Quando finirà la crisi? Questa è la domanda che si fanno tutti gli italiani,
soprattutto quelli disoccupati o con un posto di lavoro precario. Negli ultimi
anni abbiamo sentito sempre la stessa storia, quella della luce fuori dal tunnel e dell’anno successivo che sarebbe stato quello buono. Per il 2015 è attesa una debolissima crescita. Ma, basta un
inversione di segno nell'andamento del PIL per poter dire di essere davvero fuori dalla
crisi?
Supponiamo per un momento che abbiate perso il lavoro a causa di un
licenziamento ingiusto, cosa che tra l’altro sarà sicuramente capitata a
qualcuno di voi. Per far valere i vostri diritti vi rivolgereste a un giudice
che con la solita celerità (si fa per dire) nel giro di quei due o tre
anni vi farà reintegrare in azienda. Naturalmente, a causa delle novelle legislative
(mi riferisco al contratto a tutele crescenti) questo esempio è diventato obsoleto, ma
prendiamolo per buono almeno a livello ipotetico. Il giudice, imponendo
all'imprenditore di riassumervi ripara a un torto che avete subito. Da quel momento
tornerete a lavorare, e a ricevere il vostro stipendio, e la sentenza avrà soddisfatto quello che in
linguaggio giuridico si chiama il danno
emergente.
Rainews 25 marzo 2015 |
Tuttavia, delle persone come
voi, fiere e consapevoli dei propri diritti, non si accontenterebbero di ciò. Infatti, la privazione dello stipendio
per tutto quel tempo vi avrà causato notevoli grane. Sarete presumibilmente indietro con il
pagamento di diverse bollette: affitto/mutuo, rate della macchina, etc. etc..
Se la legge (quella vecchia, ovviamente) non prevedesse anche il risarcimento
del periodo in cui siete rimasti senza entrate a causa del licenziamento
illegittimo, voi passereste dei mesi a pagare gli arretrati, e non potreste
ritenervi pienamente soddisfatti della sentenza. Per questo, il giudice è
tenuto valutare anche il lucro cessante
che, va da sé, è pari a quella somma di cui non avete potuto godere durante il
periodo di "vacanze forzate".
Questa premessa serve a introdurre il seguente ragionamento. Durante il
periodo di crisi l’Italia ha perso circa un 9% del PIL. Un inversione di
tendenza, per ovvi motivi, non può rappresentare l’uscita dal tunnel. Il buon
senso suggerisce che prima di poter dire essersi buttati alle spalle quel
brutto periodo si aspetti almeno di raggiungere i livelli precedenti al
disastro.
Ma anche questo non sarebbe sufficiente. Infatti, come nel nostro
esempio precedente, per poter dire di essere ritornati sul vecchio sentiero di crescita occorrebbe recuperare anche tutti i mancati guadagni patiti durante il
periodo di magra.
Nel seguente grafico mi sono divertito a stimare il
tempo di recupero del PIL italiano (a valori nominali, quindi senza considerare
l’inflazione) secondo le seguenti ipotesi:
- la media a cui sarebbe cresciuto il PIL (linea tendenziale tratteggiata in blu) è quella dei 10 anni che hanno preceduto la crisi (1997-2007) cioè il 4,40%;
- la crescita prevista del PIL italiano del 2015 e del 2016 si ispira liberamente alle stime fatte dall’OCSE su crescita e inflazione, e per gli anni successivi ho inserito dei valori assolutamente arbitrari frutto della speranza di trovarsi in una situazione simile a quella degli anni buoni a cavallo fra gli ottanta e novanta del novecento.
Il calcolo così eseguito prevede che l'Italia recuperi il tempo perso non prima del
2027. E stiamo sempre e solo parlando di valori nominali! Si tratta, ovviamente,
di un grafico che non ha alcun valore scientifico. Infatti l’obiettivo non è
fare una previsione, ma mostrarvi semplicemente quanto sarebbe lunga la strada
della completa ripresa pur in presenza di una crescita assolutamente
ottimistica, e fuori dalla portata di tutte le attuali più rosee previsioni. Questo significa che in pratica, ad oggi, in attesa di un cambio
strutturale (o di un miracolo) non è assolutamente ipotizzabile un completo
recupero dell’economia nemmeno nei prossimi dieci, o quindici, anni.
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