassamento dei prezzi. E questo rappresenta un vantaggio, solo per quei fortunati che conservano il proprio posto di lavoro anche dopo "l'invasione".

Il motivo per cui vi sto parlando di tutto questo è il seguente. Mentre i consumi in Italia aumentavano solo tramite "l'invasione" di euro provenienti dalle banche del centro e del nord Europa (vedi qui), o dopo, quando il nostro governo ci ha imposto l'austerità allo scopo di rimborsare i corrispondenti debiti,  non ho sentito levarsi alcun grido che invocasse: blocchi, rientri coatti, reati di clandestinità, espulsioni immediate, o perfino la richiesta d'intervento dell'O.N.U.

Non è forse questo è un altro esempio, di quanto gli individui vigliacchi tendano a essere forti con i deboli e deboli con i forti?














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