mercoledì 21 dicembre 2022

Elettori senza portafoglio

Lo scopo principale del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), istituito nel 2011, è quello di concedere prestiti ai governi che dovessero perdere temporaneamente accesso al mercato dei capitali. Se ci fermassimo qui, alla superficie della questione, ne dedurremmo che uno strumento che serve ad aiutare i governi in difficoltà a reperire fondi sui mercati finanziari, a costi accettabili, è una cosa utile in alcuni frangenti. Certo, magari rimarrebbe da discutere l'asprezza delle condizioni di aggiustamento macroeconomico richieste ai paesi debitori. Io però vorrei andare all'origine del problema. 

Tradizionalmente, gli organismi sovranazionali si occupano di questioni che richiedono la mediazione fra i governi di diverse nazioni. Ad esempio, dal punto di vista economico, il trattato di Bretton Woods del 1944 istituì il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per rimediare agli squilibri provocati dal commercio globale fornendo assistenza ai paesi bisognosi di valuta estera per finanziare le proprie importazioni. 

Ecco, questo è un dettaglio importante. La valuta estera è quella che serve per pagare i prodotti che si importano da mercati che non utilizzano la nostra stessa unità di conto, ed è intrinsecamente scarsa perché non si stampa da noi ma si acquisisce, a sua volta, mediante le esportazioni. Al contrario, la valuta nazionale è, teoricamente, illimitatamente disponibile.

Ovviamente, anche quest'ultima deve essere commisurata. Una sua produzione eccessiva può provocare inflazione, ma la cosa più importante è che potrebbe causare una svalutazione tale da renderla inutilizzabile a livello internazionale, impedendoci così di finanziare le nostre importazioni e facendoci andare dritti al FMI da cui eravamo partiti. 

Quest'enorme digressione serve a riflettere sulla peculiarità del MES. Esso infatti non ci da moneta straniera come il FMI. Ci presta euro. Già, ma perché il MES ci presta la nostra valuta nazionale? Il Professor Kindleberger scrisse che "la moneta è un bene pubblico e come tale si presta allo sfruttamento privato". 

Per capire meglio il nocciolo della questione potrebbe essere utile ricordare cosa spiegò Benoît Cœuré agli studenti di Cambridge nel 2016, e cioè che i titoli di stato dei paesi dell'area euro sono più rischiosi di quelli degli altri perché il trattato di Maastricht impedisce alle banche centrali di comprare sul mercato primario i titoli di stato dei paesi aderenti. Infatti la BCE lo fa solo su quello secondario, a sua discrezione. 

Di fatto quindi, il MES si occupa di una stortura tipica della moneta unica, quella di appartenere a più stati. È per questo motivo che da noi è impedito ai governi, nati dal processo democratico, secondo il metodo "una testa un voto", di accedere alle risorse disponibili in valuta nazionale e si preferisce che a decidere per noi la bontà delle nostre scelte siano gli investitori secondo il loro sistema "un euro un voto" nel quale più che il criterio di rappresentanza conta quello della ricchezza posseduta. 

Si badi bene che questa costruzione, che vede il mercato come unico giudice della spesa dei governi e che ci viene presentata alla stregua di una tecnica super partes è di stampo puramente ideologico. Il concetto alla base di questa teoria è figlio del più becero classismo ottocentesco ed è che noi (elettori) non ci possiamo governare da soli ma che ci deve disciplinare il mercato (le élite). Insomma, la UE non è uno stato, figuriamoci una democrazia. Sarà pure composta da paesi democratici, ma con elettori senza portafoglio.



mercoledì 23 novembre 2022

Cottarelli, immigrazione e pensioni


Secondo il Sen. Cottarelli abbiamo bisogno di più immigrati per aumentare il numero persone occupate. Tuttavia, lo stesso risultato si potrebbe ottenere aumentando il tasso d'occupazione, che in Italia è tra i più bassi dell'OCSE.


Inoltre se, come immagino, il problema a cui allude è la sostenibilità del sistema pensionistico, allora converrebbe porre l'accento anche su un'altra questione. Perché è vero che l'ingresso costante di nuove forze giovani potrebbe compensare il progressivo invecchiamento dei residenti, ma è altrettanto vero che qualsiasi sistema pensionistico, e soprattutto quello di un paese che invecchia, ha bisogno di crescita per essere sostenibile. 

Nel nostro paese i salari reali sono al palo da trent'anni, proprio causa delle politiche che sostiene il Senatore: euro, flessibilità del lavoro, austerità, immigrazione. E se le pensioni le pagano coloro i quali lavorano, che sono in proporzione sempre meno, è difficile fare tornare i conti.


Infine, sebbene l'incremento della popolazione, in teoria, provochi un innalzamento complessivo del PIL considerando che gli immigrati tendono ad essere impiegati in lavori che gli economisti definiscono "a basso valore aggiunto" è improbabile che questi contribuiscano positivamente all'aumento del PIL pro capite, che è quello che conta.

Come per i capitali finanziari, anche per il capitale umano esiste una via interna percorribile, che però è normalmente trascurata.

martedì 30 agosto 2022

Il fallimento della campagna vaccinale di massa contro il Covid

In Italia, durante l'emergenza pandemica, siamo stati sottoposti ad un'incessante pressione mediatica ed è stata imposta una severa sanzione sociale verso tutti coloro i quali abbiano espresso pubblicamente contrarietà, o dubbi, in merito alla campagna vaccinale anti Covid. 

E' stato tracciato un solco tra due categorie: "Pro Vax" e "No Vax". Questo ha comportato litigi in famiglia e nella cerchia di amici, sono stati radiati professionisti, è stato impedito di lavorare alle persone sprovviste di regolare attestazione sanitaria, sono state obbligate al vaccino intere categorie. 

Secondo me è giunto il momento di chiedersi se sia stato giusto sopportare tutto questo o se, almeno, ne sia valsa la pena. Quanto segue è frutto di una mia elaborazione dei dati ufficiali di vaccinazione e mortalità. L'analisi, e il giudizio conclusivo, prescindono dagli effetti collaterali provocati dalle vaccinazioni Covid che meriterebbero un approfondimento a parte. 


Una piccola premessa metodologica

La tabella qui sotto riporta i dati ipotetici di una malattia infettiva che colpisce una popolazione di centomila abitanti. Chi si vaccina contro tale flagello ha il 95% di probabilità non ammalarsi, contro il 5% di chi decide di non vaccinarsi. Tra chi si ammala, la probabilità di morire è dello 0,5%. Ovviamente, come potete vedere nella tabella qui sotto, il numero dei casi e dei decessi aumenta al diminuire della percentuale di popolazione vaccinata. 


I valori della tabella precedente sono esposti nel grafico qui sotto. Sul lato delle ascisse (orizzontale) vengono misurati i decessi, mentre su quello delle ordinate (verticale) la percentuale di vaccinati. Vi prego di osservare come la linea di tendenza (tratteggiata) delle coppie di valori rappresentate dai pallini azzurri (percentuale vaccinati/decessi Covid) abbia una pendenza negativa, perché al diminuire dei vaccinati corrisponde un aumento del numero dei morti. Sul grafico abbiamo anche il valore che misura la correlazione (R^2) tra vaccinazioni e decessi: 0,99. Questo ci dice che esiste un legame statistico quasi perfetto tra il numero dei vaccinati e quello dei morti. La perfezione si raggiungerebbe con un valore pari a 1. Significa che la diminuzione del numero di vaccinazioni, in questo caso, spiega tutti (o quasi) i morti in più che si sono verificati a causa della malattia ipotetica.


L'analisi dei dati ufficiali

Passiamo ora ad analizzare i dati reali. Per mettere due numeri in fila, come ho fatto io, non serve un dottorato ma, dato che l'errore è sempre dietro l'angolo, voglio scusarmi anticipatamente per tutte le eventuali inesattezze, o lievi imprecisioni, che potrei aver eventualmente commesso in buona fede. Ho eseguito la mia analisi tramite il database OWID che potete consultare, e scaricare, anche voi qui.

Il grafico qui sotto mostra la correlazione della percentuale di vaccinati Covid con i decessi (Covid) per i 210 paesi del database OWID, nell'anno 2021. 

Se confrontate questo grafico con quello dell'esempio precedente (quello della malattia ipotetica) noterete subito che sono molto differenti. Mentre il primo mostra chiaramente una serie di valori in linea, quello qui sopra presenta una nuvola di pallini azzurri sparsi sull'intero asse cartesiano. L'indice (0,0759) suggerirebbe addirittura una minima correlazione positiva tra numero di vaccini e decessi Covid, ma è statisticamente insignificante. 

Da questa rappresentazione dei dati, difficilmente si potrebbe dedurne che la vaccinazione abbia avuto un impatto statisticamente significativo sulla diminuzione dei morti per Covid. Tuttavia va considerato che, in questo tipo di analisi, prendere un campione con un numero elevato di rilevazioni può comportare il rischio di pescare valori non confrontabili fra loro. 

Per questo motivo ho deciso di considerare un sottoinsieme, composto da un gruppo di paesi i cui valori sono più conformi, considerando solo le coppie (vaccinazioni/decessi) che non si discostano dall'intervallo compreso dalla deviazione standard più, o meno, la mediana dei valori di cui al campione precedente.

Sebbene si intraveda una piccola correlazione negativa, anche questa volta, l'indice è del tutto insignificante (0,0506). La vaccinazione aiuterebbe a spiegare non più del 5% delle minori morti da Covid. Un'efficacia del 5% invece che del 95%.

Con i dati a disposizione si possono, ovviamente, fare diversi tentativi per trovare una correlazione. Particolarmente significativo, a mio giudizio, è il gruppo di paesi con i migliori servizi sanitari a livello mondiale, perché risponde a quanti ritengono che la qualità dei dati statistici non sia omogenea fra i diversi paesi. Quelli considerati nel grafico qui sotto sono i migliori 29 della media tra le graduatorie 2020 delle classifiche sanitarie: Legatum Prosperity Index, CEO World Ranking e Bloomberg Health Care Efficiency. Come potete vedere, la correlazione tra vaccinazioni e morti Covid è statisticamente nulla (0,0015).

La profilazione dei dati più interessante, tuttavia, è quella della tabella qui sotto, che calcola la correlazione tra vari gruppi di paesi con una simile fascia d'età media della popolazione. Potete osservare come ai campioni più giovani sia associata una leggera correlazione positiva, cioè a più vaccinazioni sono correlate più morti Covid, mentre in quelli più vecchi succede l'inverso, raggiungendo un valore di -0,461 nella fascia d'età media 41-45 anni. L'impressione che se ne ricava è che a beneficiare un po' di più del vaccino siano state le popolazioni più anziane, mentre in quelle più giovani l'effetto sulle morti Covid sia stato nullo o addirittura negativo. Ovviamente, posto che il campione selezionato è sempre la totalità della popolazione di ogni paese, quest'analisi non ci suggerisce a partire da che età sarebbe conveniente vaccinarsi. 

Restiamo un momento in più sulla tabella qui sopra. Se l'avete osservata bene, troverete un'eccezione alla crescita dell'efficacia dei vaccini, in relazione alla mortalità Covid, per fasce d'età. L'ultimo campione esaminato, composto da soli 5 paesi con un'età media superiore ai 45 anni, tra cui il nostro, mostra un'inquietante correlazione positiva tra morti e vaccinazioni. Questo risultato, 0,9857, è molto robusto statisticamente, tuttavia non basta per affermare che siano state le vaccinazioni a provocare i morti, o viceversa, perché "Correlation is not causation", cioè la correlazione non implica un nesso di causalità. Potrebbe anche trattarsi di un caso. Speriamo.

Considerando che le metodologie con cui vengono contati i decessi Covid possono variare notevolmente nelle statistiche dei vari paesi, ho voluto verificare i risultati della correlazione tra vaccinazioni e morti Covid sostituendo a quest'ultima l'eccesso di mortalità 2021 rispetto a quello della media dei cinque anni precedenti. L'idea è che il numero totale dei morti annuale di una popolazione (per tutte le cause) sia un dato più oggettivo rispetto ai soli morti Covid, che dipendono dai criteri con cui viene attribuita la causa della morte: morte "Di", o "Con" Covid. 

La fonte è la seguente (https://github.com/akarlinsky/world_mortality). Colgo l'occasione per ringraziare @LukeDuke1268 per la segnalazione. 

Essendo i dati di mortalità 2021 ancora incompleti, o assenti per un certo numero di paesi, non ho potuto completare la verifica con tutti i campioni precedenti. Comunque, come potete vedere qui sotto, anche quest'analisi, fatta sui paesi della fascia d'età 41-45, conferma il risultato della tabella qui sopra, e cioè che esiste una correlazione statistica un po' più significativa, tra maggiori vaccinazioni e minori morti, in una popolazione con un'età media piuttosto avanzata. L'indice "R quadro" è di 0,41 contro il precedente di 0,46. 


Conclusioni

Semplicemente confrontando le aspettative con i risultati è evidente che la campagna di vaccinazione sia stata un fallimento. Il virus è ancora in giro e la gente, anche se vaccinata, continua a prenderselo.

https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/

Può darsi che il vaccino attutisca i sintomi della malattia nella fascia di età più a rischio, ma occorre ricordare che le premesse con cui questi prodotti sono stati proposti (o imposti?) al pubblico erano molto diverse. 

"Il Green Pass è una misura con cui gli italiani possono continuare a esercitare le proprie attività, a divertirsi, andare al ristorante, a partecipare a spettacoli all'aperto, al chiuso, con la garanzia però di trovarsi tra persone che non sono contagiose" (Draghi 22 luglio 2021).

E, oltre a quello della politica, avevamo anche il conforto della scienza (o della sua parte un po' più in vista?).

I critici sosterranno che, non essendo io uno scienziato, non ho il diritto di esprimermi su una materia così complessa. Infatti, il mio lavoro non ha pretese scientifiche. Ho solo svolto un'analisi, non particolarmente elaborata, di dati. Ciò che mi conforta, delle evidenze riscontrate, è che non emerge niente di particolare che già non sapessimo fin dall'inizio della pandemia.

È noto fin dal principio che questo virus viene considerato dagli scienziati a "bassa mortalità" e che quindi sia letale soprattutto per le persone più fragili, che solitamente sono quelle in età avanzata, e che ovviamente hanno risposto in maggior numero, e senza bisogno di particolari sollecitazioni, alla campagna vaccinale. Il fatto che emergano risultati statisticamente insignificanti sulle popolazioni con un'età media bassa non dovrebbe essere considerato particolarmente strano. Piuttosto, a me sembra insolito che siano state dedicate tante energie, e mezzi, a vaccinare gli individui giovani e sani, e addirittura i bambini.

L'argomento per cui una vaccinazione di massa avrebbe favorito un minor numero di ospedalizzati, alleggerendo il servizio sanitario nazionale dal peso dell'epidemia contrasta con il fatto statistico che, se i vaccini Covid non sono associati a una minor mortalità (soprattutto nelle classi d'età più giovani) per quale motivo dovrebbero esserlo al numero di ospedalizzazioni? A rigor di logica, a un maggior numero di morti avrebbe dovuto corrispondere una quantità maggiore di persone ricoverate dato che, prima di perdere la vita, sarebbero passate dalle corsie dei nostri pronto soccorso. Se nel 2021 la situazione è stata migliore del 2020 lo si deve probabilmente alla circolazione di varianti meno letali del virus.

Secondo me, l'isteria di massa che ha caratterizzato questo periodo ha provocato un profondo conflitto sociale, non ha giovato particolarmente alla credibilità delle istituzioni e, difficilmente, ha contribuito a salvare vite umane.

Quindi mi domando, perché tutto questo?

"Noi, per tutelare gli italiani vi renderemo la vita difficile, come stiamo facendo, perché il non vaccinato, e chi non rispetta le regole, è pericoloso! Punto" (Sileri in TV a DiMartedì, La7 25/01/2022).

sabato 14 maggio 2022

La libertà di parola è reale o formale?

Nel testo sopra riportato l'autore rivendica la scelta di non discutere con chi, a suo inappellabile giudizio, esprime opinioni controfattuali o scempiaggini varie. Ovviamente nessuno, credo, trarrebbe alcun beneficio dal parlare con uno sprovveduto. Ma nulla impedirebbe al giornalista d'invitare, al posto dello stregone di turno, qualcuno degli innumerevoli scienziati, o intellettuali, che in questi anni hanno maturato opinioni differenti da quelle comunemente accettate. 

Purtroppo in Italia ma forse anche altrove, in questo mondo "libero", "inclusivo" e "tollerante", serpeggia l'idea che spesso, nei principali argomenti d'attualità, esista una sola ineccepibile verità. Ovviamente, questa coincide con le notizie diffuse dal governo, o dagli alleati, e riportate dai principali organi di stampa, radio, tv, internet. Le opinioni contrarie sono semplicemente bollate come bufale, falsità, "fake news". 

La saggezza popolare imporrebbe di dubitare di chi sostiene che la virtù stia da una sola parte, ma ormai il clima è così infuocato che molti potrebbero persino iniziare a domandarsi se, conoscendo già le verità che provengono dalle fonti ufficiali, tutto sommato, si possa fare anche a meno di consentire il diffondersi di una pluralità di menzogne. 

In ogni caso, anche senza censura, oggigiorno, qual è la prospettiva per chi la pensa diversamente? Quella di essere ascoltati, compresi, oppure quella di essere a malapena tollerati, sopportati a fatica da una società conformista e così poco incline al pensiero critico?

Da noi, la libertà d'opinione è davvero reale, o comunemente accettata solo a livello formale? Questa non è una sottigliezza, se si pensa che è tramite lo scambio d'opinioni che gli individui si rapportano gli uni con gli altri e crescono culturalmente, o che è proprio il dibattito a portare avanti la scienza, orgoglio di questa nostra civiltà avanzata. E se il desiderio di un maggior controllo dell'informazione, volto al nobile scopo (un po' paternalista) di preservarci dalle false notizie, rallentasse il progresso? 

In fondo, vittima del pregiudizio non è solo chi viene, in qualche modo, silenziato ma è anche colui il quale non vuole, o gli è impedito, d'ascoltare.

mercoledì 9 febbraio 2022

Il debito pubblico acquistato dalla BCE è un finanziamento a tasso zero

Da diversi anni Banca d'Italia acquista, secondo i programmi stabiliti dalla BCE a favore dei paesi dell'area euro, un certo ammontare di titoli del debito pubblico italiano. Gli interessi che paghiamo per questo debito sono inferiori alle somme che Banca d'Italia versa, a sua volta, allo Stato sotto forma di dividendi e imposte.

Sul bilancio 2020 di Banca d'Italia leggiamo che il reddito derivante dai titoli di Stato, detenuti nell'ambito dei programmi d'acquisto stabiliti dalla BCE, è distribuito per intero alle banche centrali nazionali, le quali posseggono anche i titoli sui quali maturano tali interessi, a meno che il Consiglio di quest'ultima decida diversamente. Cosa peraltro mai avvenuta negli ultimi anni.  

Estratto del Bilancio Banca d'Italia 2020, pagina 39

Sempre nel bilancio di Banca d'Italia troviamo, per ogni anno, i dati relativi agli interessi attivi maturati sui suddetti titoli di Stato. Oltre a quelli acquisiti nell'ambito dei programmi della BCE, nella mia analisi, ho considerato anche i proventi legati ai titoli di debito pubblico detenuti ex lege 289/2002. 

Interessi attivi annuali divisi per programma d'acquisto. Valori in milioni di euro (Fonte: elaborazione dati bilanci Banca d'Italia dal 2010 al 2020)

Secondo l'articolo 38 dello statuto, Banca d'Italia distribuisce una cospicua parte dei suoi utili d'esercizio allo Stato. Al computo di quanto è percepito da quest'ultimo, oltre agli utili, vanno aggiunte le imposte pagate annualmente da Palazzo Koch.

Estratto dello statuto di Banca d'Italia del 15 febbraio 2016

Verificato dai bilanci di Banca d'Italia l'ammontare annuale degli interessi attivi percepiti dall'acquisto dei titoli del debito pubblico, per gli anni che vanno dal 2010 al 2020, e sottratto quanto versato da quest'ultima allo Stato osserviamo che la differenza è sempre stata a favore delle casse pubbliche.

Valori in milioni di euro
Calcolo su base annuale della differenza tra i ricavi per interessi attivi sui titoli acquistati da Banca d'Italia e i costi per dividendi e imposte pagati allo Stato. Valori in milioni di euro (Fonte: elaborazione dati bilanci Banca d'Italia dal 2010 al 2020)

Lo si vede dalle righe con i numeri in verde nella tabella sopra esposta. Essi rappresentano, in milioni di euro, la differenza tra:
  • la lettera "E": l'incasso totale dello Stato, a sua volta determinato dalla somma delle lettere "C" (dividendi) e "D" (imposte)
  • e la lettera "A": l'ammontare degli interessi, pagati da noi, e maturati annualmente sui titoli del debito pubblico acquistati da Banca d'Italia.  
Si consideri che gli interessi attivi sono una componente positiva del reddito della banca centrale. Quindi, ad un loro aumento (ceteris paribus) corrisponde un incremento dell'utile d'esercizio e pure dei dividendi, e delle imposte, a favore dello Stato. 

Pertanto, anche nell'area euro, fino ad oggi, l'acquisto di titoli del debito pubblico da parte della banca centrale è stata una forma di finanziamento priva di oneri per lo Stato.