lunedì 27 ottobre 2014

La democrazia in Europa: le più imbarazzanti dichiarazioni di Von Rompuy, Barroso e Juncker

Vorrei richiamare la vostra attenzione su una ridotta selezione di simpatiche dichiarazioni rese, in questi ultimi anni, da alcuni tra i maggiori esponenti delle istituzioni europee, al fine di mostrarne gli inequivocabili tratti ideologici.

Herman Van Rompuy (ex Presidente del Consiglio Europeo)

"L'intero territorio europeo, a parte la Russia, verrà inglobato nell'Ue. Non so se c'è il sostegno dell'opinione pubblica, ma lo faremo lo stesso".
Intervista al quotidiano De Staandard il 30 aprile 2014




Josè Manuel Barroso (ex Presidente della Commissione Europea)

"I governi non hanno sempre ragione. Se i governi avessero sempre ragione non avremmo la situazione che abbiamo oggi. Le decisioni adottate dalle istituzioni più democratiche del mondo sono molto spesso sbagliate."

"Gli inglesi, anche se hanno un certo pregiudizio sull'Europa, sono abbastanza ragionevoli da non aspettarsi che il loro governo necessariamente lo condivida, o ne tenga conto nell'agire."

Dal quotidiano on line The Telegraph 1 ottobre 2010




Jean Claude Juncker (Ex Presidente del Consiglio Europeo e dell’Eurogruppo, e nuovo presidente della Commissione Europea)

On the 2005 French referendum on the Lisbon Treaty
"If it's a Yes, we will say 'on we go', and if it's a No we will say 'we continue'."
“Se sarà un Sì, diremo ‘su andiamo’, e se sarà un No diremo ‘continuiamo’

"Britain is different. Of course there will be transfers of sovereignty. But would I be intelligent to draw the attention of public opinion to this fact?"
“La Gran Bretagna è diversa. Di certo ci sarà un trasferimento di sovranità. Ma sarei intelligente ad attirare l’opinione pubblica su questo fatto?”

"Monetary policy is a serious issue. We should discuss this in secret, in the Eurogroup [...] I'm ready to be insulted as being insufficiently democratic, but I want to be serious [...] I am for secret, dark debates."
“La politica monetaria è una questione seria. Dovremmo discuterla in segreto, nell’Eurogruppo [...]. Sono pronto ad essere insultato perché poco democratico, ma voglio essere serio [...] Sono per i dibattiti segreti“

Jean-Claude Juncker, 20 April 2011. "Eurogroup chief: 'I'm for secret, dark debates'", EUobserver, 21 April 2011. Retrieved 19 May 2011.

"We decide on something, leave it lying around and wait and see what happens. If no one kicks up a fuss, because most people don't understand what has been decided, we continue step by step until there is no turning back."
“Noi prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non protesta nessuno, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto in cui non si può più tornare indietro”
Jean-Claude Juncker, 'Die Brüsseler Republik'

"When it becomes serious, you have to lie."
“Quando la situazione è grave, si deve mentire”



mercoledì 22 ottobre 2014

Debito pubblico e interessi

Pubblico il seguente grafico perché nel blog Luogocomune.net, in risposta ad un utente che ha fatto notare come il debito pubblico sia cresciuto prevalentemente a causa degli interessi, un altro ha risposto:

"Ancora con questa storia? Eppure pensavo che se ne fosse parlato approfonditamente..."

Già, ancora con questa storia:


Come potete osservare, è solo dalla crisi in poi (2008) che calano i tassi d'interesse ma cresce il debito (a causa del crollo del PIL). Prima di allora, dal 1978, mi pare di poter dire ci sia una certa relazione tra la crescita del debito e quella degli interessi. Sbaglio?

Certo, ci sono anche gli sprechi e la corruzione ma quelle sono delle costanti che, fino a prova contraria, non influiscono di più in un periodo piuttosto che in un altro.

lunedì 20 ottobre 2014

A cosa serve il Jobs Act

La teoria classica sull'occupazione si trova su qualsiasi manuale universitario di macroeconomia. Io sono andato a rileggerla sul mio, il Mankiw (edizione del 1996). Un'edizione po' vecchiotta ma si tratta comunque di uno dei testi accademici più utilizzati a livello mondiale. E poi, il bello dei classici è che non cambiano mai. No?

Cosa dice?

Essenzialmente che, la rigidità dei salari, ovvero le lotte sindacali che si oppongono alla loro diminuzione, sono una delle maggiori cause della disoccupazione. Questo perché fanno in modo che il costo del lavoro rimanga a un livello più alto di quello di equilibrio tra domanda e offerta. Il risultato è che gli imprenditori non assumono perché costerebbe troppo. Quindi, se vogliamo diminuire la disoccupazione servirà abbassare gli stipendi.

Andiamo a vedere se è vero.

Da quasi una ventina d'anni a questa parte i nostri governi hanno seguito la raccomandazione della teoria classica, e mediante l'utilizzo della precarizzazione del mondo del lavoro, sono riusciti ad abbassarne il costo. Osservate il grafico successivo.


Nel periodo preso in esame, che va dall'anno base 1996 (che coloro i quali seguono questo blog sanno, corrisponde all'anno in cui siamo, di fatto, entrati nell'euro) fino all'inizio della crisi, gli stipendi reali sono diminuiti costantemente (se si eccettua il periodo compreso tra il 2003 e il 2004). In ogni caso, nel 2007 erano ancora più bassi del 1996. Questo è stato l'effetto complessivo delle riforme del lavoro Treu e Biagi che, favorendo il precariato, hanno permesso agli imprenditori di contrattare nuovi lavoratori senza il vincolo del contratto collettivo nazionale, oppure di bloccare le pretese di quelli assunti a tempo determinato tramite lo spettro del mancato rinnovo. Notate che i dati, tutto sommato, danno ragione ai classici, e a stipendi più bassi è corrisposta una maggiore occupazione.

Approfondiamo la questione, e vediamo cos'è successo al PIL.


Da quando sono entrate in vigore le riforme del lavoro volute dai nostri governi a causa dell'entrata nell'euro, l'Italia è cresciuta meno che in passato. Nel grafico potete osservare i dati comparati tra l'Italia e la media dei paesi OCSE:
- 1984 - 1995: gli undici anni che hanno preceduto l'euro (e quindi la svalutazione del fattore lavoro)
- 1996 - 2007: il periodo che precede la crisi
- 2008 - 2013: gli ultimi cinque anni
La diminuzione della crescita è evidente. Eppure, fino al periodo precedente 2008 il PIL ha continuato a crescere, anche se più lentamente che in passato.

Com'è possibile che la produzione (e quindi le vendite) siano aumentate, nonostante noi potessimo spendere addirittura meno di undici anni prima?

Per capirlo, dobbiamo ricorrere all'identità di contabilità nazionale:

Y = C + G + I + X - M

Dove:

Y = produzione (PIL)
C = consumi privati (quelli riferiti ad imprese private e famiglie)
G = consumi pubblici (dello Stato)
I  = investimenti
X = esportazioni
M = importazioni

Il PIL può essere cresciuto solo in conseguenza della variazione di una (o più) grandezze sopra riportate.

Potrebbe essere stato trainato dalle esportazioni. Pertanto, nonostante noi consumassimo di meno, le aziende italiane avrebbero potuto incamerare maggiori profitti vendendo all'estero. E' andata così? No.


La bilancia delle partite correnti (X-M) è negativa dal 2000, ed è comunque in discesa per tutto il periodo oggetto di verifica, fino al 2011 (anno in cui è iniziata l'austerità). Quindi, il PIL italiano non può essere aumentato a causa delle esportazioni.

I consumi pubblici (la spesa dello Stato) "G" potrebbero aver avuto un effetto positivo sulla crescita PIL?


Dal grafico qui sopra, osserviamo come la spesa pubblica in percentuale del PIL sia diminuita fino al 2000 e poi sia rimasta allo stesso livello fino al 2007. 

Rimangono da esaminare, i consumi privati "C" e gli investimenti "I". E, andando per esclusione, devono essere stati questi a far incrementare il PIL. Tuttavia, com'è possibile che diminuendo gli stipendi siano aumentati i consumi e gli investimenti? E' stato possibile tramite l'aumento del credito concesso dalle banche. Infatti, se produco sempre di più (o acquisto più prodotti dall'estero per rivenderli sul mercato nazionale) ma pago meno i miei lavoratori, come posso pensare di far aumentare le vendite, se non permettendo a tutti d'indebitarsi sempre di più?


Osservate il grafico qui sopra, mostra la crescita del debito di famiglie e imprese (in percentuale del PIL) dal 1996 al 2013. Come potete vedere, fino a quello che gli economisti chiamano in inglese sudden stop, che corrisponde al momento in cui ci hanno chiuso i rubinetti, le banche hanno concesso un credito sempre maggiore alla nostra economia. Questa è la ragione della crescita del PIL italiano durante gli anni dell'euro che hanno preceduto la crisi del 2007.

E, da dove sono arrivati i capitali che hanno permesso al PIL di crescere nel decennio che ha preceduto la crisi, senza dei quali, siamo precipitati nella più lunga recessione della storia del nostro paese? Sicuramente non dalle banche italiane. Altrimenti non si spiegherebbe come mai li avrebbero tirati fuori tutti all'improvviso, solo dopo l'entrata nell'euro, per concedere mutui al 100%, finanziamenti a tasso zero per: automobili, frigoriferi, telefonini, etc. etc.

Il dilemma è risolto dalla Banca Centrale Europea in questo discorso del suo vice presidente Vitor Constâncio del 2013 che io vi raccomando di leggere con attenzione.La BCE dice chiaramente l'euro che ha favorito lo spostamento di capitali dai paesi virtuosi (come la Germania) a quelli maggiormente colpiti dalla crisi (come il nostro). Senza di esso, un afflusso di valuta straniera avrebbe coinciso con una svalutazione della moneta nazionale che avrebbe reso meno conveniente l'investimento, e scoraggiato l'arrivo di ulteriori capitali. Molto banalmente, se io devo investire in un paese estero dovrò fare una valutazione dei futuri guadagni (e quindi degli interessi) ma anche del rischio di cambio. Perché, se la moneta con cui mi pagano si svaluta avrò un beneficio inferiore alle attese. Questo è proprio il motivo per cui chi ci ha prestato i soldi ora non vuole che l'Italia esca dall'euro. Ma, se il paese in questione adotta la mia stessa valuta, questo rischio è nullo, e la bolla speculativa del credito è libera di gonfiarsi.

Ora, questo problema patrimoniale, il debito, è causato da uno economico, i mancati guadagni delle aziende che vendono beni e servizi italiani.

Come già scritto in questo precedente post, il problema economico è dovuto alla perdita di competitività causata dall'adozione dell'euro. Inoltre, se andate a rileggere questo post, vedrete perché i prodotti tedeschi vengono preferiti dai consumatori, a scapito di quelli interni.

E come si inserisce in questo discorso il jobs act?

Ancora una volta, come quando entrammo nell'euro (e non è detto che non succeda ancora in futuro), si manifesta la necessità di svalutare il fattore lavoro per guadagnare competitività (nonostante il costo orario del lavoro in Italia sia perfettamente in linea con la media UE). Questo obiettivo sarà perseguito con qualunque mezzo a disposizione:
- riducendo le tutele di chi entra, o rientra, nel mercato del lavoro in modo da poterlo mandare a casa più facilmente (e abbiamo visto sopra come la precarizzazione incida sugli stipendi);
- levando diritti a chi li ha per poter licenziare, e quindi risparmiare (vedi questione dell'art.18);
- tagliando gli oneri sociali (con eventuale ricaduta sulle future pensioni);
- etc. etc.
Solo che, al contrario degli anni novanta, questa volta non saranno i consumi, finanziati tramite capitali esteri, a portare la crescita del PIL, ma le esportazioni. Infatti, nessuno verrà a investire in un paese la cui domanda di consumi è in diminuzione, a parte quelli che saranno attratti dal basso costo della manodopera.

Il futuro del governo di Matteo Renzi, quindi, dipende dal successo di questa riforma. Perché, le politiche che esso impone ai cittadini provengono, a loro volta, da un vincolo imposto dall'esterno, pagato dai lavoratori e dagli imprenditori italiani. L'euro.




EDIT 3/11/2014
Ho fatto un errore commentando il primo grafico, quello sulla disoccupazione e sull'andamento dei salari reali. In effetti, come si evince dai dati che riguardano gli importi, e non le variazioni annuali (vedi il problema della produttività in Italia) i salari reali del 2007 risultavano sostanzialmente stabili rispetto al 1996. Tutto il resto del discorso resta comunque invariato, perché la crescita media del PIL nel periodo indicato (vedi secondo grafico di questo post) è stata molto più elevata di quella degli stipendi. Pertanto, come illustrato, la crescita dell'indebitamento privato ha consentito di aumentare le vendite. Chiedo scusa per la svista.







lunedì 13 ottobre 2014

Germania: il freno a mano d'Europa

Sapete tutti che cos'è una locomotiva, ma per precisione riporto la definizione qui sotto:

1. veicolo ferroviario a motore che traina un convoglio: locomotiva a vapore, elettrica|soffiare, sbuffare come una locomotiva, (scherz.) ansimare, sbuffare forte
2. l’elemento trainante di un processo: la locomotiva dello sviluppo
Etimologia: ← dall’ingl. locomotive, che è dall’agg. fr. locomotif ‘relativo al moto’, dalla loc. del lat. tardo co motīvu(m) ‘che si muove secondo il luogo’, cioè ‘rispetto allo spazio’.
Fonte: Garzanti
Tutti voi avrete senz'altro sentito dire che la Germania è la locomotiva d'Europa. Tuttavia, questa definizione è in palese contrasto con i dati economici che mostrano come in realtà sia stato uno dei paesi che è cresciuto di meno dall'introduzione dell'euro allo scoppio della crisi del 2007.


Siete rimasti sorpresi? 

Nel periodo fra il 1999 e il 2007, il PIL della Germania è cresciuto a una media di appena l'1,7% annuale. Successivamente allo scoppio della crisi, tra il 2008 e il 2013, le cose sono andate anche peggio, perché la crescita media risulta attestarsi allo 0,7% annuale. Molto poco, considerando il fatto che questo risultato è stato ottenuto anche senza sottoporre la propria popolazione alle dolorose politiche di austerità subite dai cittadini di altri paesi europei.

Ma, direte voi, come mai la Germania cresce così poco? La risposta è nel grafico successivo, che mostra la crescita degli stipendi reali (al netto dell'inflazione) tra il 1999 e il 2007.


Ovviamente, se la busta paga non aumenta, non si può pretendere che i consumi crescano. Quindi l'inflazione, che dipende dalla domanda di acquisti, è rimasta a livelli molto bassi (vedi grafico successivo).


Ora, cosa succede in un'unione monetaria a quelle regioni, o paesi, che godono di un'inflazione minore rispetto agli altri? Il cambio nominale fra valute rimarrà identico, a maggior ragione in Europa, dove abbiamo una moneta unica, l'euro. Purtroppo però, il cambio reale che considera anche i tassi d'inflazione, registrerà un divario crescente che giocherà a favore di quei paesi in cui l'inflazione è minore, che godranno di prezzi più bassi, e pertanto di un vantaggio competitivo. In conseguenza di ciò, anche i loro prodotti saranno più a buon mercato, e verranno preferiti a quelli delle altre regioni, o paesi. Infatti, se osservate il grafico successivo, che mostra la posizione creditoria/debitoria netta di alcuni stati con l'estero, noterete come l'economia tedesca abbia accumulato, negli anni, crediti verso tutte le altre.


Qualcuno tra voi però avrà notato che anche in Italia il PIL e gli stipendi sono cresciuti pochino. La ragione è che anche da noi, come in Germania, sono state praticate delle politiche di svalutazione del fattore lavoro nel tentativo di contenere la crescita delle importazioni, che da noi sono imputabili alla precarizzazione del lavoro introdotta dalle leggi Treu e Biagi, mentre in Germania dalle riforme Hartz. Ma allora, come mai non abbiamo goduto degli stessi benefici sui tassi d'inflazione? Perché, come ha spiegato la BCE (qui) dalla nascita della moneta unica, i capitali sono defluiti dalle regioni più ricche d'Europa per andare in quelle più povere (dove la domanda era maggiore) finanziando i consumi con tassi d'interesse a buon mercato, e creando quell'enorme bolla speculativa del credito che noi chiamiamo euro.

Ricapitolando, l'azione dei governi tedeschi che si sono succeduti negli anni dell'euro è servita a vincere la competizione verso le industrie concorrenti (tra le quali le nostre), arginando le importazioni, e spingendo le esportazioni tedesche verso il mercato europeo. Il tutto, bloccando gli stipendi a scapito sia della crescita interna che di quella degli altri membri della zona euro. Praticamente, più che una locomotiva, la Germania è un vero e proprio freno a mano.

1. congegno utilizzato per rallentare e arrestare il moto di un veicolo, di una macchina o di una parte di essa: il freno dell’auto, della moto; freno di emergenza, di soccorso; freni elettromagnetici, idraulici, meccanici, pneumatici; tirare, azionare il freno; avere un guasto ai freni
2. barra trasversale metallica, legata alle redini, che si mette in bocca al cavallo o ad altri animali per reggerli e guidarli; morso: mettere, tirare, allentare il freno |allentare, stringere i freni, (fig.) concedere maggiore, minore libertà; allentare, irrigidire la disciplina
3. qualunque forza o mezzo che serve a reprimere o a moderare: il freno della legge, della morale; porre un freno alle ingiustizie
4. (anat.) frenulo
5. (ant., lett.) controllo, governo: Voi cui fortuna ha posto in mano il freno / de le belle contrade (PETRARCA Canz. CXXVIII, 17-18)
Etimologia: ← lat. frēnu(m) ‘morso, freno’, dal tema di frendĕre ‘digrignare i denti’.
Fonte: Garzanti


lunedì 6 ottobre 2014

In Italia NON ci sono troppi laureati

Oggi voglio mostrarvi i dati OCSE relativi alla percentuale di laureati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni.


Rispondo subito a chi dovesse pensare che la posizione del nostro paese cambi di molto selezionando altre fasce d'età. Non è così. Comunque, per chi volesse saperne di più, i dati li trovate QUI. Solo per chiarezza, vi anticipo che l'OCSE si riferisce alla tertiary education ovvero al livello di istruzione più alto.

La conclusione è ovvia: è da escludere che in Italia ci siano troppi laureati, e chi lo pensa, e lo dice, ignora la realtà dei fatti.

Ah! Ma allora come fanno a trovare lavoro i laureati degli altri paesi?

Per prima cosa, non è detto che all'estero tutti i laureati trovino lavoro, o che non facciano mestieri diversi da quello per cui hanno studiato. Tuttavia, avere un tasso di disoccupazione alto come il nostro, e una crescita economica così bassa come quella che sperimentiamo da tanti anni, di certo non aiuta nessuno a trovare lavoro, anche se laureato.

Dopotutto, non mi sembra che poco più di due persone su dieci con il massimo livello d'istruzione possano rappresentare un problema per un qualsiasi paese sviluppato.







venerdì 3 ottobre 2014

La strana proposta del TFR in busta paga

Sono rimasto spiazzato della strana proposta sul TFR da parte di alcuni esponenti di governo e della maggioranza. La trovata sarebbe quella di dare parte del TFR al lavoratore, ogni mese, direttamente in busta paga.

Sono confuso perché, da una parte il governo italiano (e quello europeo) non perdono occasione per dirci che sono necessari investimenti per la crescita. Dall'altra vogliono ridurre quello che è, in media, l'investimento più importante del lavoratore italiano, ovvero il TFR che, come tutti sanno, è una parte di retribuzione a cui rinunciamo perché ci venga data in futuro con gli interessi.

Non sono però stupito. Perché da qualche tempo ormai (dagli 80 euro in poi) sempre la maggioranza, e il governo, hanno cominciato a dire che bisogna risollevare i consumi dopo che dal 2011 in poi si è fatto di tutto, ma davvero di tutto, per cercare di ridurli tramite l'austerità (vedi qui e qui).

Io non conosco le vere intenzioni del governo. Di certo non posso pensare che un illustre economista come Padoan non conosca gli effetti macroeconomici di simili proposte. Mi viene quindi il sospetto che siano tutti d'accordo (a palazzo Chigi e a Bruxelles) ad aggredire e spolpare il più possibile i risparmi degli italiani.