Dall'istituzione della moneta unica, nel corso degli anni, le economie di alcuni paesi membri hanno accumulato ingenti capitali, mentre altre invece si sono indebitate sempre di più. Il grafico qui sotto mostra la posizione netta con l'estero dei vari paesi dell'area euro. Si tratta della differenza fra crediti e debiti di un'economia con il resto del mondo. Per ogni singola posizione ci sono due colonne: la prima (quella blu) mostra il saldo all'ingresso dell'euro, e la seconda (in rosso) il dato riferito all'anno 2013. Ricordo, a chi volesse vedere meglio il grafico qui sotto, che può ingrandirlo semplicemente cliccandoci sopra.
Qui sotto trovate la tabella con tutti i numeri del precedente grafico. Osservate come tutti i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) hanno peggiorato la loro posizione dall'entrata nell'unione monetaria. Il caso limite è quello dell'Irlanda che è passata da un saldo a credito del 50% del PIL ad uno a debito del 105%, accumulando pertanto un differenziale negativo pari a 155% del PIL. Anche i paesi creditori hanno aumentato il loro saldo, in questo caso positivo.
Posizione netta con l'estero (PNE) dei paesi membri dell'euro:
Fonte Eurostat:
Debitori: | |||||
paese | anno di entrata € | PNE entata € | PNE 2013 | diff.accumulato | note |
Grecia | 2001 | -46,5% | -119,3% | -72,8% | |
Portogallo | 1999 | -31,5% | -118,7% | -87,2% | |
Irlanda | 1999 | 50,4% | -104,9% | -155,3% | |
Spagna | 1999 | -32,1% | -98,2% | -66,1% | |
Cipro | 2008 | -15,1% | -85,7% | -70,6% | |
Slovacchia | 2009 | -66,7% | -65,1% | 1,6% | |
Lettonia | 2014 | n.d. | -65,0% | n.a. | è entrata nell'euro nel 2014 |
Estonia | 2011 | -56,4% | -47,5% | 8,9% | |
Slovenia | 2007 | -21,8% | -38,7% | -16,9% | |
Italia | 1999 | -5,0% | -29,5% | -24,5% | |
Francia | 1999 | -8,0% | -21,1% | -13,1% | valore 2013 n.d. inserito 2012 |
media diff.: | -49,6% | ||||
media diff. (senza Irlanda): | -37,9% | ||||
Creditori | |||||
paese | anno di entrata € | PNE entata € | PNE 2013 | diff.accumulato | note |
Austria | 1999 | -26,2% | 0,5% | 26,7% | |
Finlandia | 1999 | -175,4% | 15,8% | 191,2% | |
Malta | 2008 | 2,6% | 23,6% | 21,0% | |
Belgio | 1999 | 36,6% | 45,8% | 9,2% | valore 1999 n.d. inserito 2002 |
Paesi Bassi | 1999 | -8,2% | 46,3% | 54,5% | |
Germania | 1999 | 4,5% | 48,4% | 43,9% | |
Lussemburgo | 1999 | 100,4% | 184,1% | 83,7% | valore 1999 n.d. inserito 2002 |
media diff.: | 61,5% | ||||
media diff. (senza Finlandia): | 39,8% |
La tabella, e il grafico successivo, mostrano i dati del saldo estero 2013, non più in percentuale del PIL, ma a valori nominali in miliardi di euro.
Posizione netta con l'estero (PNE) dei paesi membri dell'euro:
Fonti: Eurostat (PNE) e Wikipedia (PIL)
PNE 2013 | |||
PIL in miliardi € | in % PIL | in miliardi € | |
Spagna | 1.023 | -98,2% | -1.004,6 |
Italia | 1.560 | -29,5% | -460,2 |
Francia | 2.060 | -21,1% | -434,6 |
Grecia | 182 | -119,3% | -217,2 |
Portogallo | 166 | -118,7% | -196,7 |
Irlanda | 164 | -104,9% | -172,1 |
Slovacchia | 72 | -65,1% | -47,0 |
Lettonia | 23 | -65,0% | -15,2 |
Cipro | 17 | -85,7% | -14,1 |
Slovenia | 35 | -38,7% | -13,7 |
Estonia | 18 | -47,5% | -8,8 |
Austria | 313 | 0,5% | 1,6 |
Malta | 7 | 23,6% | 1,7 |
Finlandia | 313 | 15,8% | 49,5 |
Lussemburgo | 45 | 184,1% | 83,7 |
Belgio | 383 | 45,8% | 175,3 |
Paesi Bassi | 603 | 46,3% | 279,0 |
Germania | 2.738 | 48,4% | 1.325,0 |
Eurozona | 9.722 | -6,9% | -668,3 |
Osservate il totale riferito all'area euro, che corrisponde a un saldo leggermente negativo del -6,9% del PIL, poca cosa se confrontato con i ben più rilevanti squilibri che troviamo al suo interno. Praticamente l'intera area è un gioco a somma zero, o se volete, un'enorme tavolo in cui i perdenti non possono ritirarsi, ma sono costretti a continuare a giocare chiedendo i soldi in prestito ai vincitori. E' l'azione dell'euro, quello che perfino la BCE ci ha spiegato con Vitor Constancio ad Atene nel 2013, discorso di cui mi sono occupato in questo precedente post.
In sintesi, il problema è dovuto al fatto che in regime di cambi fissi (o di moneta unica) i capitali si spostano molto più facilmente dai paesi con tassi d'interesse più bassi (che di solito sono i più ricchi) a quelli che invece il capitale lo pagano di più (perché sono più poveri e quindi ne hanno più bisogno). Differentemente, in regime di cambi flessibili, i capitali si muovono con più cautela perché l'investitore, oltre al rendimento dell'operazione, deve valutare anche il rischio di cambio. Insomma, l'euro ha creato una vera e propria bolla speculativa del credito che ha causato gli squilibri evidenziati nelle tabelle e nei grafici mostrati in questo post.
Ma, se la BCE svalutasse in modo considerevole l'euro sul dollaro, diciamo del 20%, cosa succederebbe?
Intanto, le importazioni costerebbero di più. E qui viene da ridere pensando alle parole di alcune delle persone che sostenevano che, per l'Italia, tornare alla lira sarebbe un disastro a causa della svalutazione, ma che accetterebbero di buon grado la stessa cosa all'interno dell'euro. Al contrario, le esportazioni aumenterebbero perché più convenienti per gli acquirenti esteri, che sono quelli fuori dall'area euro.
Tuttavia in conseguenza di una svalutazione, i mercati dell'Eurozona tenderebbero ad incrementare gli acquisti di prodotti e servizi in euro (diventati più economici) in modo particolare da quelle economie più competitive, che sono quelle che hanno già accumulato tanti crediti nel corso degli anni. Inoltre, le esportazioni che trarranno più vantaggio dalla svalutazione saranno sempre quelle dei paesi creditori che, come abbiamo detto, sono i più competitivi. Un'analisi previsionale di quello che succederebbe è disponibile sul pagina web dell'associazione A/Simmetrie del Professore di politica economica Alberto Bagnai (qui) e mostra come il saldo delle partite correnti italiano, che misura il saldo dei flussi finanziari in entrate e uscita dal paese, tenderebbe a peggiorare (anche se di poco) nei primi due anni per poi crescere molto lentamente nel periodo successivo.
Cosa succederebbe invece tornando alla lira?
Lo stesso studio mostra che, in caso di uscita dall'euro, il saldo delle partite correnti italiano migliorerebbe subito, e di parecchio. Perché? Per il fatto che, a differenza di una svalutazione dell'euro che non darebbe al nostro paese alcun vantaggio competitivo nel commercio, limitatamente alla zona euro, il ritorno alla lira farebbe diminuire le importazioni anche dal resto d'Europa, e aumenterebbe la competitività dei prodotti italiani in tutto il mondo.
Un precedente storico può aiutare a confermare quanto sopra scritto. Il grafico qui sotto mostra l'andamento delle partite correnti (CAB) cioè il saldo tra entrate e uscite finanziarie di un'economia, e la posizione netta con l'estero dell'Italia (PNE) nel periodo 1980-2013. Osservate che, l'unico periodo in cui la PNE migliora è durante gli anni novanta, cioè nell'unico momento in cui la moneta del nostro paese, la lira, non era agganciata a nessun cambio con altre valute europee, come il sistema monetario europeo (SME) in cui restammo tra 1979 e il 1992, o l'euro in cui entrammo nel 1999, anche se il processo di aggancio ai cambi irrevocabili decisi nel 1996 cominciò già a a partire dalla seconda metà degli anni novanta. Guardate alla lunga cosa è successo. Nemmeno l'austerità, che pure ha distrutto la domanda interna, e ha pertanto migliorato il saldo delle partite correnti a partire dal 2011, è riuscita a migliorare la nostra posizione netta con l'estero.
I sostenitori dell'euro, si promuovono a difensori dell'integrazione europea, e quindi anche della sua convergenza economica. Invece, dopo più di un decennio dalla sua nascita, la moneta unica ha creato solo squilibri e divergenza tra le economie dei differenti paesi membri, arrivando addirittura a minare lo stesso processo d'integrazione che, a causa del malcontento dovuto alla crisi economica, oggi può essere portato avanti solo in modo antidemocratico, contro la volontà dei popoli del vecchio continente.
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