Il problema è poi passato dagli USA all'Europa, colpendo le banche che avevano investito di più nei subprime, che erano per lo più le grandi istituzioni finanziarie dei paesi del nord Europa (Germania in testa) le quali disponevano di grandi quantità di capitali da investire che provenivano dai surplus della bilancia dei pagamenti ottenuta tramite l'euro.
Ricapitolando, quando la musica degli alti rendimenti dei subprime è finita in una montagna di debiti non pagati (e quindi di crediti inesigibili) parte delle banche americane e europee sono fallite. Altre sono state acquistate da altre banche, o salvate con soldi pubblici. Nel frattempo, avendo le società di credito degli obblighi verso gli istituti di vigilanza circa la qualità delle loro attività, hanno dovuto integrare i loro investimenti in perdita (i subprime) con una montagna di titoli pubblici a rendimento più basso ma sicuro.
Cosa è successo a quel punto?
Che le banche del nord Europa (le più ricche) fortemente esposte verso quelle americane per i pessimi investimenti nei subprime, e impossibilitate a chiedere i loro soldi indietro (provateci voi ad andare a Washington a pretendere l'austerità) hanno deciso di tagliare gli investimenti verso gli altri paesi dell'area euro, soprattutto quelli i cui titoli di Stato non erano più così sicuri per vari motivi: il loro debito pubblico era fortemente aumentato a causa della crisi, oppure le prospettive di crescita dell'economia erano basse. Inizia così la crisi dello spread.
Nel frattempo, le stesse banche europee che avevano iniziato a vendere i titoli di stato più a rischio, avevano anche smesso di finanziare, con i loro capitali, le banche dei paesi più deboli dell'area euro, cioè i famosi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) la cui economia, negli anni della moneta unica era cresciuta (chi più e chi meno) mediante ai capitali esteri.
Il grafico illustra la crescente esposizione dei sistemi bancari dei PIIGS verso quelli dei paesi virtuosi ed è il lucido n.2 del discorso del vice Presidente della BCE Vitor Constancio ad Atene a maggio 2013 (vedi post precedente). |
Come hanno reagito i governi dei PIIGS?
Semplice, distruggendo la domanda interna con l'austerità
riequilibrando la bilancia dei pagamenti, come descritto in questo post, nel tentativo di fermare la corsa del debito estero.
Il risultato?
Mentre nel resto del mondo, negli anni successivi alla tempesta l'economia ha ripreso a crescere, seppur con moderazione, nell'area euro ci siamo dati una seconda botta da cui non ci siamo ancora ripresi.
Ma sapete qual'è la cosa più buffa?
Al di là del fatto che sulla crisi manchi una corretta informazione da parte dei più importanti media mainstream, quello che a mio giudizio è più singolare, è che da un problema nato, cresciuto, ed esploso nel settore privato (in gergo economico un fallimento di mercato) ne è nata una discussione politica sulle riforme costituzionali. Voi direte, ma che cosa c'entra? Se la responsabilità dell'instabilità economica è imputabile al settore privato, per quale motivo in Italia siamo così concentrati su quello pubblico?
Perché per rimanere nell'euro, infatti l'uscita dalla moneta unica (la via più breve per guadagnare la competitività perduta) non è mai stata presa in considerazione da nessun governo italiano, l'unica strada possibile per il bilanciamento degli squilibri macroeconomici creati dalla moneta unica passa dalla svalutazione interna, ovvero della diminuzione costo del lavoro. E, cambiare la Costituzione in senso più autoritario (la cosiddetta governabilità) non è altro che un modo per fare passare più velocemente, e con più facilità, le riforme che a voi (e a me) proprio non andrebbero giù.
Per farla breve, stanno trasformando una crisi di mercato in una sconfitta per la democrazia.
Dite di no? Mi sto sbagliando?
Vabbé allora seguente serie di eventi non vi interesserà:
- a giugno 2012 il Sindaco di Firenze Matteo Renzi ha partecipato insieme all'allora ministri Passera e Grilli ad un incontro organizzato da JP Morgan a Firenze sulla situazione politica in Italia (vedi, ad esempio, questo articolo) a cui era presente anche l'ex Primo Ministro inglese Tony Blair
- un anno dopo, il 28 maggio 2013, sempre JP Morgan ha pubblicato questo studio sull'area euro in cui si scrive che la nostra Costituzione è un ostacolo all'integrazione europea, che risente di una forte dell'influenza socialista e che, tra le altre cose, protegge i diritti del lavoratore.
- la UBS (Unione delle Banche Svizzere) già a gennaio 2014 (quando Letta stava sereno) pubblicava questo documento in cui si diceva che l'Italia non avrà molto spazio di manovra per discutere con la Commissione Europea se Matteo Renzi (in qualità di Presidente del Consiglio?) non riuscirà a velocizzare il percorso delle riforme. E che in Italia il costo del lavoro è ancora troppo alto (attenzione, quello per unità di prodotto, non quello orario!) e che il Fondo Monetario Internazionale stima che sarà necessaria una riduzione del 10%.
- infine, ad aprile 2014, il Presidente del Consiglio Renzi, fresco di nomina, si è incontrato ancora con la JP Morgan e Tony Blair a Londra (vedi qui) per illustrare il suo programma di riforme, come del resto aveva già fatto a febbraio al Fondo Monetario Internazionale (vedi qui).
Vorrei che fosse chiaro che io non punto l'indice contro JP Morgan o le altre grandi istituzioni finanziarie private che sono, ovviamente, libere di pubblicare ciò che vogliono. Sono, casomai, i politici che hanno la responsabilità di valutare l'impatto sociale delle politiche che gli vengono suggerite.
D'altra parte, non ce l'ho nemmeno con Renzi. E' sempre stato un uomo ambizioso, e con abili doti comunicative, mediante le quali ha ottenuto la fiducia per arrivare alla posizione a cui ambiva da tempo (la Presidenza del Consiglio). Sulla strada del successo ha avuto modo di incontrare tante persone influenti e forse si è fatto persuadere, in buona fede, da alcuni consiglieri economici, circa la bontà della strategia da seguire per il bene del Paese.
Ma in cosa è utile una democrazia se non nel fatto che, quando qualcuno di noi prende una cantonata, la maggioranza del parlamento reagisca impedendo che le sue proposte vengano approvate?
Invece da noi sembra proprio che in pochi mostrino di aver capito dove sta la fregatura. Segno che forse dovremmo interrogarci su quanto, già ora, sia effettivamente compiuta la nostra democrazia, e su cosa rischiamo di perdere insistendo sulla strada di queste riforme costituzionali.
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