lunedì 20 ottobre 2014

A cosa serve il Jobs Act

La teoria classica sull'occupazione si trova su qualsiasi manuale universitario di macroeconomia. Io sono andato a rileggerla sul mio, il Mankiw (edizione del 1996). Un'edizione po' vecchiotta ma si tratta comunque di uno dei testi accademici più utilizzati a livello mondiale. E poi, il bello dei classici è che non cambiano mai. No?

Cosa dice?

Essenzialmente che, la rigidità dei salari, ovvero le lotte sindacali che si oppongono alla loro diminuzione, sono una delle maggiori cause della disoccupazione. Questo perché fanno in modo che il costo del lavoro rimanga a un livello più alto di quello di equilibrio tra domanda e offerta. Il risultato è che gli imprenditori non assumono perché costerebbe troppo. Quindi, se vogliamo diminuire la disoccupazione servirà abbassare gli stipendi.

Andiamo a vedere se è vero.

Da quasi una ventina d'anni a questa parte i nostri governi hanno seguito la raccomandazione della teoria classica, e mediante l'utilizzo della precarizzazione del mondo del lavoro, sono riusciti ad abbassarne il costo. Osservate il grafico successivo.


Nel periodo preso in esame, che va dall'anno base 1996 (che coloro i quali seguono questo blog sanno, corrisponde all'anno in cui siamo, di fatto, entrati nell'euro) fino all'inizio della crisi, gli stipendi reali sono diminuiti costantemente (se si eccettua il periodo compreso tra il 2003 e il 2004). In ogni caso, nel 2007 erano ancora più bassi del 1996. Questo è stato l'effetto complessivo delle riforme del lavoro Treu e Biagi che, favorendo il precariato, hanno permesso agli imprenditori di contrattare nuovi lavoratori senza il vincolo del contratto collettivo nazionale, oppure di bloccare le pretese di quelli assunti a tempo determinato tramite lo spettro del mancato rinnovo. Notate che i dati, tutto sommato, danno ragione ai classici, e a stipendi più bassi è corrisposta una maggiore occupazione.

Approfondiamo la questione, e vediamo cos'è successo al PIL.


Da quando sono entrate in vigore le riforme del lavoro volute dai nostri governi a causa dell'entrata nell'euro, l'Italia è cresciuta meno che in passato. Nel grafico potete osservare i dati comparati tra l'Italia e la media dei paesi OCSE:
- 1984 - 1995: gli undici anni che hanno preceduto l'euro (e quindi la svalutazione del fattore lavoro)
- 1996 - 2007: il periodo che precede la crisi
- 2008 - 2013: gli ultimi cinque anni
La diminuzione della crescita è evidente. Eppure, fino al periodo precedente 2008 il PIL ha continuato a crescere, anche se più lentamente che in passato.

Com'è possibile che la produzione (e quindi le vendite) siano aumentate, nonostante noi potessimo spendere addirittura meno di undici anni prima?

Per capirlo, dobbiamo ricorrere all'identità di contabilità nazionale:

Y = C + G + I + X - M

Dove:

Y = produzione (PIL)
C = consumi privati (quelli riferiti ad imprese private e famiglie)
G = consumi pubblici (dello Stato)
I  = investimenti
X = esportazioni
M = importazioni

Il PIL può essere cresciuto solo in conseguenza della variazione di una (o più) grandezze sopra riportate.

Potrebbe essere stato trainato dalle esportazioni. Pertanto, nonostante noi consumassimo di meno, le aziende italiane avrebbero potuto incamerare maggiori profitti vendendo all'estero. E' andata così? No.


La bilancia delle partite correnti (X-M) è negativa dal 2000, ed è comunque in discesa per tutto il periodo oggetto di verifica, fino al 2011 (anno in cui è iniziata l'austerità). Quindi, il PIL italiano non può essere aumentato a causa delle esportazioni.

I consumi pubblici (la spesa dello Stato) "G" potrebbero aver avuto un effetto positivo sulla crescita PIL?


Dal grafico qui sopra, osserviamo come la spesa pubblica in percentuale del PIL sia diminuita fino al 2000 e poi sia rimasta allo stesso livello fino al 2007. 

Rimangono da esaminare, i consumi privati "C" e gli investimenti "I". E, andando per esclusione, devono essere stati questi a far incrementare il PIL. Tuttavia, com'è possibile che diminuendo gli stipendi siano aumentati i consumi e gli investimenti? E' stato possibile tramite l'aumento del credito concesso dalle banche. Infatti, se produco sempre di più (o acquisto più prodotti dall'estero per rivenderli sul mercato nazionale) ma pago meno i miei lavoratori, come posso pensare di far aumentare le vendite, se non permettendo a tutti d'indebitarsi sempre di più?


Osservate il grafico qui sopra, mostra la crescita del debito di famiglie e imprese (in percentuale del PIL) dal 1996 al 2013. Come potete vedere, fino a quello che gli economisti chiamano in inglese sudden stop, che corrisponde al momento in cui ci hanno chiuso i rubinetti, le banche hanno concesso un credito sempre maggiore alla nostra economia. Questa è la ragione della crescita del PIL italiano durante gli anni dell'euro che hanno preceduto la crisi del 2007.

E, da dove sono arrivati i capitali che hanno permesso al PIL di crescere nel decennio che ha preceduto la crisi, senza dei quali, siamo precipitati nella più lunga recessione della storia del nostro paese? Sicuramente non dalle banche italiane. Altrimenti non si spiegherebbe come mai li avrebbero tirati fuori tutti all'improvviso, solo dopo l'entrata nell'euro, per concedere mutui al 100%, finanziamenti a tasso zero per: automobili, frigoriferi, telefonini, etc. etc.

Il dilemma è risolto dalla Banca Centrale Europea in questo discorso del suo vice presidente Vitor Constâncio del 2013 che io vi raccomando di leggere con attenzione.La BCE dice chiaramente l'euro che ha favorito lo spostamento di capitali dai paesi virtuosi (come la Germania) a quelli maggiormente colpiti dalla crisi (come il nostro). Senza di esso, un afflusso di valuta straniera avrebbe coinciso con una svalutazione della moneta nazionale che avrebbe reso meno conveniente l'investimento, e scoraggiato l'arrivo di ulteriori capitali. Molto banalmente, se io devo investire in un paese estero dovrò fare una valutazione dei futuri guadagni (e quindi degli interessi) ma anche del rischio di cambio. Perché, se la moneta con cui mi pagano si svaluta avrò un beneficio inferiore alle attese. Questo è proprio il motivo per cui chi ci ha prestato i soldi ora non vuole che l'Italia esca dall'euro. Ma, se il paese in questione adotta la mia stessa valuta, questo rischio è nullo, e la bolla speculativa del credito è libera di gonfiarsi.

Ora, questo problema patrimoniale, il debito, è causato da uno economico, i mancati guadagni delle aziende che vendono beni e servizi italiani.

Come già scritto in questo precedente post, il problema economico è dovuto alla perdita di competitività causata dall'adozione dell'euro. Inoltre, se andate a rileggere questo post, vedrete perché i prodotti tedeschi vengono preferiti dai consumatori, a scapito di quelli interni.

E come si inserisce in questo discorso il jobs act?

Ancora una volta, come quando entrammo nell'euro (e non è detto che non succeda ancora in futuro), si manifesta la necessità di svalutare il fattore lavoro per guadagnare competitività (nonostante il costo orario del lavoro in Italia sia perfettamente in linea con la media UE). Questo obiettivo sarà perseguito con qualunque mezzo a disposizione:
- riducendo le tutele di chi entra, o rientra, nel mercato del lavoro in modo da poterlo mandare a casa più facilmente (e abbiamo visto sopra come la precarizzazione incida sugli stipendi);
- levando diritti a chi li ha per poter licenziare, e quindi risparmiare (vedi questione dell'art.18);
- tagliando gli oneri sociali (con eventuale ricaduta sulle future pensioni);
- etc. etc.
Solo che, al contrario degli anni novanta, questa volta non saranno i consumi, finanziati tramite capitali esteri, a portare la crescita del PIL, ma le esportazioni. Infatti, nessuno verrà a investire in un paese la cui domanda di consumi è in diminuzione, a parte quelli che saranno attratti dal basso costo della manodopera.

Il futuro del governo di Matteo Renzi, quindi, dipende dal successo di questa riforma. Perché, le politiche che esso impone ai cittadini provengono, a loro volta, da un vincolo imposto dall'esterno, pagato dai lavoratori e dagli imprenditori italiani. L'euro.




EDIT 3/11/2014
Ho fatto un errore commentando il primo grafico, quello sulla disoccupazione e sull'andamento dei salari reali. In effetti, come si evince dai dati che riguardano gli importi, e non le variazioni annuali (vedi il problema della produttività in Italia) i salari reali del 2007 risultavano sostanzialmente stabili rispetto al 1996. Tutto il resto del discorso resta comunque invariato, perché la crescita media del PIL nel periodo indicato (vedi secondo grafico di questo post) è stata molto più elevata di quella degli stipendi. Pertanto, come illustrato, la crescita dell'indebitamento privato ha consentito di aumentare le vendite. Chiedo scusa per la svista.







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