lunedì 28 novembre 2016

Referendum costituzionale - perchè per cambiare serve un no

Oggi sull'autobus ascoltavo una signora mentre parlava con un amico. Sosteneva, a proposito del referendum del prossimo 4 dicembre, che alcuni sono contrari proprio a tutto e che sanno dire solo no. Credo che abbia ragione. Comunque, spero che tali soggetti siano di più di quelli che, al contrario, pensano che sia sempre meglio dire di sì. Non facciamoci illusioni, tante persone votano per partito preso e non sentono il bisogno di approfondire gli argomenti. Del resto, neppure io che provo ad informarmi posso sostenere di possedere la piena consapevolezza riguardo alla mia scelta. Con lo studio e la corretta informazione si può però arrivare, quantomeno, ad esprimere in modo articolato le proprie idee.

Le riforme che la popolazione italiana ha subito in questi anni sono dettate dall'Europa. Credo che sia chiaro a molti. Per quanto riguarda la riforma costituzionale è il governo stesso, nel documento di presentazione del disegno di legge alle camere, a dichiarare che la riforma serve ad <<adeguare l'ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea>>.


La volontà del governo sembra richiamare un documento della società di consulenza JP Morgan del 2013, e cioè il fatto che la nostra costituzione, così com'è, non è adatta ad un'ulteriore integrazione europea.


L'articolo70 della costituzione, così come modificato dalla riforma, dispone che una delle funzioni delle camere sia l'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione Europea.





Secondo l'opinione dell'economista Massimo d'Antoni (su suggerimento del costituzionalista Luciano Barra Caracciolo) il rischio è che i famosi "compiti a casa" che ci invia periodicamente Bruxelles diventino un obbligo costituzionale, e non la semplice conseguenza dell'appartenenza dell'Italia a un trattato internazionale eventualmente rinegoziabile, o addirittura ripudiabile.

Tra l'altro, si da il caso che le letterine che riceviamo dall'Europa siano spesso già in contrasto con la prima parte della costituzione stessa (che, per altro, non è mai stata modificata). Ovvero contro il principio secondo cui l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (do you remember?) che applicato all'economia significa che il governo si dovrebbe impegnare a varare delle politiche volte alla piena occupazione, invece che all'austerità e alla protezione della moneta unica. E per chi non lo sapesse, le due cose (piena occupazione e difesa dell'euro) sono in contrasto fra loro.

Per ironia della sorte, quindi, quelli che credono che #bastaunsì per cambiare rischiano di dare il loro avallo a una riforma che, invece è perfettamente in linea con le più disastrose scelte politiche degli ultimi anni.


lunedì 21 novembre 2016

Chi aveva previsto la vittoria di Trump?

In democrazia vince la maggioranza, questo è ovvio. Altrettanto naturale è che essa, la maggioranza in quanto tale, difficilmente possa essere composta dalle menti più brillanti di un paese. A far pendere il piatto della bilancia, da una parte o dall'altra, è sempre il voto degli umili. Succede sempre, quando prevalgono le nostre idee ma anche quando questo non accade. Una maggiore consapevolezza di ciò dovrebbe convincerci ad essere meno snob.

Ho letto diverse analisi sulle presidenziali USA, tutte più o meno concordanti sul fatto che Trump sia riuscito a sfruttare l'ondata di malcontento che attraversa l'America (e non solo). Per quello che conta, quest'interpretazione è abbastanza coerente con l'opinione che mi sono fatto pure io. Non sarei in grado di fare un'analisi approfondita del valore politico dei due candidati, o di fare previsioni su quanto accadrà ora, però, dato che il risultato ha sorpreso molte persone (incluso me) ho ritenuto che fosse interessante mettervi a conoscenza del lavoro di uno storico che aveva previsto sia la vittoria di Trump che quella di altri presidenti in passato.

The Keys to the White House di Allan Lichtman, professore della facoltà di storia della American University di Washington D.C., è un sistema che si basa su 13 affermazioni. Quando 5, o meno, di esse comportano una risposta falsa (o negativa) vincerà il candidato del partito al governo. Se invece 6, o più, sono false prevarrà quello dell'opposizione.
  1. Nelle ultime elezioni, il partito del presidente ha guadagnato deputati rispetto alle precedenti elezioni di metà mandato 
  2. Non c'è stata una serrata competizione per la nomination del candidato da parte del partito di cui fa parte l'attuale presidente
  3. Il candidato è il presidente in carica 
  4. Manca la presenza di un forte candidato indipendente alle elezioni presidenziali (con almeno il 5% dei consensi)
  5. L'economia non è in recessione durante la campagna elettorale
  6. La crescita del PIL pro capite durante l'ultimo mandato presidenziale è stata maggiore o uguale a quella dei due mandati precedenti
  7. L'amministrazione in carica ha varato importanti riforme durante gli ultimi 4 anni 
  8. Non si è verificata una forte instabilità sociale durante l'ultimo mandato
  9. L'amministrazione in carica non è stata colpita da scandali importanti
  10. L'amministrazione in carica non ha subito importanti sconfitte militari o di politica estera
  11. L'amministrazione in carica ha raggiunto importanti obiettivi militari o di politica estera 
  12. Il candidato del partito del presidente in carica è ritenuto un leader carismatico o un eroe nazionale 
  13. Il candidato del partito avversario a quello del presidente in carica è ritenuto un leader carismatico o un eroe nazionale
Nel caso delle passate elezioni il Prof. Lichtman ha considerato false, o negative, le seguenti sei affermazioni: 1-3-4-7-11-12. Tanto sarebbe bastato alla Clinton per perdere.

Esiste anche un metodo matematico che calcola i consensi che otterrà il partito del presidente in carica in base alle risposte affermative (che nel nostro caso sono sette: 2-5-6-8-9-10-13) e a un insieme di valori calcolati sulle serie storiche delle passate elezioni. La formula è la seguente:

V = 37,2 + 1,8 x 7 (affermazioni vere) = 49,8% dei consensi al candidato del partito del presidente in carica (e quindi 50,2% al candidato sfidante, in questo caso Trump).

Secondo Wikipedia, il sistema del Prof. Lichtman ha previsto correttamente il risultato delle elezioni presidenziali a partire dal 1984. E' vero che alcune delle affermazioni sopra elencate, come quelle sul carisma dei candidati, possono essere frutto di interpretazioni soggettive ma alla maggior parte di esse si può rispondere in modo preciso. Quindi, se anche voi non siete riusciti ad indovinare il candidato vincente, ricordatevene alle prossime elezioni.