giovedì 4 ottobre 2018

Il deficit al 2,4%

Finalmente il governo ha raggiunto un accordo sulla stima del deficit, cioè sul rapporto fra disavanzo di bilancio (la differenza fra entrate e uscite del bilancio pubblico) e il prodotto interno lordo (PIL). Questo valore è stato fissato al 2,4%. Più basso rispetto a quello sperimentato durante la recessione (e non solo) ma più alto di quanto previsto dal precedente governo nel DEF 2018 (1,6%).


Tramite una semplice formula aritmetica (fonte goofynomics) siamo in grado di trovare il livello di deficit che stabilizzerebbe il rapporto debito pubblico/PIL, e comprendere che impatto avrà il deficit previsto sull'andamento di questa grandezza utilizzata normalmente come indicatore del livello di stabilità dei conti.


Gamma è il tasso di crescita nominale e dt-1 è il rapporto debito/PIL dell'anno precedente (il 2018). Per eseguire il calcolo possiamo prendere i dati del database statistico WEO (World Economic Organization) aggiornati ad aprile 2018. La crescita nominale del PIL italiano nel 2019 sarà del 2,47% e il rapporto debito/PIL del 2018 è stimato al 129,7%.Quindi: 1,297 x 0,0247 / (1+0,0247) = 3,1%.

Questo significa che con un deficit del 2,4%, nel 2019, c'è da aspettarsi una diminuzione del rapporto debito pubblico/PIL. Si può pertanto discutere su quanto questa manovra sia ambiziosa ma non sul fatto che metta a rischio i conti pubblici.

Quindi, perché ha suscitato tanto scalpore sui media, polemiche politiche e tensione sui mercati finanziari? Semplicemente, questo governo ha messo per la prima volta in discussione le politiche economiche richieste dalla UE e, anziché puntare al pareggio di bilancio pubblico, ha deciso di fare una manovra espansiva allo scopo di rianimare l'economia stagnante. 

Questa non dovrebbe essere una buona notizia?

Il problema è che, in un'unione monetaria, ad un aumento del livello delle importazioni rispetto alle esportazioni non corrisponde una svalutazione della moneta, e quindi manca un fondamentale meccanismo di riequilibrio dei conti verso l'estero. Quindi, se l'economia riparte, e aumentano i redditi, aumenteranno anche le importazioni portando in passivo il saldo con l'estero, che dal governo Monti in poi era stato riportato in attivo per far rientrare il paese dai debiti contratti (in particolare nel settore privato) e scongiurare così un'eventuale uscita dell'Italia dall'euro. 

Questa manovra, da sola, non basta certamente a scatenare la serie di eventi che potrebbero portare l'Italia fuori dall'euro ma è un segno politico importante. Per questo motivo, non ha mancato di suscitare le dure reazioni fra i più ferventi sostenitori della moneta unica (i commissari europei, i dirigenti del PD e i mercati finanziari che, ovviamente, preferirebbero ricevere indietro i loro soldi in euro anziché in moneta svalutata).

Per me, il punto importante di tutta questa vicenda è che la strada seguita da questo governo, più o meno timidamente, più o meno bene, non è stata intrapresa di proposito dai precedenti esecutivi. Un gruppo molto ristretto di persone ha semplicemente deciso di imporre a tutti (gli altri) dei sacrifici, per mantenere una moneta e un progetto politico, peraltro mentendo all'opinione pubblica sul reale obiettivo della loro condotta. Questo comportamento è stato pesantemente punito alle ultime elezioni, e ora credo che sia normale che la nuova maggioranza, quantomeno, provi a realizzare un programma diverso da chi li ha preceduti. Altrimenti, che democrazia sarebbe?