lunedì 24 novembre 2014

Il record di fiducie del governo Renzi

Il governo Renzi ha il primato italiano della percentuale di voti di fiducia sul totale dei provvedimenti di legge approvati. Quasi il 77% in accordo con questo articolo pubblicato da openpolis.it.

Periodo Governo % Fiducie
2014 Renzi 76,92%
2013-2014 Letta 24,32%
2011-2013 Monti 45,13%
2008-2011 Berlusconi IV 16,42%
2006-2008 Prodi II 33,93%
2005-2006 Berlusconi III 15,03%
2001-2005 Berlusconi II 5,58%
2000-2001 Amato II 0,01%
1999-2000 D'Alema II 1,33%
1998-1999 D'Alema I 1,99%
1996-1998 Prodi I 9,07%

Nel corso degli anni, a una coalizione di governo maggiormente frammentata è corrisposto, com'è del resto facile intuire, un maggior ricorso ai voti di fiducia. Tuttavia, come mostra il grafico successivo, quello del governo Renzi è un caso estremo.


Il precedente grafico rappresenta la correlazione fra:  il numero di forze politiche comprese nella coalizione di governo, e le fiducie richieste sul totale dei provvedimenti di legge approvati. Tale correlazione è di circa il 10% (0,097 che corrisponde al 9,7% per esattezza). Il governo Renzi, in alto a sinistra, è totalmente fuori scala. Infatti, senza di esso, la correlazione tra ampiezza della coalizione e la percentuale di fiducie risulterebbe essere del 74%, (vedi grafico successivo).


Questo significa che un governo composto da poche forze politiche ha meno bisogno di ricorrere alle fiducie, e si presume quindi che sia meno litigioso. Ed è per questo che alcuni esponenti politici sostengono una legge elettorale che consenta di governare da soli. Il rischio però, è quello di cedere alla tentazione di propendere per un sistema che, tramite un premio di maggioranza spropositato, permetta a una sola forza politica di avere una maggioranza sproporzionata rispetto al consenso elettorale ottenuto. Questo è quello che vorrebbero coloro i quali sono meno inclini ad accettare il processo democratico, che degradano a semplice competizione elettorale, e che pensano di avere il diritto d'imporsi in quanto credono di sostenere le idee migliori, senza per questo essere riusciti a convincere la maggioranza degli elettori.

Purtroppo però, come vediamo in questi giorni, non è affatto detto che una forza politica, anche qualora ottenesse la maggioranza assoluta dei seggi, non sia comunque litigiosa al suo interno.

Un tema spesso dibattuto, anche nella compagine di governo, è quello l'austerità. A parole tutti vorrebbero eliminarla, anche se poi tra i detrattori di questa politica troviamo gli stessi deputati e senatori dei medesimi partiti che, con larga maggioranza, hanno sostenuto il governo Monti durante la passata legislatura.

Come abbiamo visto nei precedenti post: "A che cosa è servita l'austerità" e "Perchè il governo non fa niente contro la crisi?" la politica economica italiana degli ultimi anni è stata tutto meno che il frutto di un errore di calcolo. L'aumento della disoccupazione, e l'esplosione del debito pubblico, sono proprio l'ovvia conseguenza della distruzione della domanda interna che ci è stata suggerita (o imposta?) dalla Troika, allo scopo di riequilibrare la nostra bilancia commerciale.


Il continuo ricorso al voto di fiducia da parte del governo è l'evidenza di quanto sia sempre più pressante la volontà di una parte del PD di smarcarsi da queste politiche impopolari. Ma in Europa sanno che il ripudio dell'austerità da parte del nostro paese potrebbe essere un colpo mortale inferto alla sostenibilità dell'eurozona.




lunedì 17 novembre 2014

Quelli che l'economia tedesca cresce perché loro investono

Esiste una relazione inversa tra il surplus commerciale e gli investimenti. Lo dicono i libri di macroeconomia, come ad esempio il manuale del Prof. Gregory Mankiw di Harvard che è molto utilizzato in ambito universitario, soprattutto all'estero. E' un testo di economia ortodossa, ovvero classica. Quindi, quello che vi sto per esporre di seguito non è assolutamente nuovo, o rivoluzionario, per chi studia economia.

Per capire come, in un'economia aperta, il livello degli investimenti e la bilancia commerciale siano in realtà due facce delle stessa medaglia è sufficiente prendere l'identità di contabilità nazionale:

Y = C + G + I + X - M

Dove:
Y = reddito, prodotto, o PIL
C = consumi privati, o spesa privata
G = consumi pubblici, o spesa pubblica
I = investimenti
X = esportazioni
M = importazioni

Ora, basta fare qualche passaggio matematico.

Se:

Y = C + G + I + X - M

allora:

Y - C - G - I = X - M

Infatti, passando dall'altra parte dell'uguale le grandezze cambiano segno.

Ma:

Y - C - G = S

E' sicuramente chiaro a tutti che il reddito meno la spesa è uguale al risparmio "S".

Quindi:

S - I = X - M

Pertanto, un paese che ha un surplus commerciale X > M (le esportazioni superano le importazioni), deve avere anche anche S > I (un livello di risparmi maggiore di quello degli investimenti).

D'altra parte, in un paese che invece ha una bilancia commerciale in passivo, X < M, gli investimenti saranno maggiori del risparmio (S < I).

Questo succede perché i risparmi che il paese in surplus consegue, vanno a finanziare gli acquisti di quelli che hanno una bilancia commerciale negativa (X < M) tramite i prestiti concessi. Pertanto, accade che alcune nazioni siano creditrici e altre debitrici. E' quello che abbiamo già visto nel post "il problema dell'Europa sono gli squilibri interni, non il cambio con il dollaro"

Andiamo ora a controllare se quanto sopra illustrato, a livello teorico, corrisponde anche alla realtà dei fatti.

Il periodo di riferimento della nostra analisi è dal 1999 al 2008. Questo perché va dalla nascita ufficiale dell'euro fino all'inizio della crisi, ovvero prima che iniziassero le manovre economiche di austerità che hanno tagliato i consumi nei paesi debitori fermando l'afflusso di capitale da quelli creditori. Consideriamo pertanto il periodo di maggiore apertura del mercato europeo dei capitali.

Pensate ad un paese che, nel suddetto periodo, ha avuto un pesante deficit della bilancia commerciale. Ad esempio la Grecia. Ora, immaginate a un'altra nazione che, al contrario, ha avuto enormi surplus della bilancia commerciale. La Germania.

Nel successivo grafico potrete osservare come la bilancia commerciale di Grecia e Germania hanno avuto un andamento opposto nel periodo che stiamo analizzando. La prima con un deficit sempre maggiore, mentre la seconda in crescente surplus.


Nel grafico seguente, ecco la media degli investimenti in rapporto al PIL del periodo 1999-2007:


Come volevasi dimostrare, la Grecia ha investito più della Germania. Non basta? Osservate i dati dei paesi della zona euro (ho tenuto in considerazione solo quelli entrati nell'euro prima del 2008):


Guardate i PIIGS (in rosso) che sono i paesi con i maggiori deficit nella bilancia commerciale, hanno investito più dei paesi virtuosi (in azzurro), e la Germania è il fanalino di coda della classifica.

Vi starete chiedendo per quale motivo vi sto raccontando tutto questo. Ebbene, solo io ho sentito la storia per cui l'economia tedesca è forte perché loro hanno investito? Se capitasse anche voi, adesso sapete cosa rispondere.





lunedì 10 novembre 2014

Il debito esiste perché qualcuno guadagna troppo e qualcun altro troppo poco

Tutti noi abbiamo sentito parlare del debito pubblico. I più informati sapranno addirittura che, al 31 dicembre 2013, ammontava a oltre 2.000 miliardi di euro, ovvero al 133% del prodotto interno lordo (PIL) dello stesso anno.

Pochi di voi, invece, avranno sentito parlare del debito privato, quello di famiglie e imprese che, sempre al 31 dicembre 2013, non era di molto inferiore a quello pubblico.


Nel prossimo grafico, potrete vedere l'andamento dei debiti pubblico e privato dal 1970 al 2013.


Osservate come, la tendenza è quella che, quando il debito privato diminuisce, o rimane invariato (in rapporto al PIL) quello pubblico aumenta. E viceversa, quando quello pubblico decresce, incrementa quello privato. Questo accade perché la crescita economica è stata finanziata, in un modo o nell'altro, a debito. Con denaro pubblico, o con quello privato.

Durante il periodo analizzato (1970-2013) c'è stata solo un'importante eccezione a questa alternanza fra debito pubblico e privato, nel 2008-2010, quando il debito pubblico aveva ricominciato a crescere a causa della crisi proveniente da oltre oceano (vedi precedente post: quelli che il debito pubblico c'è perchè abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità) e quello privato continuava a aumentare a ritmi vertiginosi, come del resto aveva fatto praticamente dall'inizio dell'ingresso dell'Italia nell'euro (vedi precedente post: a cosa serve il job s act). La crescita di quest'ultimo si è interrotta solo con l'austerità (vedi precedente post: a che cosa è servita l'austerità?!).

Come ho scritto sopra, il debito aumenta per finanziare la crescita economica. Come mai funziona così? Una spiegazione di massima la possiamo trovare nel prossimo grafico.


La quota salari (la linea in rosso) è il rapporto tra stipendi e produttività. E' quindi la parte del reddito complessivo che in un'azienda viene attribuita al lavoro (la parte rimanente va invece a remunerare il capitale). Come avrete notatto tutti, dal 1970 al 2013 è diminuita di circa venti punti percentuali, passando dal 70% al 50% (la misura si legge nella colonna a destra).
Come ho già avuto modo di scrivere nel post: a che cosa serve il jobs act, se gli investitori pretendono che il capitale sia più remunerato rispetto al lavoro, accade che la maggior produzione rimane invenduta. Perché, ovviamente, chi ha una fetta sempre più piccola della torta, ovvero i lavoratori, non sono certo nelle condizioni di spendere di più. Il problema viene risolto da chi, avendo ha una fetta sempre più grande della torta, da in prestito una parte del suo profitto per finanziare quelli che faranno crescere l'economia con i loro maggiori consumi. Il tasso d'interesse, di solito piuttosto favorevole all'investitore, è quello che incentiva il capitalista a prestare il suo denaro, ed è pure lo stesso che erode ancora un po' di più la fetta di torta di chi si indebita.

Quello descritto sopra, è il principio scatenante di una qualsiasi bolla speculativa. Il debito cresce, e l'investitore guadagna. Il tutto continua fino a quando i debitori non riescono più a pagare facendo scoppiare la bolla. A quel punto, creditori e debitori useranno tutti i mezzi che hanno a loro disposizione per difendere i propri interessi, che saranno ovviamente opposti (uno lotterà per avere comunque i soldi indietro, e l'altro per non pagare più).

Anche nel grafico precedente c'è un'eccezione, e corrisponde al periodo successivo al 1996 che, come ripeto sempre, è l'anno in cui abbiamo fissato i cambi irrevocabili con le altre valute e siamo entrati, di fatto, nell'euro. L'eccezione è solo apparente. Infatti, da quell'anno in poi, come abbiamo visto nei post: il problema della produttività in Italia; Atene 2013: quando la Banca Centrale Europea ammise le responsabilità dell'euro nella crisi; e il problema dell'Europa sono gli squilibri interni e non il cambio con il dollaro, la bolla speculativa, si ingrandisce a livello europeo.

In conclusione, gli eccessivi debiti e crediti, si originano quando il denaro si distribuisce nel mercato in modo molto favorevole ad alcuni, i creditori, e molto sfavorevole al resto degli individui, i debitori. Quest'ultimi, cosa da non sottovalutare mai, pur essendo la parte economicamente più debole, hanno dalla loro il fatto che tendono ad essere la maggioranza della popolazione.

lunedì 3 novembre 2014

Renzi: l'uscita dall'euro e i tassi d'interesse

In questo video di un anno fa Matteo Renzi rispondeva a una persona che gli chiedeva la sua opinione sull'uscita dell'Italia dall'euro dicendo che sarebbe un disastro: "pensate solamente al problema del costo degli interessi...il valore dello spread schizzerebbe alle stelle".


L'attuale Presidente del Consiglio era giustamente preoccupato dal tema degli interessi sul debito pubblico che, come abbiamo visto (qui) negli anni tra il 1981 e il 1992 (con una coda del problema fino al 1994) è aumentato proprio a causa degli alti tassi d'interesse.

Nel grafico successivo potete osservare l'andamento mensile del tasso d'interesse rendistato (che equivale al rendimento medio lordo dei BTP emessi con durata superiore a un anno). Avrei potuto prendere i dati dei tassi d'interesse a breve (o a lungo), ad esempio dal database dell'OCSE (qui) perché in economia ci sono differenti tassi d'interesse. Tuttavia, la sostanza non cambia. Infatti, più che sui valori raggiunti, ci concentreremo più che altro sull'andamento della curva.


Il periodo selezionato nel grafico precedente corrisponde all'anno in cui siamo entrati nella banda di oscillazione stretta del Sistema Monetario Europeo (SME) e arriva fino alla fine del 1996, cioè quando abbiamo negoziato i cambi irrevocabili che poi dal 1999 avrebbero dato vita all'euro.

Come funzionava lo SME?

Era una sorta di cambio quasi fisso tra le varie monete europee dei paesi europei che aderivano all'accordo. La banda d'oscillazione della lira, in un primo momento, era stata fissata attorno al 6% (in più o in meno) ma dal gennaio 1990 venne ridotta al 2,25%.

Il cambio fisso è di fatto una limitazione alla sovranità monetaria di un paese. Sia esso agganciato al valore di un bene come l'oro (com'era durante il periodo del Gold Standard) che a quello di altre valute (marco, dollaro, sterlina, etc. etc.). Questo, impone alla banca centrale dei paesi aderenti di cambiare la propria moneta con un'altra ad un valore prefissato. Ne consegue che alla banca centrale spetta l'onere di avere sempre a disposizione le riserve valutarie necessarie a tali operazioni di cambio.

Quindi, la banca centrale fa una promessa di cambio fisso, e come fa a mantenerla?

Se la bilancia commerciale è positiva le valute estere entrano tramite le esportazioni, altrimenti bisognerà attirarle vendendo titoli di Stato, e alzando un po' il tasso d'interesse per renderli più appetibili agli investitori esteri che comprandoli riforniscono la banca centrale di valuta straniera.

Se osservate ancora il grafico di cui sopra noterete che ad un certo punto ci fu una brusca salita del tasso d'interesse, che corrisponde all'ultimo periodo di adesione dell'Italia allo SME. In quei giorni, successivi alla recessione americana del 1991, la Banca d'Italia vedeva assottigliarsi le proprie riserve valutarie e continuava ad aumentare il tasso d'interesse dei titoli di Stato in emissione, nel vano tentativo di fermare l'emorragia. Ad un certo punto, il 17 settembre 1992, l'Italia ruppe l'accordo di cambio e uscì dallo SME. Venendo meno la necessità di proteggere il cambio, i tassi d'interesse diminuirono. In seguito, l'andamento oscillò senza mai tornare ai livelli di quel settembre 1992 e, soprattutto dal 1995, diminuirono. Segno che era possibile contenere il tasso d'interesse anche durante gli anni della lira, tutto a beneficio del debito pubblico che, anche grazie alla ripresa economica, a partire al 1994, diminuì in rapporto al PIL (vedi anche post: quelli che il debito pubblico c'è perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità).

Ora, guardate il secondo grafico. Il periodo preso in considerazione è il biennio 2011-2012, gli anni terribili dello spread (ovvero la differenza fra i tassi d'interesse dei BTP e dei Bund tedeschi entrambi con scadenza decennale).

Vale la pena ricordare che, se durante lo SME la sovranità monetaria era limitata, con l'euro è stata completamente azzerata. Infatti, la nostra banca centrale non può stampare euro, e lo Stato ottiene i soldi necessari al suo funzionamento solo tramite la vendita dei titoli del debito pubblico al tasso d'interesse deciso dal mercato.

Cosa successe?

Anche in questo caso abbiamo un picco massimo, che corrisponde al momento in cui i mercati ebbero paura della deflagrazione dell'area euro, e quindi di vedersi restituiti i propri soldi in lira svalutata, anziché nella nostra attuale moneta pregiata.

La soluzione al problema dei mercati fu politica, come nel 1992, come erano del resto politici anche gli accordi che il problema l'avevano creato (lo SME e l'euro). L'allora Presidente Berlusconi, che aveva basato il suo governo sulla negazione della crisi (frutto del pessimismo cosmico) e sul mancato aumento delle tasse fece un passo indietro per lasciare strada ad un governo che, sotto la maschera dei tecnici, ma con la responsabilità delle maggiori forze politiche italiane, avesse le mani libere per fare quelle manovre di austerità necessarie a proteggere il nostro cambio con l'euro (vedi anche post: a che cosa è servita l'austerità).


Qual'è la conclusione?

Che, i tassi d'interesse potrebbero anche essere più alti di oggi se tornassimo alla lira il che, tra l'altro, dovrebbe essere una cosa tutto sommato positiva, perché legata alla ripresa della domanda di consumi interni. In ogni caso, saranno sicuramente più bassi del momento in cui saremo costretti ad abbandonare l'euro. 

La libertà ha il suo prezzo, ma questo non è un buon motivo per consentire a qualcuno, nemmeno ai mercati, di metterti un guinzaglio, o meglio, un cappio al collo. 


PS: comunque, date un'occhiata ai tassi dei finanziamenti (quelli TAEG mi raccomando!), o ai fidi bancari concessi alle vostre aziende. Non è che oggi siano poi così bassi. Learn to survive.