In questi ultimi anni siamo abituati a sentire frasi del tipo "la luce in fondo al tunnel" che stanno a significare che il peggio è passato e che la ripresa è vicina, anche se col passare del tempo si sposta sempre un po' più avanti nel tempo: fine 2012, fine 2013, fine 2014, etc. etc.
Per comprendere le condizioni in cui questa ripresa potrebbe avvenire serve come prima cosa capire come è stata affrontata la crisi, ovvero con le manovre economiche di austerità di cui ci siamo già occupati (qui).
Pertanto, dal 2011 in avanti, per ottenere il riequilibro del saldo delle partite correnti (che è il sostanziale equilibrio tra il valore delle importazioni e quello delle esportazioni, più il saldo dei redditi da capitale e lavoro tra l'Italia e l'estero) è stato necessario diminuire i redditi degli italiani, tramite la disoccupazione, per far calare i consumi e quindi le importazioni. Il seguente grafico mostra l'andamento del reddito procapite italiano.
Come potete osservare, della prima flessione è responsabile la crisi economica mondiale del 2007, mentre il secondo calo, quello che riporta il reddito degli italiani a livelli precedenti al 1999 avviene in concomitanza con le politiche di austerità, mediante le quali i nostri governi riescono a riallineare il saldo delle partite correnti come mostra il successivo grafico (dal 2011 in avanti).
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Se ne deduce pertanto che esiste qualcosa che impedisce al sistema italiano di ottenere un maggior livello di reddito per la sua popolazione, senza che questo vada a beneficio di economie estere tramite l'aumento delle importazioni. E' il problema della competitività.
La convenienza di un prodotto è fortemente influenzata dal suo prezzo. E, in un'unione monetaria come l'euro (o in un sistema di cambi fissi che poi è lo stesso) essendo fisso il valore del cambio nominale tra le monete (un euro vale un euro a Bari come a Berlino) il livello dei prezzi dei prodotti dipende esclusivamente dai diversi tassi d'inflazione, che nel corso degli anni, in Italia e (ad esempio) in Germania, sono stati i seguenti.
Il grafico precedente mostra i tassi d'inflazione in Italia e Germania dal 1996, anno di fissazione dei cambi irrevocabili poi entrati in vigore a partire dal 1999, e il 2013 (ultimo dato annuale disponibile), e mostra anche il differenziale accumulato fra i due tassi d'inflazione. In pratica, durante il periodo osservato, la Germania ha accumulato, rispetto all'Italia, una svalutazione competitiva di circa il 15% sul cambio reale. Si osservi quindi che, avere la stessa moneta, non significa affatto avere i medesimi tassi d'inflazione. E questo comporta un indubbio vantaggio competitivo a favore dei prodotti delle aziende di quei paesi che, grazie alla loro maggiore ricchezza, hanno dei tassi d'inflazione più bassi.
Come se ne esce?
Nel breve periodo, non potendo svalutare il fattore capitale (cioè, l'euro italiano rispetto a quello tedesco), nel tentativo di recuperare competitività, i nostri governi hanno deciso di svalutare il fattore lavoro (ovvero ridurre il suo costo) tramite l'austerità. Questo è anche il motivo per il quale, nonostante la retorica politica sulla crescita, il governo italiano non sta affatto contrastando la disoccupazione, ne sostenendo la domanda interna di consumi (può, la stessa maggioranza che ha sostenuto l'austerità entrare così palesemente in contraddizione con se stessa?).
Nel lungo periodo, in assenza di investimenti che riducano il divario competitivo tra l'Italia e i paesi più avanzati dell'eurozona, potrebbe essere ancora necessario ricorrere ad un'ulteriore svalutazione del fattore lavoro per riallineare il saldo delle partite correnti.
Questo dovrebbe far luce sui motivi, e sulla fretta, da parte del governo (e del Presidente della Repubblica che lo ha nominato) di far approvare al Parlamento delle riforme costituzionali, e una legge elettorale, che permettano, ad una minoranza, di imporre alla maggioranza degli italiani eventuali riforme che essi non vogliono. E' la governabilità.
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