Questa settimana ci occupiamo di un altro economista insignito del premio Nobel Robert Mundell e del suo celebre articolo sulle aree valutarie ottimali
pubblicato nel settembre 1961 sulla rivista scientifica The American Economic Review (qui).
Le prime quattro righe sono già sufficienti a spiegare la
crisi dell’eurozona:
<<It is patently obvious that periodic
balance-of-payments crises will remain an integral feature of the international
economic system as long as fixed ex-change rates and rigid wage and price
levels prevent the terms of trade from fulfilling a natural role in the
adjustment process>>
In poche parole Mundell ci dice ciò che per lui, e per tanti
economisti era (ed è) assolutamente ovvio, ovvero che un
mercato unico sarà caratterizzato da periodiche crisi di bilancia dei pagamenti fino a quando
i cambi fissi (e l’euro in economia è assimilabile a un cambio fisso), la bassa
crescita degli stipendi e dei prezzi, ne impediranno il suo naturale
assestamento.
Se non fosse chiaro a cosa si riferisce Mundell sarà sufficiente osservare il seguente grafico:
Chi afferma che l’euro non ha niente a che vedere con la crisi non ha capito di che cosa sta parlando, oppure è in mala fede.
Chi afferma che l’euro non ha niente a che vedere con la crisi non ha capito di che cosa sta parlando, oppure è in mala fede.
Mundell afferma che la condizione ottimale affinché un mercato si possa
dotare di una moneta unica è che all’interno di essa si creino le condizioni in
cui i fattori produttivi, che in economia sono capitale e lavoro, siano
perfettamente mobili. E cioè che non ci siano barriere di alcun tipo che ne
impediscano lo spostamento da una parte all’altra della nostra area valutaria
alla ricerca delle migliori opportunità d’investimento e di lavoro.
L’Unione Europea, ovviamente, possiede questa condizione di perfetta mobilità del
fattore lavoro solo sulla carta. Un esempio banale ma efficace sono
le barriere linguistiche che, ad esempio, impediscono a molti di leggere il suddetto articolo di Mundell a causa della poca dimestichezza con la lingua inglese. Indipendentemente dal fatto che siate, o meno, sostenitori della globalizzazione (anche solo a livello europeo) è meglio che sappiate che non tutti, purtroppo, si possono permettere di vivere in un'economia di quel tipo.
La ricerca di un’area valutaria ottimale è un elemento utilizzato per
la creazione di zone economicamente stabili dove le politiche monetarie della
banca centrale possono combattere più facilmente la disoccupazione. E, secondo Mundell,
sono le regioni (anche se la parola regione va intesa nel senso di territorio
economicamente omogeneo e non ente amministrativo) e non i confini dei singoli
paesi ad essere maggiormente adatte a tale scopo. Pertanto, il tentativo di estendere a sempre
più paesi un’unica moneta è esattamente il contrario di quello che la teoria economica
suggerisce. E' quindi già un obiettivo ambizioso riuscire a
far funzionare aree valutarie molto più piccole di un intero continente.
Infatti, basti pensare che neanche paesi come l’Italia o la Germania
sono considerati aree valutarie ottimali. Nonostante la migrazione da sud
a nord (per il nostro paese) e da est a ovest (per la Germania) ci sono ancora enormi differenze
interne. Per questa ragione, i governi centrali riequilibrano il mercato interno con
enormi trasferimenti fiscali da una regione all’altra. L’economista Jacq Sapir
ha calcolato quanto costerebbero tali trasferimenti di denaro, in ambito
europeo, dai paesi europei virtuosi a quelli meno avanzati arrivando a stimare
un 8-9% annuo del PIL. L’articolo lo potete trovare a questo link (in francese)
o comodamente tradotto dal blog "Voci dall’estero" (qui). E’ chiaro
che ipotizzare di estendere a livello europeo una "generosità" già mal sopportata a livello nazionale preclude oggi qualsiasi ragionevole possibilità di unione
politica.
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