lunedì 29 giugno 2015

L'unione bancaria senza entrare nei dettagli tecnici

Chi tra voi ha letto interamente il solito discorso del vice presidente della BCE che vi cito spesso (qui) ricorderà che, oltre a mostrare come la principale ragione della crisi finanziaria dell'eurozona sia, di fatto, la moneta unica (l'euro) suggeriva anche un rimedio: più integrazione. Che poi è la solita logica di quelli butterebbero benzina per spegnere un incendio in un bosco e che, davanti a chi gli facesse notare che in questo modo l'incendio non si spegnerà, casomai divamperà ancora di più, rispondono che ci vuole semplicemente ancora più benzina. Alla fine, le fiamme smetteranno di ardere solo quando avranno distrutto tutto.

Comunque, per chi non si ricorda vi riassumo, in breve, il problema che sta alla base delle unioni monetarie, e quindi anche dell'eurozona. Succede che, eliminando il rischio di cambio, ovvero le oscillazioni fra i cambi delle monete nazionali, gli investitori (le grandi banche europee) fanno fluire i loro capitali in quei paesi dell'area che sono più economicamente arretrati, e che pertanto offrono i migliori tassi d'interesse. La logica che sta alla base di questo processo è piuttosto elementare: chi ha più bisogno di soldi è disposto a pagarli più cari, e chi vuole investire i soldi li da a chi li fa rendere di più.

Così facendo però si alimenta una bolla finanziaria, e gli investitori si espongono al rischio di credito, ovvero di non rivedere indietro i propri soldi. Il motivo per cui il processo non si ferma, e la bolla continua a crescere, è che finché la barca va, nessuno ha di che lamentarsi. Né chi riceve i soldi in prestito a un tasso d'interesse più basso rispetto a quando il rischio di cambio ne diminuiva la credibilità, né gli investitori che approfittano della situazione per guadagnare il più possibile.

Quindi, nel breve periodo, il botto futuro è una specie di spada di Damocle a cui tutti pensano di sottrarsi appena in tempo. Infatti, nel lungo periodo, quando le cose si mettono male, interviene lo stato che nei paesi investitori salva le banche e in quelli debitori impone l'austerità. E trasforma i debiti e crediti privati in debiti e crediti pubblici. In economia questo comportamento si chiama azzardo morale (moral hazard).

L'unione bancaria è, in poche parole, un accordo tra i paesi dell'eurozona che mira a disincentivare l'azzardo morale delle banche private. Come? Se, fino a oggi la vigilanza del settore bancario, e gli eventuali salvataggi, spettavano alle banche centrali dei singoli paesi che, nonostante l'indipendenza, sono comunque sotto l'influenza politica dei governi nazionali, in futuro questi compiti spetteranno a un'istituzione europea. Si tratta, sostanzialmente, dell'ennesima cessione di sovranità nazionale.

Il più contestato dei sistemi che questa organizzazione europea potrà utilizzare per risanare i bilanci delle banche è il cosiddetto bail-in che rappresenta la facoltà di prelevare i soldi necessari direttamente dai conti correnti dei clienti (solo di quelli non garantiti). Un simile precedente in Europa è avvenuto durante la crisi finanziaria del 2013 a Cipro. Successe che i correntisti vennero alleggeriti di parte dei loro risparmi per pagare i debiti delle proprie banche. E vi ricordate anche cosa disse a proposito del metodo decisionale della UE l'attuale presidente della Commissione Europea Junker?

"We decide on something, leave it lying around and wait and see what happens. If no one kicks up a fuss, because most people don't understand what has been decided, we continue step by step until there is no turning back."

Traduco: noi prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non protesta nessuno, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto in cui non si può più tornare indietro

Infatti il bail-in è stato approvato il mese scorso dal Senato (qui) e sta diventando legge anche in Italia, recependo l'apposita direttiva europea (qui). Lo so che tanto molti di voi diranno che non ve ne importa niente, tanto i conti correnti sono comunque garantiti fino a centomila euro.
Tuttavia, il problema di queste decisioni, come di tante altre, è sempre lo stesso. E' quello di spostare a livello sovranazionale, cioè a istituzioni che non devono rendere conto direttamente agli elettori, sempre più decisioni che ci riguardano, più o meno da vicino, e comunque tutte quelle di carattere economico. Alla fine tutto si sistemerà solo quando anche delle nostre democrazie, come del bosco incendiato, non rimarrà più niente.



PS: per capire meglio quali sono le nostre prospettive democratiche, e quelle di tutti i popoli europei, di fronte a questo tipo di istituzioni vi invito a leggere le seguenti dichiarazioni tratte da questo recentissimo articolo della BBC:

  • Wolfgang Schauble (ministro delle finanze tedesco) riferendosi al mandato elettorale del primo ministro greco Alexis Tsipras: <<Election change nothing. There are rules>>


  • Jean Claude Juncker (Presidente della Commissione Europea) che aggiunge un'altra perla a quelle già riportate in precedenza (qui): <<There can be no democratic choice against the European treaties. One cannot exit the euro withouth leaving the EU">>













lunedì 22 giugno 2015

Farebbero bene, i greci, a non pagare i debiti?

Oggi si terrà il vertice europeo che permetterà, forse, di raggiungere un accordo con il governo greco. Intanto, è di questi giorni la notizia che il comitato di verità sul debito pubblico di Atene sostiene che esso sia: illegale, illegittimo e odioso.

Diversi paesi, nel corso della storia, hanno tentato questa strada per ripudiare il debito pubblico (qui). Al di là dei motivi di diritto internazionale che spingono un governo a questa decisione, che io non ho i mezzi per giudicare, le conseguenze di un atto del genere sono quelle della bancarotta. Oggi si parla, più elegantemente, di ristrutturazione del debito oppure di haircut.

Sia chiaro che ai creditori, e ai futuri investitori, importa poco del perché loro non rivedranno i soldi indietro. Quindi, per quanto sul piano storico e culturale sia importante affermare la verità sul debito pubblico greco, sul piano finanziario fa poca differenza.

E qual è la verità? Innanzitutto che il debito pubblico greco non è causa della crisi greca ma, casomai, ne è solo la diretta conseguenza. E che se si vuole capire la causa, è inutile, anzi fuorviante, concentrarsi sul settore pubblico e sulle sue spese.

Se osservate il grafico qui sotto, potete notare come il debito pubblico greco (linea blu) sia rimasto, alto ma stabile dal 1995 al 2008 (anno di inizio della crisi). Nello stesso periodo quello privato (linea rossa) è praticamente esploso. Nel periodo successivo al 2008, il debito pubblico ricomincia a correre mentre quello privato, ad eccezione di un'impennata tra il 2009 e il 2010, si stabilizza.

Come potete osservare in questo grafico, il debito privato (i dati li trovate qui) è la vera ragione scatenante della crisi economica greca. Infatti, il debito pubblico  (i dati li trovate qui e qui) rimane stabile per tutto il periodo precedente il 2008.
Cos'è successo? L'euro ha permesso ai greci (imprese e famiglie) di indebitarsi sempre di più. Perché gli investitori, prevalentemente banche francesi e tedesche, non correndo più il rischio di cambio hanno approfittato dei, relativamente alti, tassi d'interesse concessi dall'economia greca. Come spiega bene il vice Presidente della Banca Centrale Europea in questo discorso, tenuto proprio ad Atene nel 2013, la responsabilità di quanto accaduto non va imputata ai debitori greci ma ai loro creditori del nord Europa.

<<Da dove sono arrivati i finanziamenti che hanno fatto esplodere il debito privato? Un particolare aspetto del processo di integrazione finanziaria in Europa dopo l'introduzione dell'euro è stato un maggior incremento nelle attività bancarie intraeuropee. Le esposizioni finanziarie delle banche dei paesi creditori nei confronti di quelle dei paesi debitori sono più che quintuplicate tra l'introduzione dell'euro e l'inizio della crisi finanziaria>> Vitor Constâncio (Vice Presidente della BCE).

Il risultato, è un progressivo aumento del debito estero Greco che, come vedete nel grafico qui sotto è stato "curato" (si fa per dire) con un forte aggiustamento della bilancia delle partite correnti eseguito tramite le solite politiche di austerità che hanno messo in ginocchio l'economia greca.

Questo grafico mostra il deterioramento del saldo delle partite correnti avvenuto in Grecia negli anni duemila, che peraltro erano allarmanti ben prima che avesse inizio la crisi, e la correzione avvenuta successivamente al 2008 tramite l'austerità. I dati sono disponibili qui.
In realtà, più che un cura si è trattato di uno spostamento del problema. Infatti, come potete osservare dal grafico del Sole24Ore (qui) la Troika ha permesso alle banche francesi e tedesche di rientrare dei loro investimenti in Grecia tramite il fondo salva stati europeo (MES). In pratica ora i greci sono sempre più indebitati, ma meno con le banche private, e di più con il MES pagato dai soldi dei contribuenti europei. Tra l'altro, come potete osservare proprio dal grafico del Sole24Ore, chi ci ha rimesso di più siamo noi italiani che in Grecia avevamo investito molti meno soldi di Francia e Germania. Insomma, ci hanno usato come un bancomat per salvare i loro pessimi investimenti. E questo vale sia per noi, che per i contribuenti tedeschi e francesi.

Perché capire tutto questo meccanismo è importante? Per il semplice fatto che, il debito greco (e non solo quello pubblico) è sì odioso, illegale e illegittimo non saprei, ma se non si interrompe il meccanismo che lo ha provocato, l'euro, rifiutarsi di ripagarlo è solo un altro modo per spostare il problema di qualche anno.

Concludo con una piccola perla. In questi giorni mi è capitato anche di sentire il Professor Romano Prodi affermare (qui) che, quando lui era a capo della Commissione Europea, si era accorto che i conti della Grecia non erano proprio a posto ma che fu messo a tacere. La verità di Romano Prodi, comunque a scoppio ritardato, che consiste nel dare la colpa al governo che truccava i conti è l'ennesima foglia di fico, messa lì per provare a nascondere un problema che, nonostante gli imbrogli, era troppo grande per non essere visto. Era infatti ben noto a tutti, Prodi compreso, che il saldo delle partite correnti greche fosse fuori controllo già dai primi anni 2000. Lo potete vedere dal grafico qui sopra. Che i conti fossero truccati o meno, non fa alcuna differenza. Gli artefici dell'euro hanno rimandato il problema finché hanno potuto, e a tale scopo hanno anche permesso al governo greco di truccare i conti, perché erano proprio loro, in definitiva, i responsabili di quanto stava accadendo!










lunedì 15 giugno 2015

Bilderberg 2015

Dall'undici al quattordici giugno si è svolta a Telfs-Buchen, vicino Innsbruck, in Austria, la consueta riunione annuale del Bilderberg. Benché sia un evento a cui partecipano un centinaio tra le persone più importanti del mondo,  e nonostante siano disponibili sul sito internet ufficiale (qui) alcune minime informazioni, non ne sentirete parlare alla televisione, o sui giornali. Strano che in un mondo in cui gli ascolti, o le copie vendute, sono in cima agli interessi dei direttori dei giornali e dei telegiornali, tali notizie non suscitino alcun interesse professionale.

L'informazione sul Bilderberg è confinata in qualche trasmissione complottista di secondo piano, tra i rettiliani e i templari, in modo che l'argomento perda immediatamente la credibilità che gli servirebbe per farlo uscire dalla sua nicchia e raggiungere una platea più ampia di persone. E' la regola della nostra informazione di massa: puoi dire quello che vuoi finché non ti ascolta nessuno.

Secondo quanto si apprende direttamente dal sito web ufficiale, il Bilderberg è stato fondato nel 1954 con l'obiettivo di favorire il dialogo tra Europa e Stati Uniti. 120-150 leader politici, industriali, finanzieri, accademici ed esponenti dei media sono invitati ogni anno alla conferenza, in cui si parla di importanti questioni a livello mondiale. In quest'ultima edizione: intelligenza artificiale, cybersecurity, trattati sulle armi chimiche, questioni economiche d'attualità, strategia europea, globalizzazione, Grecia (non per prenotare le imminenti vacanze estive), Iran, Medio Oriente, N.A.T.O., Russia, terrorismo, Regno Unito, USA (in vista dell'elezioni presidenziali americane dell'anno prossimo).

Sempre dal sito ufficiale apprendiamo che gli invitati sono liberi di utilizzare, per se stessi, le informazioni ricevute durante la conferenza ma che non possono rivelarle a nessuno. Questo mi ricorda un po' quei film in cui si dice la famosa frase: <<Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti>>.

Inoltre, secondo gli organizzatori, grazie alla natura privata della riunione, i partecipanti possono parlare più liberamente senza essere vincolati, nelle loro opinioni, dalla posizione che ricoprono. Quindi, ufficialmente il Bilderberg è un'esclusiva sala da tè. E' solo un luogo in cui dei privati cittadini si confrontano liberamente su delle importanti questioni a livello mondiale. Ma voi credete davvero che a una simile conferenza si venga invitati come privati cittadini, e non per il ruolo che si ricopre e l'influenza in grado di esercitare in alcuni ambienti? Infatti, casualmente, i partecipanti sono tutti membri di importanti organizzazioni mondiali sia private che pubbliche. Potete consultare la lista ufficiale degli invitati qui.

Esistono altre organizzazioni come il Bilderberg, e forse, anche più esclusive. C'è, ad esempio, la Trilateral Commission, in cui il nostro Mario Monti ha ricoperto il ruolo di presidente del comitato europeo fino alla sua nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica nel novembre 2011. Oppure, il Council of Foreign Relations in cui qualche mese fa ha dato spettacolo un imbarazzante Matteo Renzi che, in un inglese un po' stentato, ha annunciato il Jobs Act come principale obiettivo del suo governo (qui).

Tornando al Bilderberg, gli invitati italiani di quest'anno sono i seguenti: Franco Bernabè (ex amministratore delegato di Telecom, ora presidente della società d'investimenti FB Group), John Elkann (tra le altre cariche, Presidente della Fiat Chrysler automobili), Mario Monti (che non ha bisogno di presentazioni), Gianfelice Rocca (Presidente Gruppo Techint, tra i leader mondiali dei settori: siderurgia, energia e infrastrutture) e anche la popolare giornalista televisiva Lilli Gruber che, l'anno scorso, era stata sostituita dalla direttrice di Rainews e Televideo Monica Maggioni.

Qua sotto, la lista dei partecipanti italiani a partire dal 2008:

La tabella mostra gli invitati italiani al Bilderberg a partire dal 2008. La fonte è la pagina web del Bilderberg (qui), e per il 2008 (qui). Il 2009 invece l'ho trovato su un altro sito (qui).

Potete osservare come, tra i politici della lista, facciano parte tre degli ultimi cinque presidenti del consiglio italiani (Prodi, Monti e Letta), tre ex ministri economici (Padoa Schioppa, Siniscalco e Tremonti) e l'attuale presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Tra l'altro, sono tutte persone di cui conosciamo bene il pensiero politico ed economico, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Infatti, il problema non è tanto quello di essere privati delle dichiarazioni, riservate, di simili personaggi ma di essere tenuti all'oscuro della strategia in atto per perseguire i loro obiettivi apertamente dichiarati: più mercato, più privatizzazioni, più Europa, etc. etc.. Anche perché simili strategie, se condivise fra pochi eletti, evidentemente, si implementano a prescindere dall'opinione pubblica.

Di seguito, vi propongo la lista dei venti più assidui partecipanti delle ultime riunioni (a partire dal 2008):

La tabella mostra i nomi di coloro i quali sono stati sempre invitati al Bilderberg a partire dal 2008. Le fonti sono le medesime della precedente tabella.
Lo so che questi nomi non dicono niente alla maggior parte di noi ma in fondo cosa cambia? Sono solo dei privati cittadini.





lunedì 8 giugno 2015

Il reddito di cittadinanza

La teoria macroeconomica classica sostiene che ad una determinata offerta di lavoro corrisponda un salario d'equilibrio che, in pratica, è quello conveniente per un'impresa in un mercato di libera concorrenza. Un aumento del costo del lavoro da luogo ad una diminuzione dell'offerta di nuovo impiego che, a sua volta, provoca la disoccupazione.

La figura mostra il modello neoclassico del salario d'equilibrio:
- in rosso è rappresentata la domanda di lavoro, che si riduce al diminuire del salario. Questo perché, secondo il modello, il lavoro è un'attività alternativa al tempo libero, e pertanto deve essere remunerata abbastanza da indurre l'uomo o la donna a rinunciarvi;
- in nero (linea continua) l'offerta di lavoro per il salario effettivo (linea continua blu) ovvero quello che guadagnano coloro i quali lavorano;
- in blu (linea tratteggiata) il salario d'equilibrio, ovvero quello più basso che, se venisse accettato dai lavoratori, determinerebbe la piena occupazione (vedi corrispondenza con l'offerta di lavoro d'equilibrio, linea nera tratteggiata).

Per questo, secondo gli economisti classici, la disoccupazione è imputabile alla sola rigidità degli stipendi. Se non gli fosse impedito di abbassarsi tramite accordi di sindacato, o leggi garantiste, l'offerta di lavoro aumenterebbe fino a raggiungere il punto d'equilibrio in cui la disoccupazione è pari a zero. In pratica i classici asseriscono che, coloro i quali lavorano, se hanno a cuore la sorte dei disoccupati, dovrebbero accontentarsi di uno stipendio più basso che permetta agli imprenditori di assumere di più.

Tuttavia, in questa visione del mercato del lavoro considera il comportamento dell'offerta come indipendente da quello dalla domanda. Questi economisti vengono chiamati supply-siders

Nella sua opera del 1936, "Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta", John Maynard Keynes osserva che, come in un circolo vizioso, la riduzione generalizzata dei salari provoca la diminuzione della domanda di consumi che, a sua volta, determina una riduzione della produzione e, a cascata, dell'offerta di lavoro. Se ne deduce che, al contrario di quanto sostengono classici, soprattutto in momenti di crisi, non si devono lasciare cadere i salari ma è invece necessario sostenere la domanda di consumi per non fare aumentare la disoccupazione.

In accordo con quanto scritto sopra, la proposta del Movimento 5 Stelle sul reddito di cittadinanza si prefigge lo scopo di sostenere la domanda di consumo, garantendo a tutti gli italiani maggiorenni (e, con dei distinguo, anche agli stranieri residenti) un reddito di 600 euro netti al mese. La somma è percepita, senza limiti temporali, per tutto il periodo in cui il reddito si mantiene sotto i 7.200 euro annui. Gli obblighi principali connessi all'erogazione di questo importo si riferiscono alla partecipazione attiva nella ricerca di un nuovo lavoro. Oltre a questo, la proposta di legge istituisce un reddito minimo di 9 euro lordi all'ora, e un'ulteriore agevolazione sul canone d'affitto pagato per la propria abitazione.

Dal canto suo, il Jobs Act ha introdotto da quest'anno un nuovo sussidio di disoccupazione, NASPI, di durata variabile (18-24 mesi) a cui al termine si aggiungono altri 6 mesi di ASDI.

Un argomento molto dibattuto, in questi casi, riguarda le coperture finanziarie (soprattutto quelle relative al reddito di cittadinanza). In realtà però questo è un falso problema. Che i soldi provengano dai cosiddetti sprechi, come auspicano i rappresentanti del Movimento 5 Stelle, o da altre fonti quali l'aumento delle tasse o la riduzione delle pensioni, è solo un problema politico. La sostanza nel suo complesso non cambia. Un po' perché la definizione di spreco è molto soggettiva, e va dalle spese militari alle pensioni sopra una certa soglia (anch'essa opinabile) ma soprattutto perché, che si tratti di spreco o meno, una spesa pubblica corrisponde sempre a un reddito privato che genera a sua volta altre spese e altri guadagni. Si tratterà semplicemente di mettere in atto una politica ridistributiva, cioè di togliere un po' di soldi a chi ce li ha per darli a chi ne è sprovvisto. Il che significa, molto banalmente, che a pagare il sussidio di chi è disoccupato saranno coloro i quali lavorano (o che comunque percepiscono un reddito).

Il problema è che le suddette misure, per quanto ragionevoli in base al principio di solidarietà, e pur consistendo in un generoso sostegno alla domanda utile a risollevare i consumi, non possono, per loro natura, risolvere la causa che sta alla base della crisi economica italiana.

Il fatto è che esiste una relazione diretta tra l'aumento del reddito e le importazioni. All'aumentare del primo, aumentano anche le seconde. Nemmeno orientando i nostri acquisti verso i prodotti interni questa relazione verrebbe meno. Si pensi ad esempio alle materie prime d'importazione. Se aumentano i consumi, incrementa la produzione interna, e aumentano gli acquisti di idrocarburi, metalli, gas, etc. etc..

In uno dei primi post di questo blog ho spiegato in che cosa consiste l'austerità (qui). La sua funzione è quella di ridurre i consumi (e di conseguenza le importazioni) tramite misure volte a creare disoccupazione, allo scopo di riequilibrare il nostro saldo con l'estero. Quello che è successo è ben visibile nel seguente grafico:

Il grafico mostra il saldo annuale delle partite correnti ed è diviso in tre periodi:
-  cambi variabili (1993-1996) anni in cui la lira era libera di svalutarsi (o rivalutarsi) nei confronti delle altre monete;
- cambi fissi (1997-2010) rappresenta il periodo dell'euro, e quello precedente, in cui la lira si è rivalutata per raggiungere i cambi irrevocabili entrati in vigore dal primo gennaio 1999 e da allora rimasti immutati (causandoci notevoli problemi di competitività);
- aggiustamento (2011-2013) inizio delle politiche di austerità eseguite allo scopo di riequilibrare il nostro saldo con l'estero.

La causa dell'austerità è dovuta all'impossibilità migliorare il nostro saldo con l'estero svalutando la nostra moneta nei confronti dei partner commerciali più importanti (che sono quelli dell'eurozona).

Pertanto, ogni tentativo di sostenere la domanda che ottenga come risultato un apprezzabile incremento del consumo interno, tale da indurre le imprese ad assumere, provocherà inevitabilmente un peggioramento del nostro saldo con l'estero rendendo necessarie, presto o tardi, ulteriori misure d'austerità. 

Se l'Italia non esce dall'euro, qualsiasi strumento volto a sostenere la domanda interna, che non sia solo una trovata elettorale (come gli 80 euro di Renzi), rischia di portare più danni che benefici.















lunedì 1 giugno 2015

Se il QE della BCE funzionasse davvero, non l'avrebbero fatto

Sul sito dell'associazione A/simmetrie troverete un illuminate articolo che vi suggerisco di leggere (qui). L'autore ci spiega per quali motivi il quantitative easing (QE) della BCE non sarà utile alla ripresa dell'economia europea.

Prima di tutto, come molti di voi che leggono questo blog già sanno, l'aggiustamento dei saldi delle partite correnti dei paesi periferici dell'euro (i cosiddetti PIIGS: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) avvenuto tramite la distruzione della domanda interna (nota anche come austerità) è servito proprio a impedire la ripresa, dopo le conseguenze della crisi finanziaria arrivata dagli usa nel 2008. Questo perché la situazione debitoria (di debito privato!) dei PIIGS nei confronti delle banche dei paesi dell'area centrale dell'eurozona stava diventando un problema sempre più grande. E sarebbe diventato ancora più grande se l'economia fosse ripartita, allora come adesso. Quindi, per definizione, chi parla di crescita economica, o è male informato, o lo fa per illuderci. L'euro ha creato degli squilibri di competitività, tra i paesi del centro e quelli della periferia, che la Banca Centrale Europea non è in grado di curare. Semplicemente perché una politica monetaria unitaria non ha il potere di far convergere tassi d'inflazione differenti. E' un po' come un vestito a taglia unica. C'è a chi va largo di vita, a chi va stretto di spalle, e non sta bene a nessuno.

Quanto detto è sufficiente per stroncare alla base qualsiasi tentativo di propaganda politica. Ma voglio dilungarmi solo per aggiungere un altro piccolo dettaglio. Coloro i quali professano la teoria quantitativa della moneta asseriscono che l'aumento della liquidità provoca la crescita dei prezzi. Per dirlo usano questa equazione:

MV = PQ

Dove:
M=quantità di moneta
V=velocità di circolazione della moneta
P=livello dei prezzi
Q=numero di transazioni

Il QE è, molto sommariamente, un acquisto di titoli di stato in possesso delle banche private da parte della BCE. L'idea è che la liquidità originata da quest'operazione, a favore delle banche, dovrebbe arrivare alla famiglie e alle imprese tramite la concessione di credito, facendo in questo modo ripartire l'economia. Tra l'altro, questo sistema di crescita a debito non è molto diverso da quello ha portato alla crisi dell'euro. Purtroppo però le banche non fanno beneficenza, e i soldi li prestano solo a coloro i quali forniscono adeguate garanzie. Del resto, voi li dareste mille euro a qualcuno che non ha molte possibilità di restituirveli? Io non credo.

Dato che in questo periodo l'economia ristagna e i consumi sono molto limitati, il risultato è che le banche non hanno molte opportunità per investire nel settore privato. Quindi si tengono i soldi in cassa, e la quantità di moneta "M" rimane invariata, nonostante la base monetaria sia aumentata. Per questo motivo l'inflazione rimane, più o meno, a zero virgola.

Per chi volesse approfondire l'argomento, l'articolo di cui sopra affronta anche altre questioni, tra cui quella del cambio con il dollaro, del basso prezzo del petrolio, e altro ancora che, comunque, non fanno cambiare la sostanza del discorso.