lunedì 6 maggio 2019

L'euro, il convitato di pietra del primo maggio

A seguito della festa del lavoro appena celebrata voglio porre la mia attenzione su alcune parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del suo discorso al Quirinale.

La versione integrale dell'intervento del Presidente la trovate su www.quirinale.it: (qui) il video e (qui) la trascrizione. Vi ho indirizzato ai siti istituzionali, e non ai giornali (o a qualche testata televisiva) per mostrarvi che, a volte, anche nell'informazione si può fare a meno di intermediari. In ogni caso, è comunque utile rivolgersi direttamente alle fonti primarie quando si vuole essere precisi. La prudenza non è mai troppa.

Il Presidente ci ha voluto ricordare che il diritto al lavoro è un precetto costituzionale ed è compito di chi governa svolgere politiche volte al perseguimento della piena occupazione.

"La nostra Carta costituzionale riconosce il lavoro come bene sociale e pone alle istituzioni, a tutti i livelli, di compiere ogni sforzo per ampliare le opportunità occupazionali, per rimuovere le cause degli squilibri tra territori, per accrescere le conoscenze, le competenze, gli investimenti necessari a uno sviluppo sostenibile. Si tratta di un dovere pubblico a cui non ci si può sottrarre. Così come non può essere cancellato dalla Costituzione quel traguardo di piena occupazione, che resta una sfida costante, un obiettivo a cui tendere, utilizzando ogni possibile leva di intervento".

Mi ha fatto molto piacere ascoltare queste parole da parte della massima carica dello Stato. Infatti, nel dibattito giornaliero è troppo spesso assente una così chiara consapevolezza del compito affidato alle istituzioni dalla nostra costituzione economica.

Vorrei tuttavia far notare (a voi, e non certo al Presidente Mattarella) che tale obbligo costituzionale è purtroppo in contrasto con limiti derivanti dall'appartenenza del nostro paese a un'unione monetaria, dove ai paesi indebitati è richiesto di porre rimedio all'eccessivo debito estero tramite il ricorso alla disoccupazione. 

Questa non è una mia idea ma semplicemente ciò che il senatore Mario Monti chiamava distruzione della domanda interna in una nota intervista televisiva ed è quello che ci ha ricordato, tra gli altri, il presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Mario Draghi durante la sua lectio magistralis a Helsinki nel 2014 spiegando che gli aggiustamenti devono avvenire attraverso la svalutazione interna, e che la politica economica all'interno di un'unione monetaria è molto diversa da quella che ci sarebbe al di fuori di essa (me ne ero già occupato qui).

Del resto, queste sono tutt'altro che questioni nuove. Si tratta di ovvietà scientifiche note almeno da 60 anni, come dimostra l'articolo del noto economista Meade pubblicato nel 1957 sulla rivista scientifica The Economic Journal, intitolato "The balance-of-payment problems of a European free-trade area". In questo lavoro Meade scriveva che i sistemi monetari a cambio fisso (e quindi, a maggior ragione le unioni monetarie) sono in contrasto con le politiche di piena occupazione care ai governi di allora. Me ne ero occupato qualche tempo fa (qui). Vi sto parlando solo di un singolo documento nell'ambito di una discussione sull'integrazione europea durata 40 anni, e di cui allora, al contrario di oggi, erano ben note le conseguenze indesiderate.

Nonostante ciò, oggi l'euro è il convitato di pietra di tutte le discussioni mediatiche su occupazione e crescita.

Per chi volesse approfondire la questione delle incolmabili differenze fra l'obiettivo della piena occupazione previsto dalla Costituzione e i trattati europei dal punto di vista giuridico, suggerisco la lettura dell'interessantissimo libro dell'attuale sottosegretario alle politiche europee Luciano Barra Caracciolo intitolato "La Costituzione nella palude. Indagine su trattati al di sotto di ogni sospetto", oppure di "Costituzione italiana contro trattati europei. Il conflitto è inevitabile" di Vladimiro Giacché.