lunedì 7 dicembre 2015

L'austerità e il terrorismo portarono Hitler al potere (speriamo che la storia non si ripeta) 1 di 2

L'argomento di questo post è importante, e merita un certo approfondimento, tanto che per renderlo di più facile lettura l'ho diviso in due parti. La seconda puntata la leggerete settimana prossima.

E' stato scritto tanto a proposito di Hitler, dell'economia europea fra le due guerre, e dell'inflazione degli anni venti. Io non potrei mai essere all'altezza di aggiungere altro rispetto a quanto già raccontato da illustri storici ed economisti. Il mio scopo, infatti, si limita a quello di farvi notare come i consensi che portarono Hitler al potere in Germania maturarono dalle politiche di austerità messe in atto dal governo tedesco, dopo la grande depressione del 1929, e che tale situazione presenta alcune significative analogie con quella attuale. Insomma, la storia si ripete ma ogni volta sembra sempre diversa (ma solo per chi non la conosce).

Partiamo dal fatto che dopo la prima guerra mondiale, persa dalla Germania, il trattato di pace di Versailles impose ai tedeschi l'onere di pagare delle pesantissime riparazioni. Il motivo principale di questo trattamento fu l'insistenza del governo francese. Keynes, nella sua celebre opera "Le conseguenze economiche della pace", descrive il primo ministro Clemenceau come un politico convinto del fatto che il conflitto appena terminato fosse solo uno dei tanti contro la Germania, e che in futuro ce ne sarebbero stati altri. In quest'ottica, il suo scopo doveva pertanto essere quello di indebolire il nemico il più possibile, per dare un vantaggio competitivo al suo paese allo scoppio della prossima guerra. Da questo atteggiamento, ne scaturì un accordo oltremodo punitivo che difficilmente avrebbe potuto essere rispettato dai tedeschi.

La conseguenza di quella pace cartaginese (come la definì il Keynes) fu l'iperinflazione tedesca degli anni venti del novecento. E' necessario che vi precisi, ma senza entrare nel dettaglio, che gli storici sono divisi sul motivo tecnico che causò tale fenomeno. Come ricordato dal Prof. Charles Kindleberger in "I primi del mondo", la scuola monetarista sostenne che l'esplosione dei prezzi fu innescata dall'eccessiva stampa di moneta da parte della banca centrale tedesca, mentre per la scuola strutturalista il motivo sarebbe stato la difficoltà di ripartire gli oneri dei sacrifici per il pagamento delle riparazioni di guerra tra le classi sociali. Se ho capito bene, secondo quest'ultima scuola di pensiero il governo avrebbe dovuto aumentare la produttività delle fabbriche tedesche allungando la giornata lavorativa. Inoltre, avrebbe dovuto eseguire una politica di austerità per diminuire i consumi interni, proteggendo così il valore della moneta. Comunque, indipendentemente dalla possibilità, o dalla volontà, del governo tedesco di adempiere al trattato di Versailles senza provocare l'iperinflazione, è opinione ampiamente condivisa che quell'accordo di pace fu l'origine del problema.

Riguardo alle conseguenze dell'inflazione, lo storico Eric Hobsbawn, Nel best seller "Il secolo breve" racconta che la moneta perse completamente il suo valore, riducendo sul lastrico le persone che vivevano di rendite fisse o di risparmi. Da quel momento l'economia della Germania dipese dagli investimenti in valuta estera. Tali afflussi di denaro arrivarono dagli USA, a partire dal 1924, con il piano Dawes.

Gli anni successivi all'iperinflazione (che durò dal 1922 al novembre 1923) beneficiarono di una certa stabilità dei prezzi, di una disoccupazione sotto controllo, e anche di una certa crescita economica. In ogni caso, non furono rose e fiori. Io ho trovato dei dati non proprio confrontabili, e forse anche contrastanti, in quanto Hobsbawn scrive che in quel periodo la disoccupazione media in Germania era del 10%, mentre Wikipedia, nella sezione che si occupa della repubblica di Weimar riporta un grafico dove è indicato che la disoccupazione nel 1928 era ben al di sotto del 10%.

In ogni caso, e qui veniamo al punto che ci interessa particolarmente, come riportato da Marcello Flores nel suo libro "Storia Universale XX Secolo" il partito nazista raggiunse solo il 2,6% dei voti alle elezioni del 1928, nonostante l'inflazione del 1922-23, e la conseguente distruzione del risparmio.

Poi venne il crollo di Wall Street del 1929 e la grande depressione dei primi anni trenta. Per ovvi motivi (i soldi erano finiti) si bloccarono i flussi di capitali che arrivavano in Germania dagli USA e, come già accennato, proprio da quelle risorse la Germania dipendeva finanziariamente. Il governo del cancelliere Brüning passò alla storia per le misure di austerità draconiane che impose ai suoi concittadini (fu una specie di Monti ante litteram) e questo fece impennare il numero dei disoccupati che, tra il 1930 e il 1932 raddoppiò. Il dato è confermato sia da Marcello Flores che da Wikipedia, così come entrambe le fonti concordano sui dati elettorali che videro, solo a partire da allora, la escalation dei consensi del partito di Hitler: 18% nel 1930 e 37% nelle elezioni di luglio del 1932.

Secondo lo storico Eric Hobsbawn, tuttavia, fu la distruzione del risparmio causata dall'inflazione a spianare la strada al fascismo in Europa. Va ribadito che questa conclusione non sembra essere suffragata dai fatti. Si può tuttavia ipotizzare che Hobsbawn intendesse che le conseguenze dell'inflazione costrinsero i governi degli anni trenta ad imporre l'austerità per mancanza di risorse, cosa che poi ebbe l'effetto di provocare l'avanzata del nazismo in Germania. Comunque, anche concordando con quest'interpretazione, è bene sottolineare che la causa dell'inflazione fu, in origine, il trattato di pace di Versailles, a cui pertanto andrebbero ricondotte tutte le sciagure successive.

Sotto troverete alcuni estratti dei libri che ho consultato per scrivere questo breve articoletto. Mi sembrava utile, ed interessante, riportarveli. Non vi annoio ulteriormente, e lascio alla prossima settimana il confronto tra gli anni venti e la nostra epoca. Anche se, molti di voi avranno già capito dove voglio arrivare.



Fonti:

John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace: Se noi contrastiamo passo per passo ogni mezzo per il quale la Germania o la Russia possono riconquistare il loro benessere materiale, solo perché nutriamo un odio nazionale di razza o politico per le loro popolazioni o per i loro governi dobbiamo anche prepararci a fronteggiare le conseguenze di tale sentimento. [...]. La politica di ridurre la Germania in uno stato di servitù per una generazione, di degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare di ogni benessere un'intera nazione dovrebbe essere aborrita e detestata anche se fosse possibile attuarla, anche se ci si dovesse arricchire, anche se essa non spargesse il seme della decadenza di tutta la vita civile dell'Europa.

John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace: nonostante l'esito vittorioso per essa della lotta presente (con l'aiuto, questa volta, dell'Inghilterra e dell'America), la posizione futura della Francia  rimaneva precaria agli occhi  di un uomo [Clemenceau] il quale partiva dall'assunto che la guerra civile europea è da considerarsi uno stato di cose normale o almeno ricorrente in futuro, e che conflitti tra grandi potenze analighi a quelli che hanno occupato l'ultimo secolo impegneranno anche il prossimo. Secondo tale visione del futuro, la storia europea è destinata a essere una perpetuo incontro di boxe, del quale la Francia ha vinto questo round, ma del quale questo round non è cetamente l'ultimo. Da questa convinzione che in sostanza il vecchio ordine non cambierà, essendo fondato sulla natura umana che è sempre la stessa, e dal conseguente scetticismo dalla Società delle Nazioni, la politica della Francia e di Clemenceau derivava logicamente: una pace di magnaminità o di trattamento equo e paritario, basato su una "ideologia"  come quella dei Quattoridici Punti di Wilson, poteva avere soltanto l'effetto di accorciare i tempi della ripresa tedesca e di affrettare il giorno in cui la Germmania scaglierà di nuovo contro la Francia il peso della sua superiorità numerica e delle sue maggiori risorse e capacità tecnica.

Charles P. Kindleberger, I primi del mondo. Come nasce e come muore l'egemonia delle grandi potenze, IX. La Germania, la ritardataria, 11. Il periodo tra le due guerre: migliaia di pagine sono state scritte sull'inflazione, pagine ricche di grandi intuizioni e notevoli sottigliezze, ma il problema, mi pare riguarda il quesito se la società tedesca all'indomani della guerra fosse capace di sostenere i rilevanti oneri della ricostruzione e delle riparazioni, oneri sopportabili solo costruendo una coesione sociale che avrebbe permesso di distribuitrli. Le riparazioni fissate dopo Versailles erano ingenti; molto più ragionevole era l'ipotesi di Keynes, secondo cui una cifra come 10 miliardi di dollari sarebbe stata sopportabile, diversamente dai 40 miliardi di dollari che aveva calcolato come implicitamente imposti dal trattato di Versailles, o i 33 miliardi più le tasse sulle esportazioni (da ripagare nel corso di 42 anni) concordati dalla Commissione per le riparazioni nell'aprile del 1921. La questione era se ci fosse o meno la volontà di pagare. La scuola monetarista sostiene che l'inflazione tedesca dipese dall'eccessiva emissione di marchi da parte dela Reichsbank, mentre la strutturalista sostiene che dipese dall'incapacità dei vari segmenti dell'economia di distribuire gli oneri.

Eric J. Hobsbawn, Il secolo breve 1914/1991, l'età della catastrofe - nell'abisso economico: Nel caso estremo la Germania del 1923, l'unità monetaria perse di un milione di milioni il valore che aveva nel 1913, cioè a dire il valore della moneta si ridusse in pratica a zero. [...]. In breve, il risparmio privato scomparve completamente, creando così un vuoto quasi completo di capitali da investire in attività produttiva, il che spiega in grande misura il fatto che l'economia tedesca negli anni successivi alla guerra dovesse affidarsi in misura massiccia ai prestiti esteri. Questo la rese insolitamente vulnerabile allorché iniziò la crisi. [...]. Quando nel 1922-23 la grande inflazione finì, essenzialmente per la decisione dei governi di bloccare la stampa di carta moneta in quantità illimitate e di cambiare valuta, le persone in Germania che vivevano di risparmi o di redditi fissi si trovarono sul lastrico. [...]. Ci si può facilmente immaginare l'effetto traumatico di un'esperienza simile sulle classi medie e medio-basse. Essa rese l'Europa pronta per l'avvento del fascismo.

Marcello Flores, Storia universale - Il XX Secolo (allegato al Corriere della Sera), pag.257: I disoccupati, che nel 1930 sono già tre milioni, nel 1932 raggiungono i sei milioni. Il rapporto diretto che esiste tra crisi economica e l'ascesa del partito nazista emerge dai risultati elettorali. Nel 1928 la NSDAP ha appena il 2,6% dei voti, che salgono a 18,3% nel settembre 1930 (con sei milioni e mezzo di elettori) e raggiungono nel luglio 1932 il 37,4% dei consensi.



































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